— Una volta ho pilotato la mia nave verso un mondo di piccoli animali deformi dall’incredibile fetore — replicò Paul-Thomas. — Entravano e uscivano correndo da antichissimi edifici in rovina, opera di una razza intelligente. Gli esperti cui ho fatto esaminare alcune di quelle piccole mostruosità mi hanno detto che essi erano tutto ciò che restava di una razza intelligente. Minuscole creature abominevoli la cui unica attività consisteva nell’insozzare, eppure gli esperti mi garantirono che prima di diventare così erano assai simili all’uomo.
— Conosco la razza di cui parli — disse Ouden. — Sono uno dei miei più grandi trionfi.
— Vattene, ora! — gridò Paul-Thomas. — Tu sei un nulla, un fantasma, si può ordinare a un fantasma di andarsene!
— Non me ne andrò mai. In tutta la tua vita, sarò sempre seduto al tuo fianco, e alla fine soltanto uno di noi sarà ancora capace di alzarsi in piedi, e sarò io. Ti succhierò anche il midollo.
— Ho qualcosa che non sai, e che non puoi succhiarmi via — ribatté Paul-Thomas.
— Molto meno di quanto tu credi.
Il mostro Ouden era scomparso. Paul, e Thomas More, e Rimrock l’ansel sonnecchiavano. Era stato soltanto un sogno, chissà come sopravvissuto al passaggio.
— Guardali come dormono! — gridò il gigantesco Battersea, scoppiando a ridere. — In piedi, voi tre! Siamo in assetto di guerra per riportarvi indietro, e Rimrock deve concentrarsi per garantirci i contatti.
— Qualunque sia il tuo lavoro su Astrobia, devi farlo, bello o brutto — disse Shanty. — Non si salva un mondo pisolando a mezzogiorno. Vieni, ti faremo passare attraverso gli Assassini e ti condurremo dagli uomini importanti che ti aspettano. Poi ti lasceremo solo con loro, e sarai padrone di diventare simile a loro!
Battersea, Shanty, Copperhead e gli altri guidarono una vera spedizione in assetto di guerra. C’erano armi e mezzi d’assalto, e gli Assassini furono travolti. Paul, Thomas e l’ansel si allontanarono dall’abominio del Barrio e di Cathead, dal Marinaio nudo e da diecimila altri bordelli, girarono intorno a Wu Town ed entrarono nell’immensa Cosmopoli, la capitale di Astrobia.
Qui ci si dimenticava della miseria, c’erano opulenza e comodità, bellezza e dignità sia negli edifici che nelle persone, un autentico mondo dorato, la concreta immagine dell’ideale. Era il più bello e il più civile tra i mondi, il più pacifico, quello in cui la libertà regnava sovrana. Smagliante.
E nel cuore di Cosmopoli i tre grandi, insieme al quarto, erano già in contatto con l’ansel e sapevano della loro venuta. E aspettavano il loro gettone vincente dal Passato, quel gettone misteriosamente scomparso due giorni prima al momento dell’atterraggio.
L’opulenza della parte civile di Astrobia sfidava ogni comprensione. Thomas aveva la mente pronta e l’occhio svelto, ma ugualmente fu abbagliato dalle meraviglie che sfilavano davanti a lui. Qui sorgevano le dimore e gli altri splendidi edifici per milioni e milioni di persone, grandi città seguite da altre grandi città, il tutto immerso nel lusso, nella bellezza e negli agi. Ma non soltanto gli edifici, le strade e i parchi trasudavano perfezione. La gente era elegante e ben nutrita, aveva un’aria incredibilmente civile, e osservava con occhi divertiti, in un misto di comprensione e disprezzo, la carovana che avanzava. Erano i veri re di Astrobia. Ognuno di loro era un re, e ogni donna una regina.
— È Roma risorta cento volte più grande — dichiarò Thomas. — Vi è maestosità e potere, qui, per il bene e per il male. Come del resto hanno sempre voluto le genti. Qui tutti i sogni sono diventati realtà, qui c’è la pentola d’oro dell’arcobaleno, la Perla Nera, qui la terra è ricca e la civiltà possente, è la Terra oltre le Colline dello zampognaro irlandese, il Favoloso Brazil, il Giardino delle Esperidi.
— Calma, Thomas, è un sepolcro imbiancato… Ma quanto è lucido e splendente, non trovi? — disse Evita in tono canzonatorio. Chi era Evita? cosa faceva qui? si chiese Thomas. Una fanciulla ammiccante, un sortilegio?
— Chi sei, bambina? — esclamò. — Che cosa fai nel mio gruppo? Come mai, pur essendo solo una marmocchia, ti conoscono tutti in questo mondo?
Ma Evita non rispose. Thomas non riuscì mai a sapere chi fosse esattamente, e neppure gli altri furono mai certi della sua identità.
— Dove stiamo andando? — chiese Thomas. — Io dirigo l’orchestra, e tocca a me agitare la bacchetta. Non voglio essere guidato per mano, come un bambino. Devo dire io ciò che va fatto.
— Appunto — interloquì Walter Copperhead, il negromante. — Noi parliamo soltanto a nome tuo. Stiamo eseguendo i tuoi ordini.
— Ma io non ho ordinato nulla — ribatté Thomas. — Tutto sta accadendo troppo rapidamente per me.
— È stata la tua mente a dare gli ordini — spiegò Rimrock l’ansel.
— Ti li visualizzi in un contesto romano o inglese e noi li adattiamo ad Astrobia. È un trionfo che tu vuoi per te stesso, non per orgoglio e vanità, ma per imporre un regime solido e fiorente. Ho trasmesso i tuoi ordini ai potenti ansiosi, ai grandi di Astrobia, e anche Copperhead li ha trasmessi. Abbiamo ordinato che si riunissero; hanno rifiutato ma lo stanno facendo. Sono sbalorditi, pieni di meraviglia ancora prima di averti visto.
— Rimrock, tu diventeresti ricco sfondato, a fare il prestigiatore in qualche fiera di campagna nella vecchia Inghilterra. Nessuno zingaro è mai riuscito a lanciare così bene un incantesimo. Ma dove stiamo andando?
— Al Palazzo delle Convocazioni come tu stesso hai deciso, mio caro Thomas; questo per afferrare subito quanto di meglio ci viene offerto, poiché siamo sulla cresta dell’onda. Tu sarai un’apparizione improvvisa e accetterai l’investitura e il ruolo mistico del Maestro del Passato.
— Non so neppure che cosa sia il Palazzo delle Convocazioni — disse Thomas, mentre proseguivano a bordo del carro corazzato di Battersea attraverso la splendida Cosmopoli. — Chi si è riunito lassù?
— Senz’altro si saranno riuniti tutti coloro ai quali l’hai ordinato — rispose Rimrock l’oceanico. — Ogni particolare si risolverà da solo mentre avanziamo, e sempre a nostro vantaggio. C’è una piccola, sanguinosa battaglia in corso a causa delle Trombe dell’Esultanza… Si tratta in verità di dodici piccole battaglie in altrettante torri intorno al Palazzo. Le Trombe non suonano da più di vent’anni, ma tu hai saggiamente deciso che dovranno squillare per te. Per fortuna i tuoi seguaci stanno vincendo queste piccole battaglie sanguinose.
— Non sapevo di avere dei seguaci — disse Thomas.
Erano giunti ai bordi di un’immensa piazza; si fermarono e scesero dal carro. Avanzarono tra le file di altissimi pioppi e il cielo sembrò spalancarsi, le Trombe dell’Esultanza lanciarono squilli laceranti e dorati come dodici arcangeli annuncianti un secondo Avvento. Le porte dorate del Palazzo delle Convocazioni si aprirono nel medesimo istante in cui le trombe squillarono. Era un effetto grandioso, accuratamente studiato duecento anni prima. Questo era il suo momento di gloria: la turba cenciosa sembrò risplendere di luce propria.
Tutti i grandi di Astrobia sedevano nella cerchia più alta, stupiti, alcuni presenti per propria volontà, altri no. Molti erano venuti, irresistibilmente attratti, pur protestando che non volevano. Quel qualcosa che li costringeva li lasciava perplessi, poiché erano esperti dei fenomeni della mente.
Thomas More e i suoi erano in piedi, in mezzo all’arena, ma ai grandi non fu consentito guardarli dall’alto al basso.
Tutti i grandi, infatti, si alzarono, e non avrebbero voluto. I grandi d’Astrobia si alzavano soltanto in presenza di un superiore, ma in quell’istante balzarono tutti in piedi: Kingmaker, Proctor, Foreman, Pottscamp, Northprophet, Dobowski, Quickcrafter, Haddad, Chezem, Treva, Goldgopher, Chu, Sykes, Fabelo, Dulldoggle, Potter, Landmaster, Salver, Stoimenof, principi e duchi, una mezza dozzina di ex Presidenti di Astrobia, i più grandi scienziati, i cervelli, i progettisti del mondo.
Читать дальше