Jack Vance - I racconti inediti

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L’antologia di Jack Vance presenta al lettore i seguenti racconti di fantascienza: «ICABEM», «La selezione», «Il sifone plagiano», «Il fato del Phalid», «Il Tempio di Han», «Il figlio dell’albero» ed «I signori di Maxus».

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Ormai Joe doveva piegare il collo all’indietro per vedere la cima del Figlio. Il flessibile stelo centrale si stava irrigidendo, la piccola palla bianca ondeggiava e si torceva e scrutava il suo nuovo dominio.

Procedendo a fatica, Harry si avvicinò a Joe. La sua faccia era una maschera bianca. «Joe… questa è la creatura più empia che ho visto su trentadue pianeti.»

«Io ne ho vista una più grande, su Kyril. Mangia i cittadini a migliaia.»

Harry disse: «Questa gente si fida di me. Credono che io stesso sia una specie di dio, solo perché conosco un po’ di ingegneria terrestre. Devo uccidere quell’abominio.»

«Non hai intenzione di metterti con i Druidi, allora?»

Harry sogghignò. «Per che razza di gonzo mi hai preso, Joe? Non ho intenzione di mettermi con nessuno di loro. Che venga un accidente a tutti e due i loro governi. Li ho tenuti a bada, li ho illusi per avere il tempo di sistemare le cose. Non sono ancora soddisfatto, ma di certo non mi aspettavo una cosa simile. Chi diavolo ha portato qui quella cosa?»

Joe taceva. Elfane disse: «È stata portata da Kyril per ordine dell’Albero.»

Harry la fissò esterrefatto. «Mio Dio, quella cosa parla anche?»

Elfane disse, vagamente: «Il Collegio dei Tearchi legge la volontà dell’Albero grazie a vari segni.»

Joe si grattò il mento.

«Bah,» disse Harry. «Una decorazione fantasiosa per una bella piccola tirannia un po’ stretta. Ma non è questo il problema. Quella cosa deve essere uccisa!» E borbottò: «E mi piacerebbe beccare anche la bestia più grande, se avessi fortuna.»

Joe sentì e guardò Elfane aspettandosi di vederla infiammarsi di collera. Ma Elfane se ne stava in silenzio, osservando il Figlio.

Harry disse: «Sembra che si sviluppi rigogliosamente nutrendosi di energia… Il calore è escluso. Una bomba? Proviamo a farlo saltare in aria. Mando qualcuno giù al magazzino a prendere dell’esplosivo.»

Gameanza riuscì a liberarsi, arrivò correndo con la veste grigia che gli sbatteva intorno alle gambe. «Eccellenza, noi protestiamo con veemenza per la vostra aggressione contro quest’Albero!»

«Spiacente,» disse Harry sarcastico. «Io lo chiamo bestia assassina.»

«La sua presenza simbolizza il legame tra Kyril e Ballenkarch,» giustificò Gameanza.

«Simbolizza la mia caviglia. Togliti quella spazzatura metafisica dalla mente, amico. Quella cosa è un uccisore di uomini, e non voglio averlo tra i piedi. Vi compatisco per il mostro gigantesco che avete sul vostro pianetucolo, anche se immagino che non dovrei farlo.» Guardò Gameanza dall’alto in basso. «Avete fatto piuttosto buon uso dell’Albero. È stato il vostro buono pasto per un migliaio di anni. Beh, questo sta per andarsene. Ancora dieci minuti e sarà un acro di schegge.»

Gameanza roteò sui tacchi, si allontanò marciando di venti piedi, e lì si fermò a discutere sottovoce con Oporeto Implan. Dieci libbre di esplosivo legate a un detonatore vennero sollevate contro il grosso trinco dell’Albero. Harry sollevò la pistola a radiazioni che avrebbe proiettato frequenze di innesco.

Colto da un pensiero improvviso, Joe balzò avanti, gli afferrò il braccio. «Aspetta un minuto. Supponi di farne un acro di schegge… e se ognuna delle schegge si mette a crescere?»

Harry mise a terra il proiettore. «Questa è un’idea macabra.»

Joe indicò con un gesto la campagna. «Tutte queste fattorie, sembrano ben curate, moderne.»

«Seguono le più recenti tecniche terrestri. E allora?»

«Non lascerai che i tuoi gorilla strappino le erbacce a mano?»

«Certo che no. Abbiamo una dozzina di diserbanti differenti… ormoni…» Si interruppe all’improvviso, batté una mano sulla spalla di Joe. «Diserbanti! Ormoni della crescita! Joe, ti farò Segretario dell’Agricoltura!»

«Prima,» disse Joe, «vediamo se quella roba ha effetto sull’Albero. Se è un vegetale impazzirà.»

Il Figlio dell’Albero impazzì.

I viticci si attorcigliarono, si contorsero, schioccarono. Il capo bianco e lanuginoso sputò a casaccio archi crepitanti di energia in ogni direzione.

Le fronde si sollevarono grottescamente fino a duecento piedi in pochi secondi, poi si afflosciarono al suolo. Venne portato un altro proiettore termico. Adesso il Figlio resisteva solo debolmente. Il tronco si carbonizzò; le fronde si disseccarono e annerirono.

Dopo alcuni minuti il Figlio dell’Albero era un moncone maleodorante.

Il Principe Harry si sedette sul trono. Le facce pallide degli Arcitearchi Gameanza e Oporeto Implan erano avvolte nei cappucci. I Mang della fazione Rossa aspettavano in gruppo su un lato del salone, in un rigido ordine di precedenza, prima il Magnerru in corazza cesellata e veste scarlatta, poi Erru Kametin, e dietro di lui i due procuratori.

Harry, con la sua voce chiara e leggera, disse: «Non ho molto da annunciare, se non che da diversi mesi a oggi c’è stata una diffusa incertezza sulla direzione nella quale salterà Ballenkarch, verso Mangtse oppure verso Kyril.

«Ebbene,» si mosse sul trono e posò le mani sui braccioli, «tali speculazioni sono state interamente nella mente dei Druidi e dei Mang, perché qui su Ballenkarch non c’è mai stata indecisione alcuna. Una volta per tutte non ci assoceremo a nessuno dei due pianeti.

«Noi ci svilupperemo in una direzione diversa, e credo che finiremo con l’avere il mondo più bello da questa parte della Terra. Per quanto riguarda il Figlio dell’Albero non ritengo nessuno personalmente responsabile. Voi Druidi avete agito, io credo, secondo i vostri migliori lumi. Siete vittime delle vostre credenze, quasi quanto i vostri Laici.

«Un’altra cosa: seppure non scenderemo a compromessi politici, siamo in affari. Commerceremo. Costruiremo utensili, martelli, seghe, chiavi, saldatori. Tra un anno cominceremo a costruire apparecchiature elettriche. Tra cinque anni avremo uno spazioporto sulle sponde del Lago Alan.

«Tra dieci anni trasporteremo le nostre merci su ogni stella che vedete nella notte, e forse qualcun’altra. Perciò, Magnerru, tu puoi ritornare e riferire il mio messaggio al vostro Ampianu Generale e al Lathbon. In quanto a voi Druidi dubito che desideriate fare ritorno. Potrebbero esserci dei bei tumulti su Kyril per quando arriverete.»

«Cosa significa?» chiese Gameanza bruscamente.

Harry torse la bocca. «Consideratela un’intuizione.»

Dal solarium privato di Harry, l’acqua del Lago Alan risplendeva delle mille sfumature del tramonto. Joe era seduto su una poltroncina. Accanto a lui c’era Elfane, in un semplice abito bianco.

Harry passeggiava nervosamente avanti e indietro, parlando, gesticolando, millantando. Nuove fornaci di riduzione a Palinth, cento scuole nuove, centrali elettriche per la nuova classe agricola, armi per l’esercito.

«Hanno ancora quel tocco barbarico,» disse Harry. «Amano combattere, amano la sfrenatezza, le loro feste di primavera, le loro notti passate a ballare intorno al fuoco. È nato e cresciuto dentro di loro e non potrei toglierlo nemmeno se provassi.»

Ammiccò a Joe.

«I lanciafiamme li mando contro i clan di Vail Macrombie, che è l’altro continente. Prendo due piccioni con una fava. Sfogano la loro belligeranza contro i cannibali Macrombie e gradatamente conquistano il continente. È sanguinoso, certo, ma soddisfa un bisogno che hanno nell’anima.

«I giovani li educheremo in modo diverso. I loro eroi saranno gli ingegneri invece dei soldati, e ogni cosa dovrebbe risolversi all’incirca nello stesso periodo. La nuova generazione crescerà mentre i loro padri staranno rastrellando Matenda Cape.»

«Molto ingegnoso,» disse Joe. «E a proposito di ingegnosità, dov’è Hableyat? Non lo vedo da qualche giorno.»

Harry si lasciò cadere in poltrona. «Hableyat se n’è andato.»

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