Jack Vance - I racconti inediti

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I racconti inediti: краткое содержание, описание и аннотация

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L’antologia di Jack Vance presenta al lettore i seguenti racconti di fantascienza: «ICABEM», «La selezione», «Il sifone plagiano», «Il fato del Phalid», «Il Tempio di Han», «Il figlio dell’albero» ed «I signori di Maxus».

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Hableyat si sedette accanto a Joe. Elfane guardò impassibile da una parte. Hableyat aveva un’espressione preoccupata. Le guance gialle pendevano flaccide, le palpebre gli scendevano stanche sugli occhi.

Joe disse: «Su con la vita, Hableyat, non sei ancora morto.»

Hableyat scosse la testa. «Gli schemi di tutta la mia vita stanno cadendo a pezzi.»

Joe lo guardò attentamente. Era forse esageratamente tetro, i sospiri erano un po’ troppo dolenti? Diffidente, disse: «Devo ancora conoscere il tuo programma concreto.»

Hableyat scrollò le spalle. «Sono un patriota. Desidero vedere il mio pianeta prosperare e crescere in ricchezza. Sono un uomo imbevuto della cultura del mio mondo; non so concepire modo di vivere migliore, e desidero vedere questa cultura espandersi, arricchirsi delle culture di altri mondi, adattando il bene, sconfiggendo il male.»

«In altre parole,» disse Joe, «sei un imperialista accanito quanto i tuoi amici militari. Solo che i tuoi metodi sono diversi.»

«Temo che tu mi abbia definito correttamente,» sospirò Hableyat. «E per di più temo che in questa era l’imperialismo militare sia quasi impossibile, e che l’imperialismo culturale sia l’unica forma praticabile. Un pianeta non può venire soggiogato e occupato con successo da un altro pianeta. Può essere devastato, raso al suolo, ma la logistica della conquista è praticamente insuperabile. Temo che le avventure proposte dalle Correnti Rosse esauriranno Mangtse, rovineranno Ballenkarch e spianeranno la strada per un imperialismo religioso dei Druidi.»

Joe sentì Elfane irrigidirsi. «E perché mai sarebbe peggiore dell’imperialismo culturale dei Mang?»

«Mia cara Sacerdotessa,» disse Hableyat, «non potrò mai esporre argomentazioni abbastanza persuasive da convincerti. Dirò solo una cosa: che i Druidi producono molto poco con un’enorme potenzialità; che vivono sulle spalle di una massa sofferente; e che spero che il sistema non venga mai esteso tanto da includere me tra i Laici.»

«E nemmeno me,» disse Joe.

Elfane scattò in piedi. «Siete delle persone spregevoli!»

Joe sorprese se stesso allungando una mano e tirandola a sedere con un tonfo. Elfane lottò per un poco, poi si calmò.

«Lezione numero uno di cultura terrestre,» disse Joe allegramente. «È maleducazione discutere di religione.»

Un soldato entrò a precipizio nel salone, ansimando, con la faccia contorta per il terrore. «È orribile… fuori, lungo la strada… Dov’è il Principe? Chiamate il Principe… una crescita terribile!»

Hableyat balzò in piedi, con un’espressione vigile e acuta. Corse agilmente fuori dalla porta, e dopo un secondo Joe disse: «Vado anch’io.»

Elfane, senza una parola, lo seguì.

Joe ebbe l’impressione violenta di un’assoluta confusione. Una folla disordinata di uomini si accalcava attorno a un oggetto che non riuscì a identificare, una cosa rannicchiata, verde e marrone, che sembrava dimenarsi e sollevarsi.

Hableyat si fece strada in mezzo alla gente in circolo, con Joe al suo fianco e Elfane premuta contro la schiena di lui. Joe guardò meravigliato. Il Figlio dell’Albero?

Era cresciuto, diventato più complesso. Non assomigliava più all’Albero di Kyril. Il Figlio si era adattato a un nuovo scopo, la protezione, la crescita e la flessibilità.

Joe pensò a un gigantesco dente di leone. Una palla bianca e lanuginosa si manteneva a venti piedi dal suolo su uno stelo sottile e ondeggiante, circondato da un cono rovesciato di fronde piatte e verdi. Alla base di ogni fronda sporgeva un viticcio verde, striato e chiazzato di nero. Stretti nei viticci c’erano i corpi di tre uomini.

Hableyat emise un grido spezzato. «Quella cosa è un demonio,» e batté la mano contro la borsa. Ma la sua arma era stata requisita dalle guardie della Residenza.

Un capitano Ballenkart, la faccia pallida e contorta, caricò il Figlio agitando la sciabola. La palla lanuginosa ondeggiò un poco verso di lui, i viticci scattarono all’indietro come le zampe di un insetto, poi si mossero tutti assieme, avvolsero strettamente l’uomo, gli segarono la carne. L’uomo urlò, poi tacque, si irrigidì. I viticci si illuminarono di rosso, pulsarono, e il Figlio si alzò ancora.

Altri quattro Ballenkart, agendo in cupo accordo, caricarono il Figlio, seguiti da altri sei. I viticci colpirono, scattarono, e dieci corpi giacquero bianchi e rigidi al suolo. Il Figlio si espanse come se ne venisse magnificato.

La voce leggera e sicura del Principe Harry disse: «Fatevi da parte… Su, avanti, fatevi indietro.»

Harry si fermò a guardare la pianta, venti piedi fino in cima alle fronde, mentre la palla bianca e lanuginosa si elevava altri dieci piedi sopra di esse.

Il Figlio si avventò, con un’astuzia simile all’intelligenza. I viticci si spiegarono, intrappolarono una dozzina di uomini ruggenti, li trascinarono vicini a sé. E allora la folla impazzì, ondeggiò avanti e indietro in spasmi alterni di rabbia e paura, infine caricò in una mischia stridente.

Le sciabole scintillarono, rotearono, mozzarono. Sopra a tutti la palla bianca e lanuginosa ondeggiava senza fretta. Era ragionevole, sentiva, programmava, con una consapevolezza vegetale, calma, impavida, con un unico proposito. I suoi viticci strisciavano, si torcevano, stringevano, tornavano a defluire. E il figlio dell’Albero cresceva in altezza e in corposità.

Gli ansimanti superstiti della folla caddero all’indietro, fissando impotenti il terreno cosparso di cadaveri. Harry fece segno a una delle sue guardie personali. «Portate fuori un cannone termico.»

Gli Arcitearchi si fecero avanti, protestando. «No, no, quello è il Sacro Germoglio, il Figlio dell’Albero.»

Harry non prestò loro attenzione. Gameanza gli ghermì un braccio con un’insistenza allarmata. «Richiama i tuoi soldati. Nutrilo solo di criminali e di schiavi. In dieci anni sarà gigantesco, un Albero magnifico.»

Harry se ne liberò con uno strattone, fece un cenno col capo a un soldato. «Porta via questo maniaco.»

Un proiettore su ruote venne fatto rotolare fuori dalla Residenza, e venne fermato a cinquanta piedi dal Figlio. Harry fece segno. Un raggio bianco e denso di energia sputò contro il Figlio. « Aaah! » sospirò la folla, in una gratificazione che rasentava la voluttà. Ma il sospiro esultante tacque di colpo. Il Figlio beveva l’energia come la luce del sole, e cresceva e diventava sempre più lussureggiante. A cento piedi torreggiava la palla bianca e lanuginosa.

«Puntatelo contro la cima,» disse Harry ansiosamente.

La barra di energia salì lungo l’esile stelo, si concentrò sulla sommità della pianta, che si corruscò, gocciolò, si ritrasse.

«Non gli piace!» gridò Harry. « Continuate a inondarlo! »

Gli Arcitearchi, trattenuti dietro la folla, ulularono in un’agonia che pareva la loro: « No, no, no! »

La palla bianca ritrovò l’equilibrio, e sputò un fiotto di energia. Il proiettore esplose, scagliando teste e braccia e gambe in ogni direzione.

D’un tratto ci fu un silenzio di morte. Poi cominciarono i gemiti, che si tramutarono in urla improvvise quando i viticci scattarono in avanti per nutrirsi.

Joe tirò indietro Elfane, e un viticcio la mancò per un passo. «Ma io sono una Sacerdotessa Druida,» disse in preda a un ottuso stupore. «L’Albero protegge i Druidi. L’Albero accetta solo i pellegrini Laici.»

« Pellegrini! » Joe rammentava i pellegrini di Kyril, stanchi, impolverati, con le piaghe ai piedi, malati, che entravano dal portale all’interno dell’Albero. Rammentava la pausa al portale, l’ultimo sguardo verso la terra grigia, e su verso il fogliame prima di girarsi e di entrare nel tronco. Giovani e vecchi, di tutte le condizioni, migliaia ogni giorno…

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