Jack Vance - I racconti inediti
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- Название:I racconti inediti
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- Год:1995
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«È soltanto stordito,» disse Hableyat a Joe, che si era voltato per protestare. E ai Druidi: «Svelti.»
Tenendo sollevate le vesti corsero a un vicino mucchietto di terra soffice. Uno scavò un buco con un bastone, l’altro aprì l’altare, e ne trasse teneramente la miniatura dell’Albero. Un piccolo vaso circondava le sue radici.
Joe sentì Elfane boccheggiare. «Voi due…»
«Silenzio,» scattò Hableyat. «Occupati dei tuoi interessi, se sei saggia. Questi sono Arcitearchi, entrambi.»
«Manaolo… un inganno!»
Le radici scesero nel buco. La terra venne pressata attorno alla pianticella. I Druidi chiusero l’altare, si spolverarono le mani, e ritornarono a essere monaci dalla faccia inespressiva. E il Figlio dell’Albero era ritto nel suolo di Ballenkarch, immerso nella calda luce gialla. Se non lo si guardava con particolare attenzione, sembrava solo un altro arbusto.
«E adesso,» disse Hableyat placidamente, «possiamo proseguire per la Residenza.»
Elfane fulminò con lo sguardo Hableyat e i Druidi, con occhi brucianti di rabbia e di umiliazione. «E per tutto questo tempo avete riso di me!»
«No, no, Sacerdotessa,» disse Hableyat. «Mantieni la calma, te ne imploro. Avrai bisogno di tutto il tuo ingegno quando affronterai il Principe. Credimi, la tua parte è stata molto utile.»
Elfane si volse alla cieca, come per correre via verso il mare, ma Joe la trattenne. Per un attimo Elfane lo fissò negli occhi, con i muscoli come filo spinato. Poi si rilassò, come svuotata di ogni vigore. «Va bene, ci andrò.»
Continuarono, e incontrarono a metà strada una squadra di sei soldati evidentemente mandati a fare loro da scorta. Nessuno badò al corpo privo di sensi della guardia.
Al portale vennero sottoposti a una perquisizione, rapida ma così dettagliata e completa da suscitare adirate proteste dai Druidi e uno strillo oltraggiato da Elfane. L’arsenale così scoperto era sorprendente: piccole armi coniche su entrambi i Druidi, il tubo stordente di Hableyat e uno stiletto a serramanico, la pistola di Joe, un piccolo tubo lurido che Elfane portava infilato nella manica.
Il soldato indietreggiò, fece un gesto. «Siete autorizzati a entrare nella Residenza. Badate di osservare le comuni forme di rispetto.»
Attraversando un’anticamera dipinta di animali grotteschi e semidemoniaci, entrarono in un grande salone. Le travi del soffitto erano tronchi enormi, sbozzati a mano e intagliati con decorazioni convenzionali, le pareti erano rivestite di canne intrecciate. Su ogni lato file di piante verdi e rosse correvano lungo la parete, e il pavimento era coperto da un soffice tappeto di fibra tessuto e tinto in uno strabiliante disegno scarlatto, nero e verde.
Sul lato opposto all’entrata c’era un palco, fiancheggiato da due massicce balaustre di legno rosso ruggine, e un seggio enorme a foggia di trono dello stesso legno rossiccio. Il trono era vuoto.
Venti o trenta uomini erano sparsi per il salone, uomini grandi e grossi, abbronzati dal sole, qualcuno con un paio di baffi ispidi; si muovevano con imbarazzo, a disagio, come se non fossero usi ad avere un tetto sopra la testa. Tutti indossavano brache rosse lunghe fino al ginocchio. Alcuni portavano bluse di vari colori, mentre altri erano a petto nudo, con mantelli di pelliccia nera gettati dietro le spalle. Tutti avevano delle pesanti sciabole alla cintura, e tutti fissavano i nuovi arrivati senza benevolenza.
Joe guardò da una faccia all’altra. Harry Creath non sarebbe stato lontano da Vail-Alan, il centro dell’attività. Ma non era in quella sala.
Accanto al palco, in gruppo, c’erano i Mang delle Correnti Rosse. Erra Kametin parlò alla donna in un aspro falsetto. I due procuratori ascoltavano in silenzio, girati a metà da un’altra parte.
Un cerimoniere con una lunga chiarina di ottone entrò nella stanza e suonò una vivace fanfara. Joe sorrise debolmente. Come una commedia musicale: guerrieri in uniformi sgargianti, ostentazione, pompa, formalità…
Di nuovo la fanfara, squillante, eccitante.
«Il Principe di Vail-Alan! Sovrano per prelazione su tutta la superficie di Ballenkarch!»
Un uomo biondo, esile vicino ai Ballenkart, salì con passo svelto sul palco, e si sedette sul trono. Aveva una faccia tonda e ossuta con rughe spiritose attorno alla bocca, mani nervose e incapaci di stare ferme, un’aria di allegra intelligenza, di impazienza irrequieta. Dalla folla salì un rauco « Aaaaah » di venerazione.
Joe annuì lentamente senza sorpresa. Chi altri?
Harry Creath mosse a scatti gli occhi per la stanza. Si posarono su Joe, lo oltrepassarono, tornarono indietro. Per un minuto lo fissarono esterrefatti.
« Joe Smith! In nome del cielo, cosa stai facendo quaggiù?»
Quello era il momento per il quale aveva percorso mille anni luce. E adesso la mente di Joe si rifiutava di funzionare correttamente. Balbettò le parole che aveva ripassato per due anni, in mezzo a tribolazioni, pericoli, fastidi, le parole che esprimevano l’ossessione di due anni: «Sono venuto a prenderti.»
Le aveva dette, era vendicato. La testardaggine che era quasi autosuggestione era stata placata. Ma le parole erano state pronunciate, e la faccia mobile di Harry esprimeva stupore. «Quaggiù? Tutta questa strada… per prendere me?»
«Esatto.»
«Prendermi per fare cosa?» Harry si appoggiò allo schienale e la larga bocca si aprì in un ghigno.
«Ebbene… hai lasciato una questione in sospeso sulla Terra.»
«Nessuna che io sappia. Dovresti farmi un breve riassunto per rinfrescarmi la memoria.» Si rivolse a una guardia alta con una faccia che sembrava di sasso. «Hai fatto perquisire queste persone per vedere se avevano armi?»
«Sì, Principe.»
Harry ritornò a Joe con una smorfia di scuse giocose. «C’è troppa gente interessata a me. Non posso ignorare i rischi ovvi. Allora, stavi dicendo che vuoi che ritorni sulla Terra. Perché?»
Perché? Joe pose la domanda a se stesso. Perché? Perché Margaret credeva di essere innamorata di Harry, e Joe credeva che fosse innamorata di un sogno. Perché Joe pensava che se Margaret avesse potuto frequentare Harry per un mese, invece che per due giorni, se avesse potuto vederlo nella vita di tutti i giorni, se avesse potuto riconoscere che l’amore non era una serie di salti e brividi come una corsa sulle montagne russe, che il matrimonio non era un ciclo mozzafiato di scappatelle…
In breve, se la testolina graziosa e frivola di Margaret avesse potuto essere scossa e liberata da tutte quelle scempiaggini, allora in quella testolina ci sarebbe stato posto per Joe. Era così? Era sembrato facile, precipitarsi su Marte in cerca di Harry, solo per scoprire che Harry era partito per Io. E da Io a Pluto, il trampolino del viaggio. E poi la volontà, la testardaggine, avevano iniziato a impadronirsi di lui. Via da Pluto, avanti, sempre più lontano. Poi Kyril, Giunzione, e adesso Ballenkarch.
Joe arrossì, intensamente consapevole della presenza di Elfane alle sue spalle, che lo osservava con occhi intelligenti e riflessivi. Aprì la bocca per parlare, la richiuse. Perché?
Gli occhi erano fissi su di lui, gli occhi di tutti quelli riuniti nel salone. Occhi curiosi, disinteressati, ostili, indagatori, gli occhi placidi di Hableyat, gli occhi penetranti di Elfane, gli occhi beffardi di Harry. E nella mente confusa di Joe si fece strada un fatto inconfutabile: che avrebbe fatto la figura dell’asino più totale nella storia dell’universo se avesse detto la verità.
«Qualcosa a che fare con Margaret?» chiese Harry senza misericordia. «Ti ha mandato lei?»
Joe vide Margaret come in una visione, che li fissava entrambi ironicamente. Girò gli occhi su Elfane. Era un mascalzone, ostinato, intollerante, troppo veemente e appassionato nel volere il suo bene. Ma era sincero e onesto.
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