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Frederik Pohl: Il lungo ritorno

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Frederik Pohl Il lungo ritorno

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Sono gli Hakh’hli. Sono alieni. Si nutrono di carne umana. Il lungo viaggio nello spazio era alla fine. Sandy, l’umano cresciuto su un’astronave degli extraterrestri Hakh’hli, era pronto al ritorno sulla Terra. Gli alieni erano animati dalle migliori intenzioni.. Solo la scienza Hakh’hli poteva risolvere il problema di trasformare i pianeti. I terrestri avevano bisogno di quel contatto. Ma c’era da fidarsi?

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Oltre a tutto ciò, vi era il terribile problema del materiale da usare per confezionare gli abiti. Le migliori immagini televisive terrestri a disposizione degli hakh’hli mostravano chiaramente i colori e in alcuni casi anche il tipo di tessuto di alcuni abiti tipici, ma vi erano sempre dei dettagli che nessuno sull’astronave era in grado di comprendere. Gli studiosi più abili, consultando oltre un secolo di trasmissioni televisive terrestri, erano riusciti a imparare molte cose e a dedurne altrettante attraverso confronti e paragoni di vario genere, ma non erano comunque stati in grado di stabilire se un particolare capo di abbigliamento dovesse essere composto da tessuto sottile o spesso, se dovesse essere foderato o meno, o anche come andasse effettivamente messo assieme. Naturalmente, questi particolari erano più importanti per Sandy che per qualsiasi altro membro della sua coorte, poiché questi ultimi indossavano già da tempo abiti terrestri, o almeno qualcosa di simile. I sei giovani hakh’hli che accompagnavano Sandy in ogni fase della sua vita indossavano infatti pantaloncini corti, modificati per poter ospitare le loro possenti zampe posteriori, giacchette a maniche corte, e ogni tanto addirittura dei cappellini. Le scarpe erano qualcosa di pressoché impossibile da indossare per un hakh’hli, date le dimensioni dei suoi piedi, ma alle volte alcuni accettavano di infilarsi qualcosa di simile a sandali. Lisandro invece si vestiva sempre come un terrestre in tutto e per tutto. Gli era stato persino richiesto di allenarsi a “fare il nodo della cravatta” davanti a uno specchio, come apparentemente facevano quasi tutti i terrestri di sesso maschile. Tuttavia, nulla di ciò che Sandy aveva dovuto imparare fino ad allora era servito a prepararlo per il gravoso compito della selezione che si apprestava ad affrontare in quel momento. — Non posso indossare abiti del genere! — esclamò. — Come faccio a defecare?

— Gli ftudiofi dicono che la migliore cofa da fare è togliere il pantalone — lo rassicurò MyThara. — Vedrai che non avrai alcun problema, Lifandro.

— Ma avrò l’aspetto di un imbecille!

— Farai molto elegante, invece — promise MyThara mentre inseriva nell’apparecchio le scelte finali. — Le femmine della Terra ti leccheranno la lingua, ne fono ficura. — Sandy riuscì a mantenere un’espressione scocciata, ma internamente il suo cuore ebbe un vero e proprio sobbalzo a quel solo pensiero. — E ora preparati per il pasto di mezzogiorno — concluse MyThara.

Dato che il carrello con il pranzo di mezzogiorno non era ancora arrivato, i componenti della coorte avevano deciso di dedicarsi a una partita di pallacanestro, sia per mantenersi occupati che per scaricare parte della tensione nervosa accumulata dalle loro giovani e pulsanti ghiandole.

La loro idea della pallacanestro non era del tutto regolamentare. Giocavano in tre per squadra, con uno come arbitro; naturalmente, dato che Sandy era rimasto con MyThara a scegliere i vestiti, in quell’occasione avevano iniziato senza arbitro. La palla non rimbalzava esattamente allo stesso modo in cui l’avevano vista rimbalzare nelle immagini televisive delle partite fra i Knicks e i Lakers, e la loro stanza non aveva nulla a che vedere con un campo regolamentare. Ciò nonostante, facevano del loro meglio. Sandy Washington cercava sempre di convincere gli altri a giocare a quel gioco, poiché era forse l’unico in cui, certe volte, era in grado di batterli. Loro erano decisamente più forti, ma lui era più veloce.

Così, Sandy convinse Obie a uscire dalla partita per fare l’arbitro (cosa piuttosto facile, dato che a Obie non piaceva particolarmente quel gioco) e si buttò nella mischia. Non era certo una grande partita come quelle che usavano fare tempo addietro, 12 contro 12, prima che la loro coorte venisse isolata dalle dozzine di altre con le quali erano cresciuti, ma era ugualmente una buona partita. La nave ora si era raffreddata, dato che si stava finalmente allontanando dal sole del sistema della Terra che era stato sfruttato per rallentare la propria corsa. Per Sandy Washington, quest’ultimo fattore aveva aspetti sia positivi sia negativi. Era un bene perché gli altri componenti della coorte non sudavano così tanto, ma nel contempo era anche un male, perché si stancavano meno rapidamente.

Lui però si stancò abbastanza presto, e abbandonò la partita molto prima che arrivasse il carrello del pranzo. Obie riprese il suo posto in squadra, e mentre gli altri giocatori si smarcavano, Polly uscì dal campo zoppicando e si avvicinò a Sandy, massaggiandosi la coscia nel punto in cui l’aveva colpita Obie rientrando in campo.

— Mi ha fatto male — si lamentò.

— Tu sei più grande di lui — osservò Sandy. — Buttalo fuori.

— Oh, no! — Polly assunse un’espressione scandalizzata. Non spiegò i suoi motivi, ma del resto non ve n’era bisogno. Ormai tutti quanti si erano resi conto che Obie stava per entrare nel suo periodo di fertilità, e di conseguenza era logico che Polly non facesse nulla che potesse renderglielo nemico. — Perché non vai a prendere il carrello del pranzo, dato che non stai giocando? — domandò.

— Sono andato ieri — ribatté Sandy. — Oggi tocca a Elena.

— Ma così si interromperà la partita — insistette Polly con tono irritato.

— Non me ne importa niente — ribatté Sandy.

Si alzò in piedi e si allontanò, fermandosi in un angolo a guardare la Tv sul suo monitor personale. Di regola, durante le ore dei pasti i componenti della coorte potevano guardare qualsiasi programma desiderassero alla TV, a patto che fosse in lingua inglese, così almeno imparavano. Sandy scelse un vecchio film intitolato La primula rossa. Non era certo il suo film preferito, e non poteva nemmeno far finta che una simile visione potesse contribuire alla sua educazione sugli usi e i costumi terrestri. Tanto per iniziare i vestiti erano tutti sbagliati, e in più nessuno, nemmeno gli studiosi hakh’hli, era mai riuscito a stabilire chi stesse dalla parte del torto e chi dalla parte della ragione in quel complicato dramma storico sulla Rivoluzione francese. Sandy però guardava quel film in continuazione, letteralmente affascinato a ogni visione, soprattutto perché il protagonista era una spia. E in fondo era proprio quello il ruolo che gli hakh’hli gli avevano assegnato.

2

A bordo dell’enorme astronave vi sono almeno 22.000 hakh’hli viventi, ma vi è un solo Sandy Washington. Così accade che alle volte Sandy si senta un po’ in soggezione. Infatti, oltre a essere il solo del suo genere, è anche di gran lunga l’essere vivente adulto di dimensioni più ridotte di tutta la nave, escludendo naturalmente gli animali da macello. Un hakh’hli adulto pesa mediamente dai 150 ai 400 chili, a seconda dell’età e dello scopo per il quale è stato generato. Gli addetti alle sale motori e gli operai per le riparazioni esterne, per esempio, possono essere grandi quasi quanto i più vecchi Grandi Anziani, anche se per motivi occupazionali non arrivano quasi mai a vivere altrettanto a lungo. Per quanto tutti gli hakh’hli condividano fondamentalmente le stesse caratteristiche fisiche (arti anteriori corti e pieghevoli, muso lungo e appuntito simile a quello di un collie e forti zampe posteriori possenti come quelle di un canguro) alcuni elementi specializzati posseggono zampe più forti, o code più corte, e alcuni non posseggono nemmeno la coda. Le “mani” degli hakh’hli sono dotate di tre dita “normali”, di due pollici e di una sesta protuberanza corta dotata di artiglio chiamata “tutore”. Nel complesso sono piuttosto simili alle mani umane, solo che il dito tutore spunta fuori da quello che in una mano umana non è altro che la base del palmo. E se gli hakh’hli della nave sono diversi fra loro, gli innumerevoli hakh’hli che vivono sui loro mondi natali lo sono ancor di più; in parte perché hanno più funzioni da soddisfare, e in parte semplicemente perché sono in numero decisamente superiore rispetto a quelli sulla nave. In totale, sui pianeti del loro sole nativo e sui due sistemi solari più prossimi che hanno colonizzato, vivono oltre mille miliardi di hakh’hli. Nessuno degli hakh’hli presenti sulla nave però ha mai visto nessuno di questi altri mille miliardi di hakh’hli esistenti. Allo stesso modo, nessuno degli altri mille miliardi di hakh’hli esistenti ha mai visto quella nave, fin dal giorno in cui è partita per il suo lungo viaggio, 3.000 anni terrestri prima.

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