Ben Bova - La vendetta di Orion

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La vendetta di Orion: краткое содержание, описание и аннотация

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Ormai non ci sono dubbi: sotto le spoglie umane di John O’Ryan si nasconde una figura mitica, il leggendario cacciatore Orion. A crearlo è stato l’essere di un lontanissimo futuro che ha scelto di farsi chiamare Ormazd, e che con il suo aiuto intende condurre nel tempo e nello spazio una guerra spietata contro il più acerrimo nemico dell’umanità, Ahriman. Il primo scontro (in Orion, Urania 1038) sembra essersi concluso vittoriosamente, ma in realtà l’intervento di Orion ha causato una frattura nel continuum spazio-temporale, concedendo ad Ahriman e ai suoi neandertaliani un cosmo tutto per loro. Ormazd non ha affatto gradito la cosa e ha deciso di punire Orion strappandogli ciò che ha di più caro, per costringere il cacciatore a riprendere la sua battuta. Questa volta lo scenario-sarà il passato e la posta in gioco il salvataggio di Troia… perché Ormazd è deciso a cambiare addirittura la trama del tempo pur di distruggere definitivamente il suo nemico.

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Giosuè sorrise appena. — Dopo che Gerico sarà caduta, potrete andare in Egitto o in qualunque altro posto vorrete. — Suonò come: “Potete andare all’inferno, per quello che me ne importa”.

28

— Questa è follia — disse Lukka.

Era in piedi nel caldo del mattino, ai margini dell’accampamento israelita, e studiava le triple mura di Gerico. All’alba avevamo fatto il giro completo della città assediata, a distanza di un tiro d’arco. Le mura erano enormi, molto più alte di quelle di Troia e indubbiamente molto più grosse. E per di più, erano ulteriormente difese da una profonda trincea che ne seguiva quasi tutto il perimetro. L’attraversava un ponte levatoio, al momento addossato alla porta. Il fossato era parzialmente riempito di terra e detriti, ma era pur sempre ripido e costituiva un ostacolo apparentemente insormontabile.

— Non riusciremo mai ad appoggiare le nostre torri contro queste mura — mi disse Lukka. Io dovetti convenirne. Gerico sorgeva in cima a una bassa collina, e il muro principale partiva direttamente dalle rocce della vallata e s’inerpicava verso l’alto. Dove il terreno era pianeggiante c’era il fossato, mentre nel tratto che saliva lungo la cresta le mura si triplicavano. Anche senza quella tripla barriera, il fianco della collina era troppo ripido per poterci trascinare le torri da assedio, e le mura erano corredate di solidi torrioni da cui arcieri e frombolieri potevano facilmente colpire eventuali attaccanti.

— Non c’è da stupirsi che Giosuè abbia bisogno d’aiuto — borbottai.

Lukka socchiuse gli occhi per difendersi dal bagliore del sole. — La gente di Gerico ha avuto a disposizione cento generazioni per perfezionare le sue difese. Nessuna banda di nomadi riuscirà ad abbattere quelle mura.

Sorrisi. — È per questo che Giosuè ci ha gentilmente invitato a rimanere con lui, finché quelle mura non vengono giù.

— Resteremo qui molto tempo, allora.

Quella mattina, facemmo il giro delle mura varie volte, cercando un punto debole che però non trovammo. La sola cosa che notai fu che alcune sezioni sembravano più vecchie delle altre, con i mattoni più grigi e allineati con minor precisione.

— Terremoti — disse Lukka. — Le mura sono fatte di mattoni di fango. Una volta seccati diventano duri come la pietra. Ma un terremoto può farli cadere.

Un terremoto. Il barlume d’idea mi sfiorò la mente.

Lukka continuò. — Vedi come il muro è costruito a sezioni, con dei tronchi che le dividono l’una dall’altra? In questo modo, anche quando un terremoto ne danneggia una, le altre rimangono in piedi.

Io annuii, ma la mia mente era altrove.

Quella notte, mentre stavamo sdraiati insieme nella mia tenda, Elena chiese: — Per quanto tempo dovremo restare fra questa gente terribile?

— Finché non prenderanno la città — risposi.

— Ma potrebbero non…

Io la feci tacere con un bacio. Facemmo l’amore, e lei si addormentò.

Anch’io chiusi gli occhi, e decisi di trasferirmi in quell’altro mondo dove i cosiddetti dèi facevano i loro giochi con il nostro destino. Concentrando ogni particella del mio essere, attraversai l’abisso che mi divideva da loro.

Ancora una volta mi ritrovai in quell’aura dorata. Ma riuscivo a vedere la loro città nella nebbia luccicante, e le sue torri e le sue guglie mi sembravano più chiare che mai.

— Ahriman — chiamai, con la mente e con la voce. — Ahriman, mio antico nemico, dove sei?

— Non qui, creatura.

Mi voltai e vidi la donna altezzosa cui io pensavo come a Era. Indossava una veste dorata che le lasciava nuda una spalla, stretta in vita da una catena di gemme. I suoi capelli scuri ricadevano in riccioli, i suoi occhi profondi mi studiavano. Con un sorriso che sembrava quasi minaccioso, disse: — Almeno, sei vestito meglio dell’ultima volta che ci siamo incontrati.

Feci un leggero inchino. La mia uniforme improvvisata, composta da una tunica e da un corsetto di pelle, era in qualche modo migliore degli stracci che indossavo a Ilio.

— Sei venuta per graffiarmi e farmi uscire altro sangue? — chiesi.

Il suo sorriso si allargò leggermente. — Tutt’altro. Anzi, forse posso salvare il sangue che hai ancora in corpo. Il nostro dorato Apollo è impazzito, sai.

— Non si fa più chiamare Apollo.

Lei si strinse nelle spalle. — I nomi non sono importanti, qui. Parlo così solo perché la tua mente limitata possa capire.

— Ti sono grato di questa gentilezza — dissi. — Il Radioso ha trovato una tribù che lo venera come unico dio.

— Sì. E sta cercando di eliminare tutti noi. E per riuscirci — aggiunse inarcando le sopracciglia — si sta servendo di te.

Io rimasi in silenzio, assimilando quelle informazioni.

— Non è così? — domandò lei.

— Sto aiutando gli Israeliti a conquistare Gerico — ammisi. — O almeno, sto cercando di…

— Questo fa parte del suo piano, ne sono sicura!

— Ma non sapevo che stesse tentando di… — ricordai le parole che lei aveva usato — … eliminarvi.

— Adesso lo sai!

— Questo significa che vuole uccidervi?

Ringhiò, quasi. — Lo farebbe, se potesse. Ma non avrà mai una simile possibilità. Lo distruggeremo; e distruggeremo anche te, se continuerai ad aiutarlo in qualunque modo.

— Ma…

Puntandomi addosso un dito accusatore minacciò. — Non esiste un terreno neutrale, Orion. O smetti di aiutarlo, o sarai nostro nemico. Capisci?

— Capisco — risposi.

— Allora considera attentamente le conseguenze delle tue azioni.

— Quella che chiamano Atena — dissi. — Lui mi ha promesso di…

— Non ci si può fidare delle sue promesse. Questo lo sai.

— Voglio resuscitarla, riportarla alla vita — dissi.

— E lui ti ha offerto la vita di Atena in cambio della tua obbedienza? — Era scosse la testa. — Lascia la tua dea morta a noi, Orion. È una di noi, non è per quelli come te.

— Può essere riportata in vita?

— Questo non…

— Può essere riportata in vita?

I suoi occhi si spalancarono, che fosse per rabbia, per paura o per qualcos’altro, non potrei dirlo. Trasse un profondo respiro, poi, infine, rispose con calma: — Una cosa del genere è… possibile. Anche se appena al minimo delle possibilità. Ma tu non devi neanche sognarlo!

— Io lo sogno. Non sogno altro.

— Orion, povero verme, se anche lei fosse riportata in vita, non vorrebbe avere più niente a che fare con te. È una di noi, così irraggiungibile per te che…

— Io l’amo — dissi. — Questo è il vantaggio che ho su voi tutti. Io posso amare. E anche lei. Ma voi no. Né tu, né il Radioso, né nessuno degli altri dèi. Ma lei può, e mi ha amato. Ed è morta per questo.

— Sei senza speranza — disse Era brusca. Mi volse le spalle in un vortice di vesti dorate e scomparve nella nebbia luccicante.

Io rimasi solo per alcuni istanti, poi mi ricordai perché ero lì. Per trovare Ahriman. Quello che gli Achei chiamavano Poseidone, il portatore di terremoti.

Chiudendo gli occhi, visualizzai la sua figura scura e massiccia, il suo volto grigio e pesante, i suoi occhi brucianti. Lo chiamai mentalmente, dicendomi che se non avesse risposto al mio richiamo avrei dovuto cercarlo e trovarlo.

Ricordai, vagamente, una foresta di alberi giganti dove vivevano Ahriman e la sua specie, in un continuum che esisteva da qualche parte, in qualche tempo. Esisteva ancora? Potevo trovarlo?

Un’ombra scura passò sopra di me. La percepii anche se tenevo gli occhi chiusi. Li riaprii e mi ritrovai in una foresta buia e minacciosa: nemmeno una goccia di luce penetrava attraverso la volta di foglie quasi nere che mi sovrastava. Enormi tronchi mi circondavano come grigie colonne che si innalzavano verso l’infinito. Il terreno fra i tronchi era coperto di erba tagliata, piatta e livellata come un parco.

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