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Bob Shaw: Il terzo occhio della mente

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Bob Shaw Il terzo occhio della mente

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Fu mentre si versava il caffè della prima colazione che John Redpath s’accorse qualcosa di “strano”, di qualcosa “che non andava”, pur non riuscendo a capire che cosa fosse… Restò un momento a guardarsi intorno, poi tese l’orecchio per sentire se, tra i rumori familiari del mattino presto, nello stabile in cui abitava, ne mancasse qualcuno, ovvero ce ne fossero degli insoliti… Questo tradizionale (e insuperato) modo di cominciare una storia di fs, ben pochi oggi possono permetterselo. Bisogna infatti che un romanzo possa competere con i classici, per non deludere le aspettative suscitate nel lettore da un inizio di questo tipo. Ma per Bob Shaw, autore di “Quando i Neutri emergono dalla Terra”, la difficoltà non esiste: ogni suo nuovo romanzo, comunque cominci, s’impone immediatamente come un classico.

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— Mi spiace, John — mormorò. — Mi spiace tanto. Ho tentato, anche se tu non vorrai credermi… Ma stasera dovrai cavartela da solo.

11

La famiglia era riunita di nuovo. Sedevano tutti a semicerchio nel soggiorno del pianterreno.

Betty York era vicina alla parete a sinistra della stufa, con le unghie dei piedi dipinte in rosso e le unghie delle mani dipinte d’un marrone orribile. Vicino a lei c’era John Redpath; poi veniva Wilbur Tennent, maestoso ed elegante, leggermente chino in avanti, forse per non stropicciare la giacca. Al suo fianco c’era Albert, che annuiva e sbuffava, le mani enormi intrecciate sullo stomaco, vestito come sempre di una tuta marrone e stivali logori. E accanto alla parete, sulla destra della stufa, c’era la signorina Connie, coi capelli bianchi e gli occhiali senza montatura, avvolta in un cardigan grigio e in un vestito nero lungo fino ai piedi. Sferruzzava alacremente, aggiungeva altri punti irregolari alla massa informe di lana che si intravedeva nell’oscurità alle sue spalle.

— Prima che me ne scordi, John. — Tennent infilò una mano in tasca, ne tolse un fascio di banconote strette da un elastico e le mise in grembo a Redpath. — Parsnip Bridge ha vinto, come avevo previsto.

— Grazie. — Redpath si accorse che non aveva idea di dove fossero finiti i soldi vinti due giorni prima. Per un attimo si chiese se Tennent se li fosse ripresi senza farsene accorgere, o se li avesse fatti sparire la signorina Connie per motivi che lui ignorava.

Tennent si fregò le mani, felice come un bambino. — Andiamo bene, vecchio mio. Per domani ho un paio di cavalli, e se vuoi seguire i miei consigli devi…

— Lascialo in pace — intervenne Betty. — Ti ho già detto che a John non interessano i tuoi sistemi per fare soldi in fretta.

— E perché non dovrebbero interessargli? Qualche sterlina in più fa piacere a tutti. Giusto? — Tennent, in cerca di sostegno, si voltò a guardare Redpath con un sorriso amichevole. Lo fissò per qualche secondo, mentre l’allegria spariva dalla sua faccia e nei suoi occhi s’accendeva la scintilla della perplessità. — John? Ti piace qui, vero? Voglio dire, non faresti niente per…

— Lascialo in pace — intervenne Betty. — Come fa a riposarsi se tu gli stai sempre addosso?

Tennent s’immerse nel silenzio, lanciando di tanto in tanto un’occhiata interrogativa a Redpath. Redpath, stranamente sollevato, mise i soldi sul bracciolo della poltrona, in posizione neutra. Seguì un lungo periodo in cui nessuno parlò, ma la stanza era comunque piena di piccoli rumori: il borbottio del fuoco, il ticchettio dell’orologio, il tintinnio dei ferri della signorina Connie, gli sbuffi e i sospiri di Albert. Le tendine riposavano tranquille sul bovindo. Redpath girò lo sguardo lungo la stanza, si fermò su una cosa piccola e nera attaccata alla tappezzeria. Era un insetto, forse lo stesso che aveva notato due sere prima, nello stesso posto, e vibrava seguendo lo stesso ritmo assurdo.

“Cristo, ma perché vibrano sempre? Pensavo che fosse già morto. Quanto tempo vive un insetto come quello, tra l’altro? Un rospo può vivere quarant’anni. Roba da non credere! Già dev’essere brutto essere rospo per un anno, figuriamoci per quaranta! Leila, come puoi essere morta se …?”

— Lo so io quel che ci vuole — disse Betty York, alzandosi. — Una bella tazza di tè e qualcosa da mangiare.

“Io non ne ho bisogno. Io devo bere acqua, un sacco di acqua, e guardare la televisione “.

— I panini sono pronti, tesoro, e per il tè basta un attimo. — Betty attraversò il semicerchio di poltrone che Redpath aveva davanti, e per un attimo lui vide solo i suoi lunghi capelli neri, i jeans blu, le borchie di rame. — Ti piace il Plumrose, vero?

Redpath annuì, perplesso dalla voglia improvvisa di bere acqua e guardare la televisione. “Stasera non c’è Jack Haley, no? L’ho visto ieri sera. Ma con chi ero?”.

Betty ritornò dopo pochissimi minuti. Tennent spostò la poltrona per lasciarle sistemare il carrello al centro del gruppo. Betty riempì cinque tazze da un’enorme teiera. La signorina Connie mise da parte i ferri, prese un sandwich e cominciò a mangiare con una voracità incredibile per una persona anziana dall’aspetto così fragile. Redpath guardò i panini imbottiti di carne e gli venne in mente che non aveva mangiato niente per tutto il giorno.

Si servì quattro sandwich. Arrivato all’ultimo, si accorse che Alberi non aveva preso niente né da mangiare né da bere. Leggermente incuriosito, tese la testa in avanti e vide che Albert era ancora nella stessa identica posizione di quando lui era entrato nella stanza, abbandonato sulla poltrona con le gambe distese e le mani incrociate sullo stomaco. Il suo mento enorme era più sporgente che mai; i suoi occhi erano fissi nel vuoto, come quelli di un malato sotto sedativi; e tremiti quasi continui gli scuotevano il corpo. Le sopracciglia erano madide di sudore.

Gli altri, apparentemente ignari delle condizioni di Albert, continuavano a mangiare in silenzio.

Redpath mise giù il piatto, si voltò per guardare meglio Albert. I gemiti inarticolati che Albert emetteva divennero più forti, e i suoi occhi (addolorati, supplicanti, disperati) si posarono su Redpath. Quello sguardo sembrava volergli trasmettere un messaggio, ricordargli una tremenda responsabilità che lui si era assunto. Redpath si sentì spaventato.

— Non è delizioso? — disse la signorina Connie con la sua voce stridula, sorridendo con quei denti da vecchia.

— Proprio delizioso — dissero Tennent e Betty, all’unisono.

Redpath distolse gli occhi da Alberi, si girò a guardare l’orologio, vide che le lancette sottili indicavano quasi le dieci e trenta. In un angolo remoto della sua mente ci fu un sussulto, la sensazione che il tempo passasse troppo in fretta. Prese il sandwich appena morsicato, scoprì che non ne aveva più voglia, si riaccomodò in poltrona. I suoi pensieri cominciarono a vagare. Per un motivo che gli sfuggiva, si trovò a riflettere sulla casa. La vide non come un’unità totale, ma come un insieme di diversi elementi architettonici. Quella stanza era sempre una stanza, ma adesso la vedeva anche come un volume di spazio più o meno cubico, artificialmente definito e delimitato. L’istinto gli diceva che un pavimento è una porzione di terreno solido, ma quel pavimento, per quanto sembrasse solido, era una specie di piattaforma o di ponte. Era un sandwich architettonico composto da uno strato esterno di assi, uno strato centrale di travi di legno, uno strato inferiore di calcina, e sotto… Sotto c’era la cantina della casa… Il regno delle tenebre che iniziava solo pochi centimetri sotto i suoi piedi… E c’era qualcosa…

Sussultò, sorpreso. Tennent si era girato verso di lui, gli puntava contro l’indice con una espressione di esuberanza assoluta.

— Sìììììììì… Bisogna arrivare fino in fondo alla strada — intonò Tennent. — Sìììì… Fino in fondo alla strada.

— È quello che ci vuole — disse Betty, e si mise a cantare.

Redpath gettò un’occhiata alla signorina Connie, che annuì incoraggiante; e improvvisamente si trovò a cantare, timido, esitante. I membri della famiglia cominciavano a divertirsi, come faceva tutta la gente normale di Calbridge, e se Albert non ne aveva voglia erano affari suoi.

Poco dopo Redpath guardò di nuovo l’orologio, e fu oscuramente sorpreso di scoprire che mancavano solo quindici minuti a mezzanotte. Provò ancora una volta quella sensazione strana dietro gli occhi.

“Lo so cosa sta succedendo ad Albert” pensò, aiutato dall’intuito e dalla telepatia. “Sta combattendo. Sta combattendo la mia battaglia. Sa che c’è poco tempo e cerca di aiutarmi… Ma cosa dobbiamo combattere?”

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