Jack Vance - I racconti inediti

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L’antologia di Jack Vance presenta al lettore i seguenti racconti di fantascienza: «ICABEM», «La selezione», «Il sifone plagiano», «Il fato del Phalid», «Il Tempio di Han», «Il figlio dell’albero» ed «I signori di Maxus».

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«Margaret?» Joe rise. «No. Niente a che fare con Margaret. Per la verità ho cambiato idea. Stattene pure lontano dalla Terra.»

Harry si rilassò leggermente. «Se aveva a che fare con Margaret… ebbene, sei arrivato un po’ in ritardo.» Allungò il collo. «Dove diavolo è? Margaret! »

«Margaret?» mormorò Joe.

Margaret uscì sul palco accanto a Harry. «Ciao, Joe,» come se si fossero salutati il pomeriggio precedente, «Che bella sorpresa.»

Stava ridendo dentro di sé, sommessamente. Anche Joe sorrise, sardonico. Benissimo, avrebbe mandato giù la sua medicina. Sostenne il loro sguardo, e disse: «Congratulazioni.» Si rese conto che Margaret stava vivendo nella pura realtà la vita che sosteneva di voler vivere: eccitazione, intrigo, avventura. E sembrava che le stesse a pennello.

Harry gli stava parlando. Joe d’un tratto divenne consapevole della sua voce. «Capisci, Joe, è una cosa meravigliosa quella che stiamo facendo quaggiù, un mondo meraviglioso. È ricco di metalli preziosi di prima qualità, legna, prodotti organici, forza lavoro. Ho un quadro in mente, Joe: Utopia.

«Ho alle spalle un bel gruppo di ragazzi, e stiamo lavorando insieme. Sono ancora un po’ rustici ma vedono questo mondo come lo vedo io, e sono disposti a correre il rischio con me. Per cominciare, naturalmente, ho dovuto sbattere un po’ di teste una contro l’altra, ma adesso sanno chi è il capo e andiamo d’accordo.» Harry girò amorevolmente lo sguardo sulla folla di Ballenkart, ognuno dei quali avrebbe potuto strangolarlo con una mano.

«Ancora vent’anni,» disse Harry, «e non crederai ai tuoi occhi. Cosa non faremo a questo pianeta! È meraviglioso, Joe, te lo dico io. Adesso scusami, per pochi minuti. Ci sono degli affari di stato.» Si sistemò sul suo seggio, e passò lo sguardo dai Mang ai Druidi.

«Potremmo anche discuterne adesso. Vedo che è tutto fresco e maturo nelle vostre menti. Ecco il mio vecchio amico Hableyat.» Strizzò l’occhio a Joe. «Vecchia volpe. A cosa devo la visita, Hableyat?»

Hableyat avanzò impettito. «Tua Eccellenza, mi trovo in una posizione peculiare. Non ho avuto modo di comunicare con il mio governo, e non conosco con certezza l’estensione della mia autorità.»

Harry disse a una guardia: «Trova il Magnerru.» E a Hableyat: «Il Magnerru Ippolito è arrivato fresco da Mangtse, e sostiene di parlare con la voce del vostro Ampianu Generale.»

Da un’arcata laterale si avvicinò un Mang, robusto e con la faccia quadrata, luminosissimi occhi neri, pelle giallo limone, labbra arancione vi vo. Indossava una veste scarlatta ricamata con un orlo purpureo a scacchi verdi, e un cappello cubico nero.

Erru Kametin e gli altri Mang del suo gruppo si inchinarono profondamente, rendendo omaggio con le braccia spalancate. Hableyat fece un cenno rispettoso col capo, un sorriso stereotipato sulle labbra grassocce.

«Magnerru,» disse il Principe Harry. «Hableyat vuole sapere fin dove arriva la sua libertà nel prendere decisioni politiche.»

«Nessuna,» disse il Magnerru con voce stridula. «Assolutamente nessuna. Hableyat e le Acque Azzurre sono state screditate nell’Ampianu, e il Lathbon è dalla parte delle Correnti Rosse. Hableyat non ha altra voce che la sua, e anch’essa verrà presto messa a tacere.»

Harry annuì. «Allora sarebbe saggio, prima del suo decesso, udire quali sono le sue opinioni.»

«Mio Sire,» disse Hableyat, la faccia ancora immobile nella sua maschera gioviale, «le mie parole sono triviali. Preferisco udire le dichiarazioni del Magnerru e dei due Arcitearchi che sono con noi. Mio Sire, posso affermare che i maggiori di Kyril sono al tuo cospetto: gli Arcitearchi Oporeto Implan e Gameanza. Essi sapranno presentare destramente il loro pensiero.»

«La mia modesta residenza è piena di celebrità,» disse Harry.

Gameanza si fece avanti guardando il Magnerru con occhi che brillavano. «Principe Harry, ritengo la presente atmosfera inadatta a discutere di politica. In qualunque momento tu lo desideri — quanto prima, tanto meglio — ti comunicherò la tendenza della politica dei Druidi assieme alle mie opinioni riguardanti la situazione politica ed etica.»

Il Magnerru disse: «Parla pure con quel lumacone senza guscio e con la bocca secca. Ascolta i suoi sforzi per introdurre lo schiavismo su Ballenkarch. Poi rimandalo nel suo fetido mondo grigio nella stiva di una nave bestiame.»

Gameanza si irrigidì. La sua pelle sembrò diventare irsuta. Con voce acuta e tagliente disse a Harry: «Sono a tua disposizione.»

Harry si alzò in piedi. «Bene, ci ritiriamo mezz’ora per discutere le vostre proposte.» Levò una mano all’indirizzo del Magnerru. «Tu avrai lo stesso privilegio, quindi sii paziente. Parla dei vecchi tempi con Hableyat. Mi pare di capire che prima occupava il tuo posto.»

Quando Harry saltò giù dal palco e lasciò il salone l’Arcitearca Gameanza lo seguì, e così fece l’Arcitearca Oporeto Implan. Margaret agitò disinvolta una mano verso Joe. «Ci vediamo.» E scivolò via attraverso un’altra porta.

Joe trovò una panca su un lato della stanza, e vi si sedette stancamente. Davanti a lui, come un quadro vivente, c’erano i rigidi Mang, lo squisito cosino di carne e ossa che era Elfane, Hableyat — all’improvviso distratto e impotente — e i Ballenkart nei loro sontuosi costumi, turbati, confusi, non abituati agli alterchi a base di mordaci battute, che si guardavano l’un l’altro a disagio da sopra le spalle robuste, borbottando.

Elfane voltò la testa, girò lo sguardo per la stanza. Vide Joe, esitò, poi attraversò la stanza e andò a sederglisi accanto. Dopo un po’ disse altezzosamente: «Stai ridendo di me, ti stai beffando di me.»

«Non me ne sono accorto.»

«Hai trovato l’uomo che stavi cercando,» disse con le sopracciglia inarcate. «Perché non fai qualcosa?»

Joe alzò le spalle. «Ho cambiato idea.»

«Perché quella donna coi capelli gialli — Margaret — è qui?»

«In parte.»

«Non me ne hai mai parlato.»

«Non credevo che ti interessasse.»

Elfane fissò impassibile un punto dall’altra parte della stanza. Joe disse: «Sai perché ho cambiato idea?»

Elfane fece segno di no con la testa. «No. Non lo so.»

«Per causa tua.»

Elfane si girò con occhi di fuoco. «E così è stata la donna bionda a farti venire quaggiù.»

Joe sospirò. «Ogni uomo può essere un dannato stupido una volta nella vita. Almeno una volta…»

Elfane non era soddisfatta. «Suppongo che adesso, se io ti mandassi a cercare qualcuno non ci andresti. Suppongo che lei contasse per te più di me adesso.»

Joe emise un gemito. «Oh, Signore! Innanzitutto tu non mi hai mai dato motivo di pensare che tu… oh, all’inferno!»

«Ti ho proposto di essere il mio amante.»

Joe la fissò esasperato. «Mi piacerebbe…» Si ricordò che Kyril non era la Terra, che Elfane era una Sacerdotessa, e non una ragazza del college.

Elfane rise. «Ti capisco benissimo, Joe. Sulla Terra gli uomini sono abituati a fare le cose a modo loro, e le donne sono abitanti ausiliari, E non dimenticare, Joe, che non mi hai mai detto una cosa… che mi ami.»

Joe ringhiò: «Avevo paura.»

«Prova.»

Joe provò, e con immensa felicità apprese che, nonostante mille anni luce di distanza, e due culture alle estremità opposte, le ragazze erano ragazze. Sacerdotesse o studentesse.

Harry e l’Arcidruido Gameanza ritornarono nella stanza, e sulla faccia del Druido era stampata un’espressione risoluta. Harry disse al Magnerru: «Forse vuoi essere tanto buono da scambiare qualche parola con me?»

Il Magnerru batté le mani con ira repressa contro la veste, e seguì Harry nelle camere interne. Evidentemente l’approccio informale non trovava risposta in lui.

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