Jack Vance - I racconti inediti

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L’antologia di Jack Vance presenta al lettore i seguenti racconti di fantascienza: «ICABEM», «La selezione», «Il sifone plagiano», «Il fato del Phalid», «Il Tempio di Han», «Il figlio dell’albero» ed «I signori di Maxus».

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Hableyat scosse tristemente la testa. «Ah, ma sono trasparente.»

«Prima su Kyril mi salvi la vita. Poi cerchi di farmi uccidere.»

«Solo per una spiacevole necessità.»

«Talvolta penso che tu sia amichevole, comprensivo…»

«Ma certo!»

«…proprio adesso mi hai letto nella mente e mi hai dato un consiglio paterno. Ma non sono mai perfettamente sicuro del fine per cui mi usi tanto riguardo. Così come l’oca che viene ingrassata per il paté de fois gras non comprende la sconfinata generosità del suo padrone. Le cose non sono sempre quello che sembrano.» Rise brevemente. «Non credo che tu voglia dirmi per quale macello mi stai ingrassando.»

Hableyat fece un gesto perplesso. «In questo momento non sono affatto ambiguo. Non fingo, e non mi nascondo dietro ad altro che sincerità. Il mio interesse per te è genuino ma, ne convengo, tale interesse non mi impedisce di sacrificarti a un fine più grande. Non c’è alcuna contraddizione. Io tengo separati i miei gusti e le mie avversioni personali dal lavoro. E così sai tutto di me.»

«Come faccio a sapere quando stai lavorando e quando no?» Hableyat allargò le braccia. «È una domanda alla quale nemmeno io posso rispondere.»

Ma Joe non era interamente insoddisfatto. Si mise comodo sul divano, e Hableyat allentò la fascia attorno alla vita grassoccia.

«La vita a volte è molto difficile,» disse Hableyat, «e molto improbabile, molto esigente.»

«Hableyat,» disse Joe, «perché non torni con me sulla Terra?» Hableyat sorrise. «Potrei anche dar retta al tuo suggerimento… se le Correnti Rosse sconfiggono le Acque Azzurre nell’Ampianu.»

Erano passati quattro giorni dalla partenza da Giunzione, e mancavano tre giorni a Ballenkarch. Joe, appoggiato alla ringhiera della passeggiata nel ventre della nave, sentì un passo lento avvicinarsi lungo la struttura. Era Elfane. Aveva il volto pallido e tormentato, gli occhi grandi e luminosi. Si fermò esitante di fianco a Joe, come se stesse solo facendo una pausa durante la passeggiata.

Joe disse: «Salve,» e ritornò a guardare le stelle.

Con una minima variazione della posizione Elfane gli fece capire di essersi fermata definitivamente, di essersi unita a lui. Gli disse: «Hai tentato di evitarmi, quando ho più bisogno di parlare con qualcuno.»

Joe disse, inquisitorio: «Elfane… sei mai stata innamorata?»

La sua espressione era stupefatta. «Non capisco.»

Joe grugnì. «Solo un’astrazione terrestre. Con chi vi accoppiate su Kyril?»

«Oh, persone che ci interessano, con le quali ci piace stare, che ci rendono consci del nostro corpo.»

Joe guardò di nuovo le stelle. «L’argomento è un po’ più profondo.»

La voce di Elfane era sommessa e divertita. «Capisco molto bene, Joe.»

Joe girò la testa. Elfane stava sorridendo. Labbra turgide e mature, un volto appassionato, gli occhi scuri e ardenti. La baciò, come un uomo assetato che beva.

«Elfane…?»

«Sì?»

«Su Ballenkarch… invertiamo la rotta e puntiamo sulla Terra. Niente più preoccupazioni, niente più complotti, niente più morti. Ci sono così tanti posti che voglio mostrarti, i luoghi antichi della vecchia Terra, che è ancora così fresca e dolce.»

Elfane si mosse tra le sue braccia. «C’è il mio mondo, Joe, e la mia responsabilità.»

Teso, Joe disse: «Sulla Terra lo vedrai come è veramente, spregevole sterco, degradante per i Druidi quanto è miserabile per gli schiavi.»

«Schiavi? Essi servono l’Albero della Vita. Tutti serviamo l’Albero della Vita in modi diversi.»

«L’Albero della Morte!»

Elfane si sciolse senza calore dal suo abbraccio. «Joe… è qualcosa che non posso spiegarti. Noi siamo legati all’Albero. Siamo i suoi figli. Tu non capisci la grande verità. C’è un universo, con l’Albero al suo centro, e i Druidi e i Laici servono l’Albero, impotenti di fronte allo spazio pagano.

«Un giorno sarà diverso. Tutti gli uomini serviranno l’Albero. Noi nasceremo dal suolo, serviremo e lavoreremo e finalmente daremo la nostra vita nell’Albero e diverremo foglie nella luce eterna, ognuno al suo posto. Kyril sarà la meta, il luogo sacro della galassia.»

Joe protestò. «Ma voi date a questo vegetale — un vegetale enorme, ma comunque un vegetale — un’importanza maggiore che all’umanità. Sulla Terra lo faremmo a pezzi come legna da ardere nella stufa. No, questo non è vero. Ci costruiremmo attorno una pista a spirale, faremmo fare delle escursioni e venderemmo hot dog e bibite sulla cima. Lo useremmo, invece di lasciarci ipnotizzare dalla sua mole.»

Elfane non l’aveva ascoltato. «Joe… puoi essere il mio amante. E vivremo la nostra vita su Kyril, e serviremo l’Albero e uccideremo i suoi nemici…» Si fermò di colpo, sbalordita dall’espressione di Joe.

«Questo non è bene… per nessuno di noi due. Io tornerò sulla Terra. Tu resta laggiù, trovati un altro amante che uccida i tuoi nemici per te. E faremo tutti e due ciò che vogliamo. Ma l’altro non sarà incluso.»

Elfane si voltò e si appoggiò alla ringhiera, fissando tetramente le stelle a mezzanave. Dopo un poco disse: «Sei mai stato innamorato di un’altra donna?»

«Niente di serio,» mentì Joe. E poi: «E tu… hai avuto altri amanti?»

«Niente di serio…»

Joe la guardò di scatto, ma sul suo viso non c’era traccia di umorismo. Sospirò. La Terra non era Kyril.

Elfane disse: «Quando atterreremo su Ballenkarch cosa farai?»

«Non lo so, non ho ancora deciso. Di certo niente che abbia a che fare con Druidi e Mang, questo almeno lo so. Alberi e imperi posso esplodere tutti insieme per quello che mi riguarda. Ho già i miei problemi…» La sua voce si abbassò, si spense.

Vide se stesso incontrare Harry Creath. Su Marte, con la mente ancora piena di Margaret — su Io, Pluto, Altair, Vega, Giansar. Polaris, Thuban, e anche di recente su Jamivetta e Kyril — non si era reso conto dell’aspetto donchisciottesco e ridicolo del suo viaggio.

Adesso l’immagine di Margaret aveva iniziato a farsi indistinta, ma per quanto indistinta sentiva ancora lo scampanio tintinnante della sua risata. Con un’improvvisa vampata di imbarazzo seppe che Margaret si sarebbe divertita parecchio a sentirlo raccontare le sue avventure, così come avrebbe provato sbalordimento, incredulità e forse appena un poco di disprezzo.

Elfane lo stava guardando incuriosita. Joe ritornò al presente. Strano, come Elfane sembrasse concreta e reale in contrasto con i suoi pensieri randagi. Elfane non avrebbe trovato niente di divertente in un uomo errante per l’universo per amore di lei. Al contrario si sarebbe indignata se non l’avesse fatto.

«Cosa farai su Ballenkarch allora?» gli chiese.

Joe si massaggiò il mento, fissò le stelle che cambiavano continuamente posizione. «Credo che andrò a fare una visitina a Harry Creath.»

«E dove lo cercherai?»

«Non lo so. Prima proverò nel continente civilizzato.»

«Nessun luogo su Ballenkarch è civilizzato.»

«Il continente meno barbaro, allora!» disse Joe paziente. «Se lo conosco, sarà nel mezzo della mischia.»

«E se è morto?»

«Allora mi girerò e tornerò a casa con la coscienza pulita.»

Margaret avrebbe detto: «Harry morto?» Vide il suo mento rotondo alzarsi impertinente. «In questo caso perde per abbandono. Prendimi, mio cavalleresco amore, e portami via sulla tua navicella bianca.»

Lanciò un’occhiata furtiva a Elfane, d’un tratto consapevole del profumo agre e fiorito d’incenso che aveva addosso. Elfane era elettrizzante per quanta vitalità aveva, per ciò che pensava e lo stupore che provava. Prendeva la vita e le emozioni seriamente. Certo Margaret aveva con le cose un rapporto più leggero, rideva con maggiore facilità, non era dedita a uccidere i nemici della sua religione. Religione? Joe rise brevemente. Margaret conosceva appena la parola.

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