Jack Vance - I racconti inediti
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- Название:I racconti inediti
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- Год:1995
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«Andato? Dove?»
«Ufficialmente, non lo so, specialmente quando ci sono dei Druidi in mezzo a noi.»
Elfane si agitò. «Io non… non sono più una Druida. È una cosa che ho strappato da dentro di me. Adesso sono una…» sollevò gli occhi su Joe, «una cosa?»
«Una profuga,» disse Joe. «Una trovatella dello spazio. Una donna senza terra.» Si rivolse di nuovo a Harry. «Meno misteri. Non può essere così importante.»
«Ma lo è! Forse.»
Joe scrollò le spalle. «Fai come vuoi.»
«No,» disse Harry. «Te lo dirò. Hableyat, come sai, è in disgrazia. È out , e il Magnerru Ippolito è in. La politica dei Mang è complessa e criptica, ma sembra che dipenda parecchio dal prestigio, dalla dignità. Il Magnerru ha perduto la faccia qui su Ballenkarch. Se Hableyat riesce a compiere una qualche impresa notevole, tornerà in campo. Ed è a nostro vantaggio che il potere su Mangtse sia in mano alle Acque Azzurre.»
«Ebbene?»
«Ho dato a Hableyat tutti gli ormoni diserbanti che avevamo, circa cinque tonnellate. Li ha fatti caricare su una nave che ho messo a sua disposizione ed è partito.» Harry fece un gesto stravagante. «Dove stia andando… non lo so.»
Elfane sospirò piano e a lungo sottovoce, rabbrividì, girò lo sguardo sul Lago Alan al tramonto, rosa, oro, lavanda, turchese. «L’Albero…»
Harry si alzò in piedi. «Ora di cena. Se il suo piano è questo — spruzzare l’Albero con gli ormoni — dovrebbe essere un bello spettacolo.»
I SIGNORI DI MAXUS
La stazione fortificata di entrata era sospesa a dieci miglia sopra Maxus, un anello bianco e pesante di un miglio di diametro, trapunto di finestre panoramiche. Attraverso l’aria rarefatta ogni dettaglio era nitido, chiaro, distinto.
La navicella di Gardius non ricevette alcuna immediata intimazione. Attese, quasi rannicchiato sui comandi, guardando la stazione fortificata, poi l’altoparlante, ancora la stazione. Un minuto… due minuti…
Gardius imprecò, premette l’interruttore sul comunicatore, parlò per la seconda volta nella griglia. «Permesso visitatore undici A cinque cento e sei… Voglio atterrare… Datemi istruzioni… un segnale, un riconoscimento.»
Una voce crepitò. «Il permesso è in fase di controllo. Prego attendere nostri ordini.»
Gardius si abbandonò sul sedile, poi si alzò e guardò giù verso la città di Alambar. Si stendeva fino all’orizzonte e oltre, un tappeto disegnato a colori cupi, verdi e neri ossidati, ruggini e ocre scure, grigi di fumo e cemento e mattoni.
Direttamente sotto di lui tre fiumi plumbei si univano sfociando in un lago di mercurio, circondato e adombrato dai grandi edifici amministrativi, dai palazzi e dalle case di città dei Sommi. Strade elevate andavano e venivano per la città come vene esposte; lì, altrove, ovunque c’era un incessante ammiccare di movimento, una miriade di tremolii.
Gardius alzò lo sguardo, fissò la stazione fortificata oltre lo spazio vuoto. Risalire con la navicella, speronare la stazione, sbriciolare la città come pane raffermo. Mettere in fila i Signori di Maxus, lacerare le facce, squarciare i ventri…
«Undici A cinquecento e sei,» disse l’altoparlante, «avvicinarsi alla Piattaforma Sei, prepararsi a ricevere una squadra di ispezione.»
Gardius balzò a sedere, fece avanzare la navicella. Una serie di campate piatte bordava il perimetro interno della stazione. Gardius scese sul cemento macchiato della campata col numero sei. Tre uomini in tenuta da altitudine apparvero e batterono al portello esterno. Gardius li fece entrare; erano uomini dalla faccia dura e i capelli neri, smunti, pallidi, con uniformi nere e berretti di cuoio a punta.
Il caporale, un uomo con una faccia lunga e stretta, le guance incavate, il naso a uncino, salì sul ponte di controllo. «Vediamo il tuo permesso.»
Gardius gli diede il documento. Il caporale arricciò le labbra mentre leggeva: «Pianeta di origine… Exar. Titoli segnalati… diecimila milreis. Durata prevista della visita… una settimana. Motivo della visita…» Sollevò le sopracciglia. «Oh, va bene,» disse con indulgenza, «buona fortuna, buona fortuna.»
Gardius non disse nulla.
«Darai la caccia all’ultimo carico di Arman.»
«Corretto.»
«Saresti dovuto arrivare prima,» disse il caporale. Gettò il permesso sul tavolo dei comandi. «È tutto in ordine.» Guardò i suoi due uomini, che stavano ritornando dalla sezione posteriore. «Come l’avete trovata, ragazzi?»
«Pulita.»
Il caporale fece un cenno di assenso. I due uomini rimisero a posto il casco con uno scatto e lasciarono la nave.
Il caporale si sporse sul tavolo. «Un uomo con uno scopo come il tuo ha con sé un sacco di soldi. E ha fretta. Io vorrei aiutarti, ma c’è un intendente di campo ostinato, che si è appisolato e non si s veglierà senza un grugnito, a meno che gli porti qualcosa che lo plachi. E naturalmente, se non apre il campo, tu non atterri.»
Gardius strinse forte le labbra. «Quanto?»
«Oh… duecento milreis.»
Gardius gli voltò la schiena, tirò fuori un paio di certificati dal portafoglio. «Duecento. Eccoli. Per favore, fate in fretta.»
«Cinque minuti e sarai a terra,» disse il caporale. «Vai al portello di atterraggio appena oltre il parco. Chi è, tua moglie?»
«Mia madre, due sorelle, un fratello.»
Il caporale fischiò tra i denti. «Devi essere un milionario.» Esitò, lanciò un’occhiata alla tasca di Gardius.
«Non lo sono,» scattò Gardius. «E ho fretta.»
«Temo che sia troppo tardi per il carico di Arman. Adesso osserva quel globo. Quando si accende la luce abbassati attraverso il buco, scendi verticalmente fino a un’altitudine di trentamila piedi, poi da lì sei da solo. Non svoltare più in alto, o il campo ti ridurrà a un carboncino.»
Gardius rallentò la navicella fino a quando si arrestò stridendo. Aprì il portello, saltò fuori nell’aria che sapeva di pietre combuste e fumo. Corse a un portale di mattoni neri che dava su una via stretta, lo attraversò, si irrigidì, fece un balzo indietro per evitare un veicolo rombante. Esitò pochi secondi, guardò su e giù lungo la via.
I passanti — individui alti dai lineamenti affilati, scura e saturnina — lo fissarono con viva curiosità. Sentì un bambino con una giacchetta marrone dire con voce squillante: «Guarda quell’Orth, e non ha il marchio!»
E Gardius sentì un sussurro sommesso: «Sst! Nessuno l’ha ancora comprato.»
Si avvicinò a un vecchio con un camiciotto aderente di gabardine nero. «Dov’è il Distributore di Schiavi, per favore? Come ci arrivo?»
Il vecchio lo osservò un momento, e Gardius pensò che non avrebbe risposto. Invece disse con voce piatta: «Prendi lo svincolo, segui la striscia rossa e verde. Passato il secondo tunnel troverai alla tua destra un edificio di cemento marrone con il tetto piatto.»
«Grazie.» Gardius si girò, attraversò la via, fece il grande passo che lo portò a bordo dello svincolo. Strisce multicolori di luce si allungavano sulla superficie. Gardius si spostò obliquamente di lato, trovò la striscia rossa e verde, e avanzò camminando tanto in fretta quanto permetteva il traffico.
La striscia rossa e verde deviò verso l’estremità. Gardius la seguì. Lo svincolo si divise, la striscia rossa e verde entrò in un tunnel stretto che odorava di ammoniaca e gas illuminante. Dopo un tratto di oscurità piena di rumori, si ritrovò di nuovo fuori alla luce del giorno.
Alte residenze a ripidi spioventi fiancheggiavano la striscia, strutture complesse precedute da colonne di pietra levigata, cornalina, diaspro, onice. Un miglio; due miglia… poi la striscia si allontanò dalle case di città, girò attorno a una collina di scisto alterato, salì per un pendio fiancheggiato dal mercato alimentare. L’aria era pregna dell’odore acre del pesce secco, dell’aceto, della frutta.
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