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Bob Shaw: Cosmo selvaggio

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Bob Shaw Cosmo selvaggio

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Un’astronave stellare da esplorazione spedisce su un pianeta sconosciuto sei moduli di atterraggio e ne vede tornare sette. Su quel pianeta c’и chiaramente “qualcosa che non va”… Ma nelle zone piщ remote e selvagge del Cosmo, si sa, le cose non vanno mai perfettamente lisce e gli esploratori devono sempre stare in guardia, devono sempre aspettarsi di tutto. Giustamente Bob Shaw ha messo in epigrafe alla strabiliante saga dell’astronave “Sarafand” questi memorabili versi di R. L. Stevenson: “Per il Cosmo strano e selvaggio me ne vado, da eterno straniero. Il mio amore sono le tue strade e i brillanti occhi del pericolo”.

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— Prendo nota che avete accettato — disse Aesop. Seguì una pausa che accrebbe il disagio di Surgenor.

— Aesop, ti dispiacerebbe…

— Albert, alle ore zero zero, zero nove, durante la riunione generale, hai detto queste parole a proposito del defunto William Narvik: «Se vedete il suo fantasma uscire dal ripostiglio, fatemelo sapere». Ricordi di averlo detto?

— Certo che lo ricordo — disse Gillespie — ma era solo una battuta, per l’amor di Dio. Ci hai già sentito altre volte fare battute del genere.

— Sono a conoscenza di tutti i vari tropi connessi all’umorismo. Sono anche a conoscenza di vari scritti di argomento religioso, metafisico e superstizioso, che descrivono un fantasma come un’emanazione bianca e nebbiosa, luminescente.

«Vi informo che un oggetto dai tipici attributi di un fantasma sta emergendo dal corpo di William Narvik.

— Balle — disse Surgenor, e ripeté fra sé la parola più volte, mentre insieme a Gillespie raggiungeva il piano inferiore, attraversava la mensa, e scendeva la scaletta che conduceva all’hangar. Lo stava ancora ripetendo, quando la porta del ripostiglio si aprì all’ordine di Aesop e vide avvolta attorno al petto di Billy Narvik, una nuvola di luce bianca e fredda, a forma di lente.

19

Dopo un primo, indicibile momento di allarme, Surgenor si accorse con sorpresa di non provare paura.

Entrò con Gillespie nello stanzino e si accorse che quello che gli era sembrato un semplice emisfero di luce possedeva in realtà tracce di una complessa topografia interna. La sua superficie non era ben definita, il che disorientava ancora di più, e le zone interne di luminosità diversa si sovrapponevano e splendevano l’una attraverso l’altra in modo che rendeva difficile mettere a fuoco i singoli particolari.

L’oggetto era un emisfero di luce glaciale, del diametro di circa un metro, che nascondeva quasi tutto il corpo di Narvik. Esaminandolo da vicino, Surgenor si convinse che quello che vedeva era solo la metà di una sfera, il resto della quale si allargava sotto il pavimento. Obbedendo a un impulso istintivo, allungò una mano e la infilò nella massa scintillante. Non provò nessuna sensazione.

— Si sta allargando — disse Gillespie. Fece un passo indietro, indicando l’orlo più vicino, che strisciava silenziosamente sul pavimento di metallo. In pochi secondi la testa di Narvik venne nascosta dall’intangibile conchiglia di luce. I due uomini si strinsero la mano come bambini e arretrarono verso la porta, con gli occhi bianchi per il riflesso e l’animo pieno di meraviglia, mentre al centro della stanza l’enigmatico emisfero continuava a ingrandire, a velocità visibilmente crescente.

— Che cos’è? — sussurrò Gillespie. — Sembra un cervello, ma…

Surgenor sentì che la gola gli diventava secca, mentre in lui prendeva corpo quella paura che avrebbe dovuto provare prima. Lo sgomento che stava provando non nasceva dalla terribile estraneità dell’oggetto misterioso, ma, incredibilmente, dal fatto che cominciava a intuire che cosa fosse. Fece uno sforzo per mettere a fuoco una singola parte della nuvola, invece di guardarla come un tutto, e gli parve di scorgere dei minutissimi corpuscoli. Man mano che l’oggetto ingrandiva, la sua struttura mostrava segni di discontinuità, e appariva come composta da milioni di particene luminose.

— Ascolta queste parole, Aesop — disse, facendo uno sforzo per parlare. — Puoi puntare un microscopio su questa cosa?

— Non ancora. Il raggio d’azione dei miei microscopi diagnostici è limitato alla zona dell’hangar. Ma se continuerà a questa velocità, l’oggetto penetrerà nelle pareti del ripostiglio fra circa due minuti, e a questo punto sarò in grado di sottoporlo ad esame microscopico.

— Penetrare? — Surgenor si ricordò dell’impressione che aveva avuto prima, di vedere solo la metà di una sfera. — Aesop, riesci a inquadrare la sala motori sotto di noi? C’è qualcosa di insolito?

— Non sono in grado di vedere direttamente nella colonna spinale, ma si scorge una fonte di luce. Ritengo che l’oggetto si estenda anche in basso, attraverso il pavimento.

— Ma cosa sta succedendo? — disse Gillespie, scrutando la faccia di Surgenor. — Sai cos’è quella cosa?

— Non hai ancora capito? — Surgenor incurvò le labbra in un sorriso pallido e incerto, guardando la nuvola luminosa che si allargava. — È l’universo, Al. Stai guardando la totalità della creazione.

Gillespie spalancò la bocca, poi fece un passo indietro, come se volesse dissociarsi dall’affermazione di Surgenor. — Tu sei pazzo, Dave.

— Credi? Guarda quello schermo.

La nuvola luminosa aveva raggiunto i limiti dello stanzino circolare, e si stava allargando nell’hangar, passando attraverso le pareti di metallo come se non avessero nessuna consistenza. Vi furono alcuni movimenti furtivi sul soffitto, mentre i microscopi a lungo raggio di Aesop, normalmente usati per ispezionare i moduli d’esplorazione, cambiavano posizione. Nello stesso momento gli schermi di controllo si accesero, mostrando delle immagini che mai Surgenor aveva pensato di poter vedere su di essi: migliaia di galassie che turbinavano in tutte le direzioni, e sotto ogni prospettiva, alcune a fuoco, altre indistinte. Era come se le osservazioni telescopiche di milioni di anni fossero state racchiuse in un breve filmato, con lo scopo di affascinare la mente e purificare l’anima di qualunque essere intelligente lo osservasse. Surgenor dovette lottare per riconoscere la realtà delle parole che aveva pronunciato con tanta sicurezza un minuto prima. Gillespie barcollò, premendosi le mani sulla fronte, mentre la tempesta di galassie continuava a turbinare senza fine.

— Mike Targett dovrebbe venire a vedere — disse Surgenor, metà a se stesso, metà a Gillespie. — Siamo ancora nella morsa del suo vortice, capisci? È un processo ciclico, proprio come l’universo. Ci ha ridotto a niente, ma poiché niente si distrugge, è successo qualcosa… la tensione è stata allentata, o i segni si sono invertiti, l’opposto di quello che succede a un pallone troppo gonfio, che finisce per scoppiare, e siamo passati dal microcosmo al macrocosmo, da dimensioni zero a dimensioni infinite.

— Dave! — C’era una nota di preghiera nella voce di Gillespie.

— Vai più adagio, ti spiace?

— Questo che vedi espandersi sul pavimento è l’universo, Al. Solo che non si sta ingrandendo. Ha sempre le sue dimensioni, siamo noi che ci stiamo restringendo. In questo momento la Sarafand è un migliaio di volte più grande dell’universo, ma presto avrà le sue stesse dimensioni, poi ci restringeremo attraverso tutte le galassie, finché saremo grandi come una di esse, e poi come un sistema solare, finché non torneremo normali, ma solo per un istante, perché saremo tornati nella zona del vortice, e continueremo a restringerci fino a ridurci a zero… e l’intero processo ricomincerà daccapo!

Si udì un pesante rumore di passi, e Sig Carlen apparve sulle scale con un bicchiere di birra in mano. — Ehi, voi due, perché non la piantate di… Cos’è quella roba?

Surgenor guardò la nube di particelle luminose, il cui perimetro avanzava attraverso l’hangar a passo d’uomo, poi si rivolse a Gillespie.

— Diglielo tu, Al… voglio sentirlo da qualcun altro. Quando l’equipaggio della Sarafand si fu riunito nella mensa, dopo essersi schiarito le idee con l’aiuto dell’Antox, l’universo era più grande della nave.

Una pioggia continua di galassie saliva dal pavimento, passando attraverso il tavolo, le sedie, gli esseri umani, per sparire di nuovo attraverso il soffitto. A occhio nudo le galassie sembravano stelle vagamente nebulose, ma, esaminate alla lente di ingrandimento, apparivano come perfette lenti o spirali, gioielli in miniatura sparsi per il cosmo da un artista pazzo.

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