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Bob Shaw: Il terzo occhio della mente

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Bob Shaw Il terzo occhio della mente

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Fu mentre si versava il caffè della prima colazione che John Redpath s’accorse qualcosa di “strano”, di qualcosa “che non andava”, pur non riuscendo a capire che cosa fosse… Restò un momento a guardarsi intorno, poi tese l’orecchio per sentire se, tra i rumori familiari del mattino presto, nello stabile in cui abitava, ne mancasse qualcuno, ovvero ce ne fossero degli insoliti… Questo tradizionale (e insuperato) modo di cominciare una storia di fs, ben pochi oggi possono permetterselo. Bisogna infatti che un romanzo possa competere con i classici, per non deludere le aspettative suscitate nel lettore da un inizio di questo tipo. Ma per Bob Shaw, autore di “Quando i Neutri emergono dalla Terra”, la difficoltà non esiste: ogni suo nuovo romanzo, comunque cominci, s’impone immediatamente come un classico.

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La minuscola fetta di quartiere che vedeva dalle finestre del corridoio era perfettamente normale, come sempre. Gli alberi, il parcheggio sul retro, il cortile del negozio pieno di piedistalli per lampadari, la fila di case e garage: tutto gli inviava lo stesso messaggio, e cioè che solo quello era il vero universo, sicuro, immutabile, e che pensare diversamente era follia. Redpath distolse gli occhi, scese le scale, arrivò in strada. A quell’ora il traffico era scarso, c’erano solo pochi operai che andavano in fabbrica in bicicletta o in macchina; nessuno si sarebbe accorto di lui anche se girava con un televisore in mano.

Appena gli fu possibile svoltò in una via laterale, e quello fu l’inizio di una giornata di vagabondaggi casuali, nel tentativo di confondersi fra la gente.

A metà mattina comperò quattro litri di benzina a un garage, dove gli fecero pagare venti penny di deposito per una tanca ammaccata che un tempo conteneva olio per auto. Poco dopo acquistò un accendino e quattro bottiglie da un litro di limonata. A corto di soldi, troppo carico per continuare a girare, decise di trascorrere il resto della giornata in un parco. Il più vicino era il Churchill, ma se Betty York e gli altri lo stavano cercando senz’altro ci sarebbero andati, e lui non voleva incontrarli prima di essere pronto.

Raggiunse un parco più piccolo, prediletto dai pensionati perché non conteneva la zona-giochi per bambini. La giornata era calda, dolce, ideale per prendere il sole. Si sistemò con tutte le sue cose al centro di una distesa d’erba, sicuro che nessuno, e tanto meno la polizia, lo avrebbe notato. Si tolse il giubbotto e il maglione, si sdraiò qualche minuto per calmare il dolore pulsante della ferita, poi bevve un po’ di limonata. Calmata la sete, vuotò le bottiglie sull’erba e le riempì di benzina. Le tappò, le infilò nella borsa, avvolte nei fazzoletti che li sarebbero serviti da miccia.”

Dopo di che, preparato quel modesto arsenale, si sdraiò e cercò di svuotare la mente, cosa che si dimostrò eccezionalmente difficile.

Il cielo blu aveva lo stesso aspetto di sempre, ma adesso lui sapeva che era una finestra aperta sullo spazio, una finestra da cui altri occhi potevano guardare giù. Il breve contatto con l’inseguitore alieno gli aveva fatto capire che era vicino alla Terra, ma quanto vicino? Ed era possibile che in quello stesso momento, mentre lui era lì sdraiato, quella volta blu, eterea, diventasse il teatro della prima battaglia interstellare della storia umana? L’inseguitore, il nato-Tre-Volte, dimostrava un’indifferenza totale per le forme di vita diverse dalla sua; forse si sarebbe sorpreso di incontrare oggetti in orbita che rilevavano la sua presenza. Redpath dubitava che i satelliti laser, ammesso che esistessero, potessero qualcosa contro un’astronave; ma se la nave aliena arrivava a portata dei missili nucleari le cose potevano prendere una piega imprevedibile. A meno che l’astronave non potesse rendersi invisibile ai radar, magari assorbendo tutte le radiazioni incidenti.

“I fattori sconosciuti sono troppi, e poi io non so niente d’astronautica. E sto pensando a cose che non dovrei pensare…”

Nel tardo pomeriggio vide un jet che volava verso ovest, lasciando una sottile scia bianca in cielo, e si chiese come se la stesse cavando Leila. Gli venne in mente che avrebbero dovuto darsi un appuntamento telefonico, per tenersi informati. Così, invece, era costretto ad andare avanti da solo secondo i tempi previsti, sperando che lei avesse avuto il tempo di raggiungere Gilpinston e…

“Sto pensando di nuovo! Facciamo un elenco. Dieci star del cinema col cognome che inizia per A. Bud Abbott. Non c’è bisogno che siano star… John Abbott. John Agar. Brian Aherne. Woody Allen…”

Poco dopo le sei l’aria si raffreddò notevolmente e un banco di nubi avanzò dalle montagne, annunciando mutamenti atmosferici. Redpath si rimise il maglione e il giubbotto e restò al parco per un’altra ora. Mentre si preparava a ripartire scoprì, felice, di avere soldi a sufficienza per una tazza di tè caldo. S’incamminò lentamente verso il centro, mentre un buio prematuro per la stagione si addensava all’orizzonte, e prese un tè in un locale deserto. Era troppo forte e troppo dolce. Fu quasi un piacere nostalgico assaporarlo in tutti i suoi difetti.

Quando arrivò a Woodstock Road cadevano le prime gocce di pioggia, e l’aria era impregnata dell’odore di polvere. I bambini abituati a giocare per strada tornavano in casa, forse lieti di quella pioggia improvvisa che li costringeva a occuparsi ancora delle cose fra cui avrebbero trascorso l’inverno. Quando Redpath lasciò la via principale per imboccare il labirinto di stradine laterali, vide dietro molte finestre un’esplosione di luci calde, colorate. Tutti accendevano stufe, radio e televisori; le pentole cominciavano a bollire. La gente faceva una delle cose che sapeva fare meglio: obbediva alle memorie razziali, si ritirava in fondo alla caverna, al caldo. Era una serata magnifica per sbarrare le finestre, mettere le poltrone attorno al fuoco e restarsene in compagnia a chiacchierare, magari a cantare…

“C’è qualcosa che non va. Dovrei avere paura, e invece non sento niente. Non coverò il desiderio di tornare a far parte della famiglia?”

Dietro gli occhi di Redpath si agitò qualcosa.

“Se mi controlla meglio quando sono più vicino, se la sua forza cresce all’inverso del quadrato delle distanze, come riuscirò a …?”

Svoltò in Raby Street, la borsa piena di Molotov in una mano e il televisore nell’altra. Raggiunse il numero centotrentuno, come chi torna a casa dopo la lunga giornata di lavoro. Grosse gocce di pioggia precipitavano come proiettili sulle cartacce del giardino mal tenuto, tracciavano linee sulle finestre polverose, incrostavano di gioielli il muschio della facciata. Le tendine erano tirate sul bovindo, ma Redpath sapeva che la casa era di nuovo viva. Nella sua testa si agitava il serpente. Salì gli scalini davanti all’entrata, ma mentre stava per posare le sue cose gli venne ad aprire Wilbur Tennent, signorile, splendido nel suo vestito grigio chiaro. Dietro di lui, immobile sulla soglia del soggiorno, era visibile Betty York, ancora vestita come due giorni prima.

— Che piacere rivederti, John. — Tennent fece entrare Redpath nell’atrio, in una nuvola di acqua di colonia e dopobarba, e si girò verso Betty. — Te l’avevo detto che sarebbe tornato.

Lei gli si avvicinò, sorridente. — Vedo che hai portato le tue cose, tesoro. Ti do una mano.

— Ce la faccio da solo — disse Redpath, stringendo forte la borsa. — Porto questa roba in camera, se non vi spiace.

— Ma certo. Poi scendi subito. È quasi pronto da mangiare.

— Che bel televisore — commentò Tennent. — John e io potremo guardarci le corse di cavalli.

— Lascialo in pace. — Betty spinse via Tennent, lasciando libero il cammino per Redpath. Mentre passava davanti alla porta del soggiorno, Redpath diede un’occhiata dentro e vide che i mobili erano tutti al loro posto. La signorina Connie e Albert erano seduti sulle loro poltrone. Fissavano il rettangolo di vetro dietro cui ardeva il fuoco della stufa a gas. Non parvero nemmeno accorgersi del suo arrivo.

— Scendo fra un minuto — disse a Betty. — Appena ho messo a posto la mia roba.

— D’accordo, tesoro. — Betty entrò in soggiorno e chiuse la porta, lasciandolo solo nell’atrio.

Redpath portò la borsa e il televisore fino al secondo piano, oltrepassò le altre porte, entrò nella camera che Betty York gli aveva mostrato alla sua prima visita. Tutto era esattamente come lo ricordava, persino il linoleum rosa sporco di marrone. Mise il televisore su un cassettone, la borsa su una sedia, l’aprì e restò un attimo a fissarne il contenuto, perplesso.

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