Jack Vance - I racconti inediti
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- Название:I racconti inediti
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- Год:1995
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«Credo che possiamo trovarne un poco, Signore Smith.»
Joe si rivolse a Hableyat. «Non indossano molti vestiti. Quella che hanno addosso è vernice! »
Hableyat parve divertito. «Certo. Non hai mai saputo che i Beland indossano più vernice che vestiti?»
«No,» disse Joe. «I vestiti li ho sempre dati per scontati.»
«Questo è un grave errore,» disse Hableyat solennemente. «Quando hai a che fare con una qualsiasi creatura o manifestazione o personalità su un pianeta sconosciuto, non dare mai niente per scontato! Quand’ero giovane ho visitato il mondo di Xenchoy su Kim, e lì commisi lo sbaglio di sedurre una delle ragazze native. Una creatura deliziosa con pampini intrecciati ai capelli. Rammento che si sottomise prontamente ma senza entusiasmo.
«Nel momento in cui ero più indifeso tentò di pugnalarmi con un lungo coltello. Protestai, e lei ne fu sbalordita. In seguito scoprii che su Xenchoy solo una persona intenzionata al suicidio avrebbe posseduto una ragazza fuori dal vincolo del matrimonio, e poiché non esiste alcun onere per il suicidio, né per l’impudicizia, realizza così il sogno di tutta l’umanità, morire in estasi.»
«E la morale?»
«È certamente chiara. Le cose non sono sempre quello che sembrano.»
Joe si rilassò sul divano, meditando, mentre Hableyat canticchiava sottovoce una fuga Mang su quattro toni, accompagnandosi con le sei tavolette che portava appese al collo come un ciondolo, ognuna delle quali vibrava al tocco di una nota diversa.
È evidente che o sa o sospetta qualcosa , pensò Joe, che è chiaro come la mia faccia e io non riesco a vederlo. Hableyat una volta ha detto che ho un intelletto limitato, forse ha ragione. Di certo mi ha dato sufficienti indizi. Elfane? Lo stesso Hableyat? No, stava parlando del Figlio dell’Albero. Davvero un sacco di eccitamento per un vegetale. Hableyat pensa che sia ancora a bordo, questo è chiaro. Ebbene, io non ce l’ho. Lui non ce l’ha, altrimenti non parlerebbe così tanto. Elfane è all’oscuro. I Cil? L’orribile vecchia? I Mang? I due missionari Druidi?
Hableyat lo stava osservando attentamente. Quando Joe si drizzò a sedere di scatto, Hableyat sorrise. «Adesso hai capito?»
«Sembra ragionevole,» disse Joe.
Tutti i passeggeri erano seduti ancora una volta nel salone, ma adesso c’era un’atmosfera diversa. La prima parte del viaggio aveva sofferto di una certa tensione, ma si era trattato di un vago fastidio, di una questione di simpatie e antipatie personali, dominate forse dalla personalità di Manaolo.
Adesso le relazioni individuali sembravano sommerse in un più vasto odio razziale. Erru Kametin, i due civili Mang — procuratori del comitato politico delle Correnti Rosse, così Joe apprese da Hableyat — e la giovane vedova Mang sedevano vicino alla clessidra impegnati nel loro gioco con i bastoncini colorati, scoccando occhiate di fuoco all’imperturbabile Hableyat dall’altra parte della stanza.
I due missionari Druidi erano chini sul loro altare in un angolo buio del salone, occupati con riti interminabili davanti alla rappresentazione dell’Albero. I Cil, offesi dall’assenza di attenzione alle loro eleganti capriole, se ne stavano sulla passeggiata. La donna in nero sembrava sempre come morta, con gli occhi che si spostavano di un ottavo di pollice per volta. Forse una volta ogni ora sollevava una mano trasparente fino alla testa liscia come vetro.
Joe si trovò travolto da correnti psicologiche incrociate, come una pozza sferzata contemporaneamente da venti provenienti da ogni direzione. Prima di tutto c’era la sua missione personale su Ballenkarch. Strano, pensò Joe, mancavano solo giorni, ore, a Ballenkarch e adesso la sua missione sembrava svuotata di ogni urgenza. Possedeva solo una limitata quantità di emozioni, volontà, energia, e sembrava averne investito una grande parte in Elfane. Investito? Gli erano state strappate, spremute, divelte.
Joe pensò a Kyril, all’Albero. Ai palazzi di Divinai raggruppati attorno alla massa subplanetaria del tronco, alle distese infinite di misere fattorie e villaggi maleodoranti, ai pellegrini che a spalle curve e occhi spenti entravano nel tronco, con l’ultimo gesto di trionfo, lo sguardo retrospettivo al paesaggio piatto e grigio.
Pensò alla disciplina dei Druidi, imposta con la morte. E tuttavia la morte non era nulla da temere su Kyril. La morte era comune come nutrirsi. La soluzione dei Druidi a ogni dilemma, la valanga che tutto travolge, l’approccio universale all’esistenza. La moderazione era una parola con poco significato per uomini e donne senza nessun limite a capricci, appagamenti o eccessi.
Considerò ciò che sapeva di Mangtse, un piccolo mondo di laghi e isole trasformate e pianificate in parchi naturali, un popolo innamorato delle circonvoluzioni intricate, con un’architettura di curve fantasiose, sinuosi ponti di legno su corsi d’acqua e canali, viste pittoresche e affascinanti nell’antica luce gialla del piccolo sole sfocato.
Poi le fabbriche, ordinate, efficienti, sistematiche, sulle isole industriali; e i Mang, un popolo elaborato, involuto e sottile come i loro ponti scolpiti. C’era Hableyat, nella cui anima Joe non aveva mai guardato, nemmeno per un solo istante. C’erano le ardenti Correnti Rosse, inclini all’imperialismo: medievalisti, secondo un termine terrestre.
E Ballenkarch? Niente, se non che era un mondo barbaro, con un principe intento a sviluppare un complesso industriale nello spazio di una notte. E da qualche parte su quel pianeta, tra i selvaggi del sud o tra i barbari del nord, c’era Harry Creath.
Harry aveva affascinato Margaret, e se n’era andato a cuor leggero, lasciandosi alle spalle uno scompiglio emozionale che non poteva trovare pace senza il suo ritorno. Due anni prima Harry si era trovato a poche ore di distanza su Marte. Ma quando Joe era arrivato per riportarlo sulla Terra per una chiarificazione, Harry era già partito. Fumante di rabbia per il ritardo, ma tenace e forte della sua ossessione, Joe aveva persistito.
Su Thuban aveva perso le sue tracce, quando la sciabola corta di un ubriaco l’aveva spedito all’ospedale per tre mesi. Poi altri mesi di angoscianti ricerche e indagini, e finalmente era venuto a galla il nome di un oscuro pianeta: Ballenkarch. Adesso Ballenkarch era vicino, e da qualche parte sul pianeta c’era Harry Creath.
E Joe pensò, All’inferno anche Harry! Perché Margaret non era più al centro dei suoi pensieri. Adesso c’era una Sacerdotessa, sfacciata e senza scrupoli. Joe immaginò se stesso e Elfane a esplorare gli antichi luoghi della Terra, Parigi, Vienna, San Francisco, la Valle di Cashmir, la Foresta Nera, il Mare del Sahara.
Poi si chiese se Elfane si sarebbe adeguata. Sulla Terra non c’erano sgobboni inebetiti da uccidere o battere o vezzeggiare come animali. Forse erano vere le parole di Hableyat: Le cose non sono sempre quello che sembrano. Elfane all’apparenza era fondamentalmente una creatura simile a lui, come caratteristiche generali. Forse non aveva mai capito con esattezza la profondità dell’egotismo dei Druidi. Benissimo, allora, l’avrebbe scoperto.
Hableyat alzò mitemente gli occhi quando Joe si alzò in piedi. «Se fossi in te, amico mio, penso che aspetterei. Almeno un altro giorno. Dubito che a quest’ora abbia già apprezzato completamente la sua solitudine. Credo che apparirle davanti adesso, specialmente con quel cipiglio bellicoso, provocherebbe soltanto il suo antagonismo, e ti classificherebbe assieme al resto dei suoi nemici. Lasciala nel suo brodo ancora un giorno, e poi lascia che sia lei a venire da te, sulla passeggiata oppure in palestra, dove ho notato che trascorre un’ora tutti i giorni.»
Joe riaffondò nel divano. Disse: «Hableyat, tu mi confondi.»
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