Jack Vance - I racconti inediti
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- Название:I racconti inediti
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- Год:1995
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Ma il sorriso svanì, e tornò il corruccio. C’erano difficoltà pratiche che nemmeno una canaglia irresponsabile come Arman poteva trascurare. In primo luogo i Sommi non avrebbero tollerato un’organizzazione simile. Avevano i mezzi per scoprirla: una rete di spie e la polizia segreta. E avevano il potere per distruggerla: embargo, assassinio in massa, e come ultima risorsa le forze militari ufficiali.
Gardius smise di fischiare. Persino Arman doveva essere in grado di vedere l’insieme di contraddizioni. Per organizzare un blocco di potere era necessario sconfiggere la ricchezza, la forza e la potenza industriale di Maxus. E per sconfiggere Maxus era necessario un vasto complesso industriale, un’organizzazione planetaria. Era un circolo vizioso. Questo era Maxus e per questo avrebbe continuato a esistere.
Gardius fissò la strada polverosa senza vederla. C’era un sillogismo nascosto da qualche parte, una combinazione di idee che avrebbero chiarito il problema. Scosse la testa. Troppi fattori erano ancora sconosciuti. E quei fattori sapeva che erano variabili.
Alzò gli occhi sulle Terre Alte di Alam. Mardien ormai sarebbe stata a casa, in mezzo alla sua famiglia, ai suoi amici. Avrebbe visto Arman? Gardius strascicò i piedi nella polvere. Pensieri simili lo confondevano. Interferivano con l’impulso della sua vita. Era stata — era, si corresse — meravigliosamente semplice, meravigliosamente facile.
Primo: uccidere Arman o portarlo vivo su Maxus. Secondo: scovare e uccidere quanti mercanti di schiavi gli fosse stato possibile nell’arco della sua vita. C’erano uomini che cacciavano lupi, altri che cacciavano tigri-luna. Gardius avrebbe cacciato mercanti di schiavi. Avrebbe messo insieme una galleria delle loro teste, e avrebbe gioito nel percorrere la fila dagli occhi vitrei.
Dietro di lui risuonò uno scoppiettio, un fragore. Saltò a lato della strada, si voltò di scatto. Un autocarro carico di grassi animali grigi gli si affiancò. Gardius sollevò la mano. L’autocarro si fermò con un sibilo. Gli animali grugnirono e strillarono.
Il guidatore guardò giù dall’alta cabina. «Dove stai andando?»
«Huamalpai,» disse Gardius.
«Sali a bordo.»
Gardius volteggiò sulla scaletta, e si sedette sulla scarsa imbottitura del sedile. L’autocarro, un bruciatore a carbonella di manifattura locale, emise nuvole di fumo e di vapore. Le grosse ruote motrici si misero in moto con un gemito.
Il guidatore era un uomo all’incirca della sua stessa età, di costituzione più sottile, con i capelli neri legati in codini e una faccia appiattita. Era incline alla verbosità, e Gardius ascoltò pazientemente il flusso di parole.
«… quindici ettari il prossimo solstizio li metteremo a riso. È stato richiesto a Huamalpai, e le bestie da macello ci crescono bene. Si dice che anche i ragni si tengono a distanza, perché le foglie buttano fuori un olio rancido, ma non ho ancora visto i ragni stare lontani per un odore.»
«Ragni?» chiese Gardius.
Il guidatore annuì enfaticamente. «Arrivano dalle paludi per le bestie. Sono mostruosi, alcuni almeno. Altri, ovviamente, non sono più grandi del mio micetto domestico, e poi c’è una specie di animale con otto zampe, giallo-verde sulla pancia e nero sulle zampe, che può prendere una bestia sotto ognuna delle due zampe posteriori, e ritornarsene nella giungla, e non c’è niente da fare…»
Proseguendo la regione si fece più curata. Il granoturco e le pianure aride vennero lasciati indietro. Adesso vigneti e risaie irrigate fiancheggiavano la strada. Le piccole capanne di legno erano rannicchiate sotto tetti di paglia azzurro vivo. In lontananza si levava un gruppo di colline, sulle quali la terra e le mura di legno di Huamalpai si distendevano, si aggrappavano, sgocciolavano come glassa rosa su una torta scura. Dietro a Huamalpai sorgeva il Dirupo di Alam, due miglia di roccia nera contro il cielo rosa.
Notando la direzione dello sguardo di Gardius, il guidatore disse: «Quelle sono le Terre Alte di Alam.» Fece una pausa, volgendo gli occhi luccicanti in attesa su Gardius.
Allora Gardius disse: «Non è dove vivono gli Otro?»
«Esatto.»
«Ho sentito dire che sono una strana razza di gente.»
Il guidatore scrollò le spalle. «Pazzi come scarafaggi. Un uomo ha indosso un mantello rosso con su delle mezzelune azzurre. Un altro uomo gli va incontro con un mantello identico. Sai cosa succede?»
«No.»
«Tutti e due si strappano di dosso i mantelli, li bruciano, se ne vanno a casa e ne fanno dei nuovi, a colori e disegni diversi. Un uomo magari canta o parla. A un altro non piace. Allora gli va vicino e gli dice: «Chiudi la bocca!» E poi?»
«Combattono?»
«Niente affatto. Si stringono la mano. Ci sono grandi risate e ilarità.»
«E per che cosa combattono?»
Il guidatore si strinse nelle spalle. «Per esempio non vogliono prendere ordini. Ed è un insulto entrare nella casa di un altro.»
«Mi chiedo quale possa esserne la ragione.»
«Oh… semplice varietà da giardino di follia.»
«Come trattano gli stranieri?»
«Li ignorano per un giorno o due, poi li cacciano via. A loro piace l’isolamento.»
«Uhm.»
«Noi delle Terre Basse non andiamo molto spesso lassù. Quello che non capiamo non ci piace. E adesso è ancora peggio.»
«Come mai?»
La fronte piatta del guidatore si corrugò. «Ebbene, è difficile a dirsi.» Esitò.
«Ho sentito varie voci,» disse Gardius.
Il guidatore sbuffò. «Probabilmente sono vere, qualsiasi cosa dicano. Sono della strana gente, e io non vorrei averci niente a che fare, anche se non fossero pazzi. Si dice che non abbiano anima, e così sono impazienti di rubarla a noi delle Terre Basse, e mercanteggiarla per tutta la comunità fino a che tutti ne abbiano guadagnato.»
Gardius emise gli appropriati suoni di sbalordimento.
«Adesso dicono che c’è un grande Evangelo venuto dallo spazio,» disse il guidatore, «e sta facendo miracoli fra di loro, e vengono da tutte le Terre Alte per ascoltarlo e sospirare e gridare come spettri della palude. Naturalmente,» aggiunse con modestia, «sono soltanto voci che ho sentito, ma vado in città spesso, e non mi si prende facilmente in giro.»
Gardius chiese: «E come può un uomo comune verificarlo con i propri occhi?»
Il guidatore ci pensò un poco. «Ci sono diversi modi. Può andare a piedi lungo il Sentiero della Fortitudine, che sale dritto fuori da Huamalpai, oppure può andare in auto per quaranta miglia sotto il ciglio del Dirupo fino alla Tacca di Nuathiole. C’è una strada che è percorribile in auto, soltanto che quando arriva su sulle Terre Alte è un po’ malandata, così dicono.»
Gardius guardò di traverso la scogliera. «Perché non in volo?»
«Questo è il terzo modo, e stavo proprio per dirtelo. C’è un hangar a Huamalpai che noleggia velivoli — costruiti dagli schiavi su Maxus, devo dirtelo — e se puoi pagare il noleggio puoi sfrecciare su come un uccello.»
Quando finalmente l’autocarro si fermò a Huamalpai, Ramus era basso e rosso cupo, e il cielo tendeva al magenta. Gardius scese dall’alta cabina, e prese commiato dal guidatore.
Rimase in silenzio per un momento, sfregandosi il mento con gli occhi fissi sul ciglio del Dirupo di Alam.
Arman era così vicino. Perché attendere? Si guardò attorno.
In fondo alla via sorgeva il palazzo di Re Daurobanan, un gigantesco accalcarsi di cupole, panoplie, colonne, balconate e volute rococò. Più vicini c’erano i negozi e i mercati, vari luoghi d’affari, tutti con le facciate quadrate di legno chiaro scolpito. Gardius fermò un passante, e apprese l’ubicazione dell’hangar.
Ascoltò le informazioni, girò lungo l’argine di un fiume color sangue, oltrepassò una trasandata fila di moli e banchine frettolosamente rizzati nel fango. Quando riuscì a trovare l’hangar e ad affittare un velivolo, era già scesa la notte.
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