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Bob Shaw: Il terzo occhio della mente

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Bob Shaw Il terzo occhio della mente

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Fu mentre si versava il caffè della prima colazione che John Redpath s’accorse qualcosa di “strano”, di qualcosa “che non andava”, pur non riuscendo a capire che cosa fosse… Restò un momento a guardarsi intorno, poi tese l’orecchio per sentire se, tra i rumori familiari del mattino presto, nello stabile in cui abitava, ne mancasse qualcuno, ovvero ce ne fossero degli insoliti… Questo tradizionale (e insuperato) modo di cominciare una storia di fs, ben pochi oggi possono permetterselo. Bisogna infatti che un romanzo possa competere con i classici, per non deludere le aspettative suscitate nel lettore da un inizio di questo tipo. Ma per Bob Shaw, autore di “Quando i Neutri emergono dalla Terra”, la difficoltà non esiste: ogni suo nuovo romanzo, comunque cominci, s’impone immediatamente come un classico.

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Si alzò, guardò la stanza, e in quel momento dentro di lui esplosero frammenti di memoria. I ricordi si unirono a formare un’immagine terribile. Aveva pochissimo tempo! Ormai Leila doveva trovarsi davanti alla casa di Gilpinston; la megamorte stava scendendo sul pianeta; e lui aveva un appuntamento con qualcosa che lo aspettava in cantina.

Si alzò traballando, fu costretto a lottare perché le gambe non cedessero. Colpi martellanti gli squassavano le tempie. Osservando i fili che giacevano accanto alla presa capì di essere stato fortunato. Avrebbe potuto fulminarsi, o scatenare un attacco di grande male che sarebbe durato ore. In quel momento non riusciva a capire se avesse subìto un attacco di dimensioni modeste, o se fosse semplicemente svenuto al passaggio della corrente elettrica. Gli effetti di cui risentiva erano ambigui; ma il risultato più vitale, più importante, era essere di nuovo se stesso, sottratto al controllo esterno, libero di pensare e di agire. E quei secondi preziosi passavano in fretta.

La borsa era ancora sulla sedia, dove l’aveva lasciata. Redpath l’aprì, tirò fuori una delle quattro bottiglie, provò a girare il tappo di metallo. La bottiglia era bagnata di benzina, le sue mani madide di sudore, la presa incerta. Il tappo rifiutò di svitarsi. Bestemmiando, Redpath lanciò un’occhiata alla porta: per fortuna era abbastanza robusta da resistere all’assalto di Wilbur Tennent. In quell’istante ci fu un colpo spaventoso. La parte superiore della porta venne sfondata da un oggetto metallico, la testa di un maglio.

Redpath, momentaneamente paralizzato, restò a fissare la porta. Il maglio scomparve. La mano di Tennent si infilò nello squarcio e cominciò a cercare il chiavistello.

Redpath agì d’impulso. Prese un fazzoletto dalla borsa, lo usò per afferrare meglio il tappo della bottiglia. Questa volta il tappo si svitò subito. Infilò il fazzoletto nel collo della bottiglia, poi strinse la molotov nell’incavo del braccio e tirò fuori un’altra bottiglia. Dovette lottare di nuovo col tappo. Era appena riuscito a toglierlo, quando il chiavistello della porta si aprì con uno scatto secco.

Tennent entrò nella stanza. Aveva in mano il maglio, e i suoi occhi erano quelli di un cadavere.

Con lui c’erano Betty York e la signorina Connie. Tutt’e due avevano in mano uno scalpello da muratore, del tipo che si usa per scavare le pareti: oggetti appuntiti, capaci di fracassare il cranio. Una parte del cervello di Redpath, come per sfuggire alla realtà, notò che gli attrezzi erano nuovi e pensò: «Ma che brava, signorina Connie. Pensi sempre a tutto”.

— State indietro — ordinò. La sua gola era secca. Chissà se quei tre burattini capivano ancora il linguaggio umano. — Non voglio farvi del male. Avete capito?

La signorina Connie lo fissò stralunata ed emise una serie di gorgoglii orrendi. Poi, anche se fra lei e Redpath c’era il letto, avanzò tranquillamente, salì sul materasso con una agilità innaturale.

Tennent e Betty girarono attorno al letto. Redpath indietreggiò, agitò la bottiglia aperta, lanciando benzina da per tutto. I tre, colpiti dal fluido volatile, si fermarono un attimo, poi ripresero ad avanzare. Tennent stringeva forte il maglio, era pronto a usarlo per commettere un omicidio; e le due donne muovevano nell’aria gli scalpelli, come serpenti.

— Fermatevi — mormorò Redpath. Poi lasciò cadere la bottiglia vuota e tolse di tasca l’accendino. Betty sibilò, si lanciò avanti. Redpath girò la rotella dell’accendino. La sua mano prese fuoco, fu avvolta da una fiamma giallastra, debole. Spinse lontano Betty, le incendiò i vestiti. Betty andò a sbattere contro Tennent. La signorina Connie si lanciò su di lui dal letto, come uno spaventapasseri animato. Redpath sentì un dolore improvviso alla spalla sinistra. La colpì con la mano in fiamme e la fece cadere; poi saltò sul letto. Con un solo balzo arrivò alla porta e si precipitò sul pianerottolo. Nella stanza, Tennent si era tolto la giacca, la stava usando per spegnere gli abiti di Betty. La signorina Connie si era già rimessa in piedi e stava stracciando il vestito nero.

La fiamma che avviluppava la mano di Redpath si spense con lo spostamento d’aria, lasciando un dolore acuto. Timoroso che la camera da letto potesse esplodere, Redpath corse giù per le scale, continuando a stringere l’altra molotov. Raggiunse il pianerottolo del primo piano, lo attraversò di corsa, si mise a scendere verso il salotto. A metà delle scale si fermò di colpo. La porta del soggiorno era aperta, rettangolo di luce nel buio della casa; e sulla soglia spuntava un paio di stivali logori.

“Albert mi sta aspettando! Potrei raggiungere lo stesso la porta d’ingresso, ma è piena di chiavistelli, e intanto che io cerco d’aprire lui avrebbe tutto il tempo di prendermi alle spalle. E con due mani come le sue non ha nemmeno bisogno del maglio o degli scalpelli…”

— Slughhh, slughhh — disse una voce sopra di lui, spaventosamente vicina. Una figura scheletrica coi capelli bianchi, vestita solo di una sottoveste grigia, cercò di afferrarlo dalla ringhiera del pianerottolo. Scostò quelle mani adunche con un colpo di braccia, sentì dei passi risuonare più in alto sulle scale, si lanciò con un salto fino a pianterreno. Rizzandosi subito in piedi, si precipitò verso la cucina.

“È quasi fatta, amico! Apri la porta della cantina, dài fuoco al fazzoletto, lancia la bottiglia sulle scale, poi esci dalla finestra della cucina. Al cinema l’hai visto fare centinaia di volte, e se ci riesce un tipo come Randolph Scott…”

Redpath piombò nella cucina buia, andò a destra, spalancò la porta rossa che dava in cantina. Sotto di lui si spalancavano tenebre profondissime, che esalavano un respiro caldo. Ignorando il terrore che minacciava di farlo cadere in ginocchio, alzò l’accendino, diede un colpo alla rotella. La fiamma non si accese. Riprovò, mentre l’atrio risuonava di passi, e di nuovo non ottenne nessun risultato.

“La valvola! Ho dimenticato di abbassare la maledetta valvola del gas!”

Infilò l’accendino sotto il fazzoletto umido di benzina. Stava per girare la rotella, quando qualcosa si abbatté contro la porta della cantina a tutta velocità. La porta colpì Redpath alle spalle, lo scaraventò sul primo gradino. Perse l’equilibrio, scivolò in giù di altri gradini. La bottiglia gli sfuggì di mano, scomparve nelle tenebre, con una serie di colpi sempre più forti.

Un colpo, due, tre… Silenzio.

“Avrebbe dovuto rompersi! Il pavimento è di cemento… La bottiglia avrebbe dovuto rompersi!”

Si accese la luce, e nello stesso istante il maglio passò con un sibilo sopra la testa di Redpath, andò a finire contro la parete al suo fianco, scavando un buco nel cemento. Wilbur Tennent, che adesso indossava solo il giubbotto e i pantaloni, era sopra di lui, lo guardava con quei terribili occhi da cadavere e si preparava già a lanciare il maglio per la seconda volta. Redpath non aveva alternative. Corse giù per la scala; e quando arrivò quasi in fondo, ormai nell’impossibilità di tornare su, si accorse che il pavimento e le pareti erano ricoperte quasi interamente da una poltiglia molliccia, color rosso-marrone. Sembrava una massa di sangue semicoagulato e di pezzi di fegato, e si muoveva. Si stava ritirando dal fondo delle scale, lasciando libera una zona di pavimento che aveva al centro la bottiglia di Redpath.

“Mio Dio, l’incubo era vero! Sono finito nello stomaco della casa!”

Ormai oltre i limiti del terrore, col cervello sconvolto, Redpath raccolse la bottiglia, indietreggiò nell’angolo vicino al fondo delle scale. La poltiglia oscena smise di ritirarsi, prese ad avanzare verso di lui, protendendo tentacoli che si ricoprivano di liquidi gorgoglianti e venivano riassorbiti dalla massa centrale.

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