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Frederik Pohl: Il lungo ritorno

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Frederik Pohl Il lungo ritorno

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Sono gli Hakh’hli. Sono alieni. Si nutrono di carne umana. Il lungo viaggio nello spazio era alla fine. Sandy, l’umano cresciuto su un’astronave degli extraterrestri Hakh’hli, era pronto al ritorno sulla Terra. Gli alieni erano animati dalle migliori intenzioni.. Solo la scienza Hakh’hli poteva risolvere il problema di trasformare i pianeti. I terrestri avevano bisogno di quel contatto. Ma c’era da fidarsi?

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Ormai mancava veramente poco all’arrivo sul pianeta Terra, e di conseguenza anche Sandy e i suoi compagni di coorte dovevano fare i loro turni di lavoro. Alle volte il lavoro consisteva nella raccolta delle piante commestibili, che implicava anche la pulizia dei tuberi dal terriccio accumulato e la separazione dei fusti dalle foglie. Altre volte si trattava invece di staccare i boccioli dalle stesse piante quando erano in fase di fioritura, o di raccogliere le sfere biancastre che erano i loro frutti. Tirare fuori i tuberi dalla terra era un lavoro sporco, ma non era nemmeno paragonabile a ciò che andava fatto a fine raccolto. A quel punto infatti la terra doveva essere preparata per la semina successiva, e il compito della coorte consisteva nel prendere secchi di detriti liquidi dalle stazioni di riciclaggio per mischiarli al terreno. Le piante commestibili hakh’hli erano una vera e propria meraviglia, nel senso che ogni singola loro parte era commestibile, altamente nutritiva, e poteva essere preparata e mangiata in centinaia di modi diversi. Tuttavia, le piante prosciugavano letteralmente il terreno in cui crescevano, e di conseguenza a ogni nuova semina andavano restituite alla terra le sue sostanze nutritive. Queste ultime venivano fornite dalle stazioni di riciclaggio, che trasformavano in una melma scura qualsiasi tipo di detrito alimentare che passasse attraverso gli scarichi dei rifiuti organici e attraverso i sistemi digestivi dei membri dell’equipaggio.

Ma anche quel lavoro non era poi tanto male se paragonato alla pulizia delle stalle degli hoo’hik, gli animali da macello a quattro zampe pallidi, docili e pelosi. Gli hoo’hik erano grandi come lo stesso Lisandro e avevano un carattere generalmente docile e affettuoso. A dir la verità puzzavano parecchio, e le loro feci erano ancora peggio, ma erano decisamente molto affettuosi, tanto che capitava spesso che qualcuno di loro premesse dolcemente il muso contro il corpo di Lisandro, anche mentre li portava al macello; in alcune occasioni, li aveva addirittura visti sollevare le loro zampe pelose per accarezzare dolcemente il macellaio stesso, mentre attendevano con espressioni inebetite il colpo che li avrebbe uccisi. Gli hoo’hik non avevano praticamente nulla a che vedere con i cani e i gatti che Sandy aveva visto alla TV terrestre, ma allo stesso tempo erano la cosa più simile a un cane o a un gatto che ci fosse da quelle parti. A volte Lisandro si ritrovava a desiderare di avere un cucciolo di hoo’hik come animale domestico. Ma naturalmente una cosa del genere era del tutto impossibile. Nessun tipo di animale domestico poteva essere ammesso sulla grande nave hakh’hli.

A meno che non si consideri come tale lo stesso Lisandro Washington.

— Su, sbrigatevi, sbrigatevi — ripeteva in continuazione MyThara mentre la coorte si soffermava a guardare con aria malinconica ogni corridoio e compartimento davanti al quale si trovasse a passare, zone che erano sempre state a loro disposizione e alle quali ora era stato negato l’accesso. Gli hakh’hli che incontravano si fermavano tutti per osservarli, poiché la Coorte Missione Terra era ormai diventata la più famosa di tutta la nave. In condizioni normali, i componenti della coorte non avrebbero mai potuto ottenere una simile attenzione, per nessun motivo. Per gli standard sociali hakh’hli infatti loro non erano altro che dei “cheth”, il che significava che erano adulti, ma ancora non del tutto. In condizioni normali, nessuno dei membri della coorte sarebbe stato considerato degno di assumersi qualsiasi tipo di seria responsabilità per almeno altri sei anni. Tuttavia, in questo caso le condizioni non erano affatto normali. I componenti della Coorte Missione Terra non avevano il tempo per diventare più vecchi e più saggi, poiché il momento in cui sarebbero entrati in azione era ormai prossimo. Di conseguenza, gli altri hakh’hli li vedevano un po’ allo stesso modo in cui un giapponese particolarmente cinico avrebbe potuto vedere un giovane volontario kamikaze nel corso della Seconda guerra mondiale. L’importanza e la serietà del lavoro che avrebbero intrapreso faceva sì che meritassero un certo rispetto, ma allo stesso tempo rimanevano pur sempre dei ragazzini, e per di più con la testa ancora piena di piume.

Il loro compito di quel giorno consisteva nel fissare le reti nell’asilo. Quando la nave sarebbe entrata nell’orbita del pianeta Terra, i suoi motori sarebbero stati spenti, e a quel punto tutto ciò che si trovava al suo interno avrebbe perso immediatamente peso. Quello era il momento in cui sarebbero risultate necessarie le reti, affinché i piccoli hakh’hli appena nati, che saltellavano felicemente in giro per l’asilo, non si rompessero le loro piccole teste sulle pareti.

— Sandy, tu vai in cima — ordinò Demetrio dopo aver controllato la situazione. — Il più leggero sei tu.

— Ma è il lavoro più faticoso di tutti — si lamentò Sandy. Chi si trovava in cima alle pareti infatti avrebbe dovuto ancorarsi con uno o più arti e cercare di prendere al volo con gli arti rimasti liberi le pesanti sfere di fibra elastica che gli venivano lanciate.

— Ti sta bene-gracchiò con tono maligno Elena. — Era ora che tu cominciassi a fare qualche lavoro un po’ serio. — Dato che era la seconda più piccola dopo Sandy, anche se la differenza di massa fra i due era notevole, Elena venne subito mandata in cima alla parete opposta per raccogliere i lanci di rimando.

Per non sprecare quel tempo, la coorte organizzò immediatamente uno dei suoi tipici giochi informali. Il gioco si chiamava semplicemente “Domande” e, dato che era stata Elena a proporlo, toccò a lei scegliere la categoria delle domande.

— Secondi nomi — decretò.

— Di presidenti degli Stati Uniti? — aggiunse timidamente Chiappa. Chiappa era sempre il più diffidente fra loro. Ed era anche il più grasso e il più basso della coorte. Veniva sempre preso in giro da tutti per il modo goffo in cui si muoveva, ma quando faceva una proposta, sempre ammesso che venisse ascoltata, tutti trovavano quasi sempre che si trattasse di una buona idea.

— Va bene — disse Sandy con tono carico di aspettativa mentre sistemava il suo apparecchio acustico per essere sicuro di non perdere nulla. — Inizio io allora. Che ne dite di Herbert Hoover?

— Clark — ribatté immediatamente Demmy. — Il suo secondo nome era Clark. Herbert Clark Hoover, 1929-1933. Era presidente durante il grande crollo della Borsa del 1929, quello che portò alla Grande Depressione, ai venditori di mele, alle file per il pane, alla disoccupazione, al minigolf…

Polly gli scagliò addosso una palla di corda. — Limitati a dire il nome — ordinò con tono scocciato. — Continua, tocca a te.

Demmy emise una risatina mentre afferrava il rotolo, con gli occhi umidi di vanità. Lanciò la palla a Sandy, che rimase in ascolto mentre fissava l’anello della rete a uno dei pioli infissi nella parete. — Va bene — disse Demmy. — Che ne dite di Richard Nixon?

— Milhous! — esclamò immediatamente Polly, che era già pronta con la sua prossima domanda. — Calvin Coolidge — disse orgogliosa leccandosi le labbra con fare soddisfatto. Era certa di averli fregati, ma Chiappa non si lasciò ingannare tanto facilmente.

— Era Calvin! — sbottò in tono trionfante. — Il suo secondo nome era proprio Calvin! Il primo era… era…

— Era cosa? — domandò Polly. — Non hai risposto alla domanda.

— Invece sì! — gridò Chiappa.

— Invece no!

— Stupida spilungona succhiasangue — sibilò Chiappa, tentando di mettere a frutto il suo gergo terrestre nonostante l’evidente difficoltà nel pronunciare le “esse”. — Ho risposto correttamente!

— E invece no. Calvin è il nome che ho detto io. Tu devi dire l’altro nome, altrimenti hai perso e tocca di nuovo a me e… oof ! — Polly annaspò mentre Chiappa le balzava addosso sbattendo la massiccia testa triangolare direttamente nella sua pancia.

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