— Si apre come un ombrello — spiegò Deirdre. — Per farlo immergere bisogna attaccare i pesi all’apposito gancio. Il sacco di tela viene poi infisso nel tubo metallico. Appena lasciata libera la draga affonda come un ombrello chiuso e rovesciato, ma appena tocca il fondo i pesi agiscono sugli alberi minori e lo fanno aprire. A questo punto esplode automaticamente una carica esplosiva contenuta nel tubo. È un esplosivo speciale il quale libera un gas che fa aprire il sacco e lo gonfia. Questa specie di pallone riporta lo strumento in superficie con le stecche aperte e le reti tese. Risalendo raccoglie tutto ciò che trova sul suo percorso. Man mano che la pressione diminuisce il gas esce regolato da una speciale valvola. Questo è solo un prototipo sperimentale, ma se il nostro tentativo riesce vi si possono apportare alcune modifiche adattandolo a diversi scopi.
— Sarà come svegliare ciò in cui non crediamo — commentò Terry. — L’esplosione sveglierà tutto ciò che esiste nelle vicinanze. Altro che i colpi battuti contro lo scafo dell’“ Esperance ”.
Deirdre sorrise, pensosa, e non disse niente.
Il pesante rimorchio rallentava la velocità dello yacht. Solo dopo il tramonto il panfilo arrivò nel punto stabilito: il punto dove la notte precedente avevano trovato le acque rigurgitanti di pesci impazziti. E poiché occorreva una perfetta visibilità per individuare subito il sacco quando la draga sarebbe risalita, venne deciso di aspettare il mattino seguente.
Poco prima dell’alba all’orizzonte apparvero delle luci: bianca in alto, rossa e verde ai lati. Si avvicinava una grossa imbarcazione. Poco dopo l’unità virò di bordo, diminuì la velocità e fu possibile riconoscere il “Pelorus”. Il giorno spuntò in un trionfo d’oro. Il “Pelorus” scintillava al sole. Dai fianchi del grosso battello era uscita una specie di enorme pesce con appesa sotto una sfera. Il tutto fu calato lentamente in acqua e rimase a dondolarsi sulle onde.
Per parecchio tempo non accadde altro. Poi la linea di galleggiamento dell’apparecchio aumentò leggermente. Stavano riempiendo di carburante il serbatoio: benzina, più leggera dell’acqua e praticamente refrattaria alla pressione.
A bordo dell’“ Esperance ” avevano azionato l’argano per accostare il rimorchio e sollevarlo sul ponte. Sotto il peso della draga il panfilo si inclinò notevolmente. I quattro ragazzi controllarono le reti e si occuparono del sacco. Davis sistemò la carica esplosiva nel tubo.
Poi dal “Pelorus” venne un impaziente ululato di sirene, e Nick scese nella cabina radio. Ritornò poco dopo.
— Ci informano che saranno pronti per l’immersione fra un paio d’ore — riferì. — Siccome temono che il nostro apparecchio interferisca con il loro, ci chiedono se possiamo immergere subito la draga in modo che risalga prima della discesa del batiscafo.
— Rispondi che la manderemo giù tra cinque minuti — brontolò Davis.
L’apparecchio dell’“ Esperance ” aveva un aspetto goffo, ma era funzionale. Cinque minuti più tardi la cima dell’albero centrale della draga si trovava a livello della superficie. — Via! — ordinò Davis.
Doug mollò il cavo che sosteneva la draga e l’apparecchio affondò lentamente. Dal registratore sincronizzato anche sull’ascolto, venne lo sciacquio delle onde, accompagnato di tanto in tanto da qualche borbottio. Venti, trenta minuti passarono senza che accadesse niente.
Poi arrivò l’eco di uno schianto: la carica esplosiva era entrata in funzione. Il registratore fissò su un nastro il rumore basso e profondo.
Il sole salì nel cielo e il vento aumentò. Le onde si inseguivano senza posa.
Molto, molto tempo dopo, il sacco di tela gonfio di gas riaffiorò. Dal “Pelorus” venne un colpo di sirena, e Nick tornò a scendere sottocoperta. Pochi minuti, e tornò a riferire.
— Avvertono di non lasciare la draga alla deriva. Adesso fanno immergere il batiscafo senza uomini a bordo per controllare che tutto funzioni. Non vogliono altri oggetti in mare.
— Digli che si ritengano baciati in fronte e che non si preoccupino — scattò Davis. — E che anche se siamo dilettanti, le cose basta dircele una volta sola!
L’“ Esperance ” si accostò al sacco galleggiante. Jug si sporse fuori bordo, e lo agganciò con un arpione. L’argano lo sollevò dall’acqua. I blocchi di cemento erano scomparsi, e il contenuto delle reti non offriva un bello spettacolo: un pesce con strane appendici frangiate, un Linophrine Arborifer, specie che vive a quattromila metri di profondità, giaceva tra le maglie dilaniato dalla diversità di pressione poiché la sua vescica natatoria non era stata perforata; un Opistkoproctus Grimaldi, un Gonostoma, un Myctophum, e tante altre creature, grottesche come i loro nomi scientifici, erano nelle stesse condizioni. Tutti pesci degli abissi fatti a pezzi dalla differenza di pressione.
— Questo aggeggio funziona — commentò Davis. — Quasi quasi avrei preferito far fiasco. Ricalate il tutto in mare mantenendo l’apparecchio accanto allo scafo. Ci libereremo di quei resti appena il “Pelorus” ce ne darà il permesso.
Passò altro tempo. Il batiscafo ormai era completamente immerso. Dalla superficie del mare spuntava soltanto la minuscola torretta attorno alla quale alcuni uomini si davano da fare.
Poi il grosso battello chiamò lo yacht. L’“ Esperance ” confermò che la draga era risalita e che sarebbe stata ormeggiata.
Il batiscafo iniziò l’immersione. Sullo yacht il registratore cominciò a fissare dei muggiti profondi che salivano dagli abissi.
Poco dopo i misteriosi suoni cessarono.
Due ore più tardi le onde andarono a infrangersi contro un oggetto alla deriva.
Il “Pelorus” diresse con prudenza in quella direzione mentre alcune lance del battello circondavano l’oggetto emerso. Il “Pelorus” fece manovra e i suoi uomini fissarono alla murata una grossa boa. Quasi nello stesso istante il vento cambiò increspando la superficie delle acque e all’“ Esperance ” giunse un forte odore di benzina.
— Dev’essere successo qualcosa — disse Davis. — Quelli stanno scaricando la benzina in mare. Allontaniamoci da questa puzza! L’“ Esperance ” si portò sopravvento. Dal “Pelorus” incominciarono a sollevare qualcosa dall’oceano. Il panfilo di Davis accostò per vedere meglio e passò a non più di cinquanta metri dal grosso battello proprio nel momento in cui dal mare emergeva il batiscafo.
La torretta era scomparsa, strappata via da una forza inconcepibile. La sfera metallica, dello spessore di dieci centimetri, era contorta e squarciata. Metà non esisteva più addirittura.
Il batiscafo, costruito per resistere a una pressione di dieci tonnellate per centimetro quadrato, era stato sventrato e distrutto. Qualcosa aveva addentato la sfera. Addentato !
Nessuno a bordo dell’“ Esperance ” fece commenti.
Arrivati a mezzo miglio dalla nave oceanografica, Davis disse con voce strana: — Mollate la draga. Non faremo altri tentativi. Qualcuno si incaricò di tagliare il sacco ancora gonfio di gas. Qualcun altro recise la grossa gomena che rimorchiava lo strumento. E la draga affondò lentamente. Non sarebbe riaffiorata mai più.
L’“ Esperance ” virò di bordo, puntando a nord. Nessuno parlava. Pareva che il panfilo volesse allontanarsi il più silenziosamente possibile da quella scena di distruzione: un gioiello della tecnologia terrestre, addentato!
Molto tempo dopo Deirdre domandò: — Avete fatto qualche ipotesi, Terry?
— Sì — rispose il giovane.
— Di che genere?
— Tanto io quanto vostro padre abbiamo voluto negare apertamente che la draga aveva il compito di far muovere ciò che provoca gli assembramenti di pesce in superficie per poi aspirarli verso il fondo. Mi sono dichiarato d’accordo con lui nel negare l’esistenza di una forza in grado di provocare un fenomeno del genere, ed entrambi ci siamo detti fino all’esasperazione che, non essendoci niente sul fondo, non avremmo provocato niente di eccezionale con il nostro esperimento. E così abbiamo mandato giù la draga, e poi il batiscafo…
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