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Bob Shaw: Il terzo occhio della mente

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Bob Shaw Il terzo occhio della mente

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Fu mentre si versava il caffè della prima colazione che John Redpath s’accorse qualcosa di “strano”, di qualcosa “che non andava”, pur non riuscendo a capire che cosa fosse… Restò un momento a guardarsi intorno, poi tese l’orecchio per sentire se, tra i rumori familiari del mattino presto, nello stabile in cui abitava, ne mancasse qualcuno, ovvero ce ne fossero degli insoliti… Questo tradizionale (e insuperato) modo di cominciare una storia di fs, ben pochi oggi possono permetterselo. Bisogna infatti che un romanzo possa competere con i classici, per non deludere le aspettative suscitate nel lettore da un inizio di questo tipo. Ma per Bob Shaw, autore di “Quando i Neutri emergono dalla Terra”, la difficoltà non esiste: ogni suo nuovo romanzo, comunque cominci, s’impone immediatamente come un classico.

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Redpath si alzò lentamente in piedi, rivolse un sorriso a Betty. — Il bagno è in cima alla prima rampa di scale, vero?

— Certo, tesoro. — Lei gli lanciò un’occhiata seria. — Non stare via troppo.

— No. — Uscì, si trovò nel pozzo di tenebre dell’atrio. Gli occorse un po’ di tempo per individuare l’interruttore.

Quando lo premette, una luce debole, marroncina come le ali d’una falena, si diffuse nell’ambiente. Vicino a lui c’era la porta della cucina, un rettangolo di oscurità senziente. Si girò, salì le scale, entrò in bagno, accese la luce, tentò di chiudere la porta. Il chiavistello era in condizioni talmente disastrose che dovette rinunciare all’idea.

Si avvicinò al lavandino, aprì il rubinetto dell’acqua fredda, infilò sotto la bocca. L’acqua scese con una violenza che non si aspettava, gli tolse il fiato, però continuò a bere. Nel giro di pochi secondi si sentiva già lo stomaco gonfio e indolenzito. Quasi soffocato, alzò la testa a prendere fiato, poi ricominciò a bere.

Poteva sentire la voce del dottor Hyall: “Lo sapevi che ai giorni bui della medicina uno dei metodi più comuni per stabilire se un individuo era epilettico consisteva nel fargli bere qualche litro d’acqua?”.

Un improvviso conato di vomito costrinse Redpath a raddrizzarsi. Si aggrappò all’orlo del lavandino, cercando di calmare gli spasimi del diaframma. Ormai era perfettamente inutile continuare. Ingoiare un’altra sorsata d’acqua significava vomitare tutto quello che aveva nello stomaco. Adesso era ora di guardare la televisione.

“E stai attento se ti capita che il televisore si guasti” diceva il dottor Hyall, sorridendogli dolcemente dal tunnel del passato. “Se bisogna regolare i comandi, specialmente il comando di stabilità verticale, lascia che ci pensi qualcun altro. Mai inginocchiarti davanti a un apparecchio con le immagini che rotolano.”

Aprì la porta del bagno, uscì sul pianerottolo, si girò verso il davanti della casa. A destra aveva la parte più lunga di pianerottolo e le scale per il secondo piano; a sinistra le scale che scendevano a pianterreno. Stava per partire verso destra, quando sotto si spalancò la porta del soggiorno e Betty York apparve nell’atrio. Arrivarono subito anche Tennent e la signorina Connie. Si misero tutt’e tre a scrutarlo.

— Stai bene, tesoro? — chiese Betty.

— Non potrei stare… meglio — rispose Redpath, lottando per pronunciare quelle parole, per pensare e non pensare. — Jack Haley… Televisione.

Gesticolò verso l’alto, cominciò a salire le scale per il secondo piano. Dietro di sé udì rumore di passi. Accelerò, raggiunse il secondo pianerottolo, corse alla sua stanza nel buio più completo. Entrò, chiuse la porta, accese la luce. Solo allora si accorse che la porta aveva un piccolo chiavistello di ottone. Restò a fissarlo per qualche secondo, poi lo spinse in avanti, proprio mentre qualcuno abbassava la maniglia.

— Cosa stai facendo, John, vecchio mio? — chiese Tennent. — Aprimi.

— Non capisci — mormorò Redpath. — Jack Haley… Televisione. — Preso il televisore, lo portò sull’altro lato della stanza, si inginocchiò (lavanti alla presa.

— Dài, John, non sai cosa ti perdi. — La voce di Tennent era carezzevole. Cominciò a cantare: — Sììììì… Fino in fondo alla strada. — Le parole della canzone si persero in un rumore violento, un rumore che poteva essere prodotto solo da due o più paia di pugni che battessero contemporaneamente sulla porta. Sullo sfondo udì anche voci di donna.

Redpath scosse la testa, in preda al panico. — Il mio film preferito. Film così non se ne fanno più… — Cercò di infilare la spina nella presa di corrente, ma non entrava. Provò altre due volte prima di capire dov’era lo sbaglio: la spina era di tipo moderno, non si adattava a quella presa, vecchia di chissà quanti anni.

— Film così non se ne fanno più — ripeté assurdamente, fissando il televisore inutilizzabile.

Smisero di picchiare alla porta. Iniziò una serie di tonfi continui, regolari: Tennent stava cercando di abbattere la porta a spallate, e ad ogni colpo il legno cedeva, s’incurvava verso l’interno della stanza. I tre sul pianerottolo non sembravano più esseri umani; e fra loro c’era qualcuno che produceva un risucchio viscido, ripugnante.

Slughhh, slughhh, slughhh.

Disperato, Redpath strappò la spina del televisore, mettendo a nudo i fili. Li arrotolò alla svelta e li infilò nei due buchi della presa, senza fare nessuna attenzione. Ci fu uno scoppiettio, una fiammata rossastra. Redpath venne scagliato nelle tenebre, che lo divorarono avidamente.

12

La tristezza pervadeva l’entità enorme, composita, che era la nave. La tristezza dei preparativi di morte.

Quell’emozione non aveva nessun rapporto col fatto che un membro della Prima Razza stesse per scomparire: era solo un rinnegato che aveva minacciato le basi stesse della sua società, e in un continuum ordinato non poteva esistere un posto per lui. E neppure importava che un’ampia zona del pianeta, il settimo partendo dall’esterno del sistema, dovesse essere resa sterile. I suoi abitanti appartenevano alla specie di esseri diffusa in quasi tutto l’universo, i simulacri. Non possedevano la capacità di comunicare con la Stella-che-vive, quindi potevano essere considerati accumuli casuali di cellule, pseudo-esseri la cui esistenza o distruzione erano prive d’importanza per il grande schema.

La tristezza che pervadeva l’entità composita della nave era dovuta al fatto che una parte della sua struttura doveva morire, doveva sacrificarsi per arrivare alla distruzione del nato-Una-Volta.

Grazie agli echi vitali residui, erano stati identificati i resti delle parti esterne della nave fuggiasca. La nave si trovava su un’isola vicina a una delle più grandi estensioni di terra. Una parte dell’involucro esterno della nave inseguitrice, vivo come tutto il resto, si era distaccata con sommo dolore dallo scafo, aveva assunto la forma adatta a penetrare ad alta velocità nell’atmosfera. Di conseguenza, una parte del corpo della nave si era già sottoposta volontariamente alla degenerazione dello stato virale. Esposta all’ossigeno, avrebbe eliminato in pochissimo tempo ogni forma di vita su una superficie molto ampia, per poi raggiungere la fase d’inattività.

Quella perdita era già insopportabile per la nave; ma la vera tragedia era che un frammento del nato-Tre-Volte, di un membro della Prima Razza, fosse costretto a separarsi dal corpo parentale per affrontare una morte sicura. Privo com’era di molti dei più primitivi poteri psionici del nato-Una-Volta, l’inseguitore non era in grado di sganciare o controllare la capsula per telecinesi. Gli era necessario sacrificare una parte del proprio essere per guidare la bomba vivente che avrebbe fatto giustizia. E la sensazione di tragedia era così forte perché quella morte sarebbe stata definitiva: in circostanze simili, non poteva verificarsi il ciclo di ingestione, purificazione e rinascita.

Però quel compito gli era stato assegnato molti anni prima, aveva accettato tutte le responsabilità che comportava, ed era impossibile tornare indietro.

Dolcemente, senza rimorsi, la capsula si staccò dal grande scafo della nave e iniziò la lunga discesa verso la Terra.

13

Redpath si risvegliò in un silenzio sia esterno sia interno, con la sensazione meravigliosa di essere ancora una creatura umana. Si sentiva normale, puro, privilegiato per il semplice fatto di essere vivo. Quella gioia così modesta durò solo una dozzina di battiti cardiaci; poi guardò l’orologio e vide che mancavano sei minuti a mezzanotte.

“Dove sono finiti? La porta ha resistito? Se ne sono andati, o aspettano sul pianerottolo che io esca?”

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