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Bob Shaw: Il terzo occhio della mente

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Bob Shaw Il terzo occhio della mente

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Fu mentre si versava il caffè della prima colazione che John Redpath s’accorse qualcosa di “strano”, di qualcosa “che non andava”, pur non riuscendo a capire che cosa fosse… Restò un momento a guardarsi intorno, poi tese l’orecchio per sentire se, tra i rumori familiari del mattino presto, nello stabile in cui abitava, ne mancasse qualcuno, ovvero ce ne fossero degli insoliti… Questo tradizionale (e insuperato) modo di cominciare una storia di fs, ben pochi oggi possono permetterselo. Bisogna infatti che un romanzo possa competere con i classici, per non deludere le aspettative suscitate nel lettore da un inizio di questo tipo. Ma per Bob Shaw, autore di “Quando i Neutri emergono dalla Terra”, la difficoltà non esiste: ogni suo nuovo romanzo, comunque cominci, s’impone immediatamente come un classico.

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Redpath restò lì inginocchiato per un po’, a chiedersi se avrebbe mai più trascorso una notte di sonno tranquillo; poi capì che lui, per lo meno, era ancora vivo, e che lo aspettavano tutte le responsabilità pratiche dei vivi.

Fece il giro della casa da cima a fondo, spense tutte le luci, si assicurò che non ci fossero ancora scintille capaci di suscitare un incendio. Impiegò molto tempo, soprattutto perché le nuove ferite alla spalla e alle caviglie gli rendevano difficili i movimenti. Era già passata l’una quando uscì. Chiuse accuratamente la porta, raccolse borsa e televisore e si incamminò sul breve sentiero che portava alla strada.

Pioveva ancora. Le luci dei lampioni erano avvolte da un alone giallo, e le finestre erano buie in tutte le case. A parte l’acqua che gorgogliava nelle grondaie, non si udiva nessun rumore. “È bello” pensò, guardandosi attorno con gioia profonda. “Se avessi i capelli neri, e se al posto di queste strane ferite avessi fori di proiettile, questo potrebbe essere uno dei vecchi meravigliosi film di Francis Lederer.”

Senza voltarsi a guardare la casa numero 131, partì verso le luci che delimitavano il percorso di Woodstock Road. Dopo una decina di passi l’umidità dell’asfalto era già penetrata in quello che restava delle sue scarpe; ma lui era nello stato d’animo adatto a gustare ogni sensazione naturale, e proseguì imperterrito, senza problemi.

Arrivato al primo incrocio girò a destra, e stava per traversare la strada quando poco lontano apparve una mini color rosso ciliegia. Riconobbe immediatamente l’auto, ma non certo per precognizione. Sollevato, si fermò sotto il lampione, aspettò che la macchina si fermasse accanto al marciapiede. Quando Leila gli aprì la portiera lui le mostrò il televisore, per farle segno di abbassare lo schienale del sedile; poi sistemò televisore e borsa sul sedile posteriore, senza dire niente. Salì, sedette, chiuse la portiera, sempre in silenzio.

— Dimmi solo una cosa. Mi hai portato un ricordino da Chicago?

— Oh, John! — Lei esclamò il suo nome con evidente sollievo. — Ero così preoccupata. Ieri sera eri talmente…

— Lo so com’ero ieri sera, ma ti prometto che non succederà mai più. È finita.

— Ho cercato di andare in America — disse Leila, stringendo i lembi della giacca. — Ma poi mi è mancato il coraggio.

Lui scosse la testa. — No, ti è mancata la convinzione. Non hai creduto a niente di quello che ti ho raccontato, vero?

— Ti prego, scusami, John.

— Non è colpa tua. — Le sorrise, rassicurante. — Comunque voglio che tu mi faccia un paio di favori. Per prima cosa voglio che tu mi stia a sentire, e io ti racconterò tutto dall’inizio alla fine. Non potrei parlarne con nessun altro, e ho bisogno di dire subito tutto, per schiarirmi le idee, per separare gli incubi dalla realtà prima di dimenticare tutto. D’accordo?

— Ti ascolto. — Lei gli restituì il sorriso, gli mise la mano sulla spalla, la ritirò immediatamente al suo sussulto. — Cosa c’è, John?

— Mi hai fatto tornare in mente il secondo favore che volevo chiederti… Puoi portarmi all’ospedale?

— Cosa ti sei fatto?

— Cosa mi sono…? — Quella domanda così semplice, così naturale, implicava che fino a prova contraria tutte le sue ferite dovevano avere cause molto prosaiche; e Redpath capì all’improvviso quanto sarebbe parsa assurda la sua storia.

“La ferita alla spalla? Ma niente, me l’ha fatta la cara signorina Connie con uno scalpello prima che io le dessi fuoco.

“La bruciatura alla mano? Oh, sai com’è, il nato-Una-Volta mi ha paralizzato, e così ho tenuta in mano per troppo tempo una bottiglia incendiaria.

“Quelle zone di pelle viva sulle caviglie? È stato quando il nato-Una-Volta ha cominciato a mangiarmi. Si nutre di cheratina, sai. Esatto: la proteina che si trova nella pelle e nei capelli e nelle unghie e nelle piume e nei becchi degli uccelli. Per fortuna che avevo le calze di nylon e le scarpe con la suola di gomma. Altrimenti sarei conciato proprio male. Sissignora, proprio male!”

Redpath ripassò mentalmente il racconto che voleva fare a Leila. Cominciava alle prime ore di martedì, quando Albert, ne era convinto, si era presentato alla sua porta per metterlo in guardia, poi si era lasciato spaventare dalla visione mostruosa proiettata dal nato-Una-Volta. L’alieno aveva ricordato ad Albert qual era la punizione per i traditori. Albert aveva un ruolo di primo piano anche in altri avvenimenti. Aveva trasportato Redpath in America, sul tappeto magico della psicocinesi, e gli aveva fatto vedere quello che il nato-Una-Volta faceva agli esseri umani. E, naturalmente, Albert era il primo attore dell’ultima scena. Quell’uomo così brutto e così eroico era al centro di tutta la storia… Ma adesso dov’era finito? A cosa serviva raccontare a Leila che Albert e gli altri probabilmente erano bruciati nell’enorme fornace dell’acciaieria di Calbridge, ma che poteva anche trattarsi di un vulcano al centro della Terra o del Sole?

Come poteva credergli Leila? Ripensando a tutto quell’incubo, come poteva crederci lui stesso?

— John, ti ho chiesto cosa ti sei fatto.

Redpath la fissò per qualche secondo, prese una decisione. — Mi sono ferito alla spalla con un chiodo che sporgeva dal muro, dopo di che mi sono versato un po’ di acido sulle caviglie.

— Allora sarà meglio che ti porti in ospedale. — Leila ingranò la marcia e premette sull’acceleratore. — Certa gente non dovrebbe andare in giro da sola.

— Io sono proprio uno di quelli. Pensi che potremmo rimediare in qualche modo?

— Questa è la proposta di matrimonio più volgare che io abbia mai sentito — commentò Leila, senza togliere gli occhi dalla strada. — Immagino di doverla prendere per quello che è.

— Grazie. — Redpath si abbandonò sul sedile, distolse i pensieri da un passato che diventava sempre più irreale di secondo in secondo, cominciò a riflettere sul futuro che doveva ancora emergere dalle nebbie delle probabilità.

FINE

Un autore per tutte le stagioni

di Vittorio Curtoni

Bob Shaw è uno di quegli autori che meriterebbero, e da parecchi anni, molta più fortuna di quella che hanno. Purtroppo per lui, non ha mai scritto grandi best-seller internazionali; nessun regista di grido ha mai tratto un film dai suoi libri; non è in linea con l’attuale tendenza al gonfiaggio dei romanzi, cioè non è il tipo capace di scrivere cinquecento cartelle basate su un’idea che, al massimo, potrebbe reggere un racconto lungo… È, per sua sfortuna (e per grande fortuna dei suoi cinque lettori), un narratore autentico.

Di conseguenza, i suoi libri hanno dimensioni ragionevoli, le sue storie conservano un’esemplare coerenza dalla prima all’ultima parola; e i suoi personaggi hanno un sapore talmente vero da risultare, in più di un’occasione, sgradevoli nella loro nuda realtà umana.

Nato a Belfast nel 1931, laureato in ingegneria meccanica, pubblica il primo racconto nel 1954, ma solo dal 1975 decide di diventare scrittore a tempo pieno. La sua ormai ricca bibliografia comprende romanzi giustamente celebri (all’interno dell’universo degli appassionati di fantascienza, se non altro) come Altri giorni, altri occhi (1972), basato sull’idea del “vetro lento”, un vetro che imprigiona le radiazioni luminose e le restituisce lentamente, fissando quasi per l’eternità le immagini del passato; la trilogia di Orbitsville , iniziata nel 1975, affascinante esplorazione di un mondo artificiale di dimensioni gigantesche, costruito come un guscio attorno alla propria stella; e Luna, maledetta luna , impietosa cronaca dello scontro tra la specie umana e una razza superiore di immortali.

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