«Secondo me» disse George, invidioso «è una donna troppo superiore a Rupert. Un’unione così non può durare. Lei si stancherà molto presto di lui.» Pensiero che parve sollevarlo straordinariamente.
«Non t’illudere! Oltre a essere quella splendida donna che è, Maia è anche molto a modo. Era tempo che qualcuno s’incaricasse di far mettere la testa a posto a Rupert, e Maia è proprio la donna che ci voleva.»
Rupert e Maia erano seduti accanto a Rashaverak, a ricevere gli ospiti. Di rado le feste di Rupert avevano un punto focale. Di solito si formavano una mezza dozzina di gruppi autonomi intenti a conversazioni loro proprie. Questa volta, però, tutti gli ospiti gravitavano attorno a un preciso centro d’attrazione. George si rammaricò per Maia: quella sarebbe dovuta essere la sua giornata, ma Rashaverak l’aveva in parte eclissata.
«Senti» riprese George, addentando una tartina «sai dirmi come ha fatto Rupert a mettere le mani su di un Super? Non ce ne ha nemmeno parlato, nell’invito.»
Benny si mise a ridere.
«È un’altra delle sue piccole sorprese. Sarà meglio che tu lo chieda direttamente a lui, come ha fatto. Ma questa non è la prima volta, comunque, che accade una cosa del genere. Karellen, per esempio, ha partecipato a ricevimenti della Casa Bianca e di Buckingham Palace, e…»
«Ma è diverso! Rupert è solo un privato cittadino!»
«Può darsi che Rashaverak non sia che un Super di basso rango. Ma chiedilo a loro.»
«Lo farò» disse George «appena mi sarà possibile prendere Rupert da parte.»
«Allora dovrai aspettare un pezzo.»
Benny aveva ragione, ma la festa si andava riscaldando, e non fu molto difficile avere pazienza. La paralisi generale provocata dalla comparsa di Rashaverak si era infine dissolta. C’era ancora un gruppetto di persone intorno al Superno, ma altrove si stava verificando la solita frammentazione, e tutti si comportavano normalmente. Senza voltare la testa, George poteva vedere un famoso produttore cinematografico, un poeta di un certo interesse, un matematico, due attori, un fisico nucleare, il direttore di un giardino zoologico, il direttore di un settimanale, un professore di statistica del Consiglio Bancario Mondiale, un virtuoso del violino, un archeologo e un astrofisico. Non c’erano altri esponenti della professione di George, scenografo della TV, cosa che non gli dispiacque, dato che non aveva voglia di parlare di lavoro.
Finalmente poté cogliere di sorpresa Rupert in cucina mentre sperimentava nuove misture. Era un peccato strapparlo al suo paradiso per riportarlo bruscamente sulla Terra, ma quando era necessario, George sapeva essere spietato.
«Senti, Rupert» cominciò, sedendosi sull’angolo del tavolo «mi pare che tu ci debba qualche spiegazione.»
«Mm» fece Rupert, assaporando il gusto della miscela. «Forse un po’ troppo gin, mi pare…»
«Non scantonare e non fare finta di non essere più in condizioni di capire, perché so benissimo che non sei ancora ubriaco. Allora, da dove salta fuori il tuo amico Superno e che cosa ci fa qui?»
«Ma come, non te l’ho detto?» disse Rupert. «Credevo di avere spiegato tutto. Si vede che non c’eri quando… Ma già, eri in biblioteca.» Si mise a ridacchiare in un modo che a George parve offensivo. «È proprio la biblioteca che ha fatto capitare qui Rashy.»
«Incredibile!»
«Perché?»
George tacque un momento rendendosi conto che a quel riguardo ci voleva un po’ di tatto: Rupert andava molto orgoglioso della sua raccolta.
«Be’, quando si pensa a tutto quello che i Superni possono insegnare in campo scientifico, ci si stupisce un po’ che s’interessino ai fenomeni psichici, parafisici, metapsichici e a tutto questo genere di sciocchezze, no?»
«Sciocchezze o no» rispose Rupert «si interessano alla psicologia umana, e io ho alcuni volumi che possono insegnare loro parecchie cose. Proprio poco tempo prima che io mi trasferissi qui, un vice Sotto Super o un vice Super-Sottocontrollore si è messo in contatto con me per chiedermi in prestito i miei cinquanta volumi più rari. Pare che uno dei bibliotecari della biblioteca del British Museum gli avesse fatto il mio nome. Naturalmente, puoi immaginare cosa gli ho risposto.»
«No, non lo immagino.»
«Gli ho detto con tutta la cortesia possibile che mi ci erano voluti vent’anni per raccogliere la mia biblioteca. Felicissimo che volessero consultare i miei volumi, ma dovevano venire qui se volevano leggerli. Allora ecco comparire Rashy, che da quel momento procede alla media di venti volumi al giorno. Non so che cosa pagherei per sapere a che gli serve tutto quello che legge.»
George ci pensò sopra, alla fine si strinse nelle spalle, deluso.
«Francamente» disse «la mia stima per i Superni scende di parecchi gradi. Credevo che avessero di meglio da fare.»
«Sei il solito incorreggibile materialista! Non credo che Jean concordi con le tue idee. Ma anche dal tuo tanto pratico punto di vista, la cosa è sensata. Sono convinto che ti metteresti a studiare le superstizioni di ogni razza primitiva con la quale dovessi avere a che fare, non è così?»
«Direi di sì» rispose George, non del tutto convinto. Il tavolo non era un sedile comodo, e lui si alzò. Rupert aveva finito ora di rimescolare le sue misture e si accingeva con aria soddisfatta a servirle ai suoi ospiti. «Ehi!» protestò George. «Prima di sparire devi rispondere a un’altra domanda. Come hai fatto ad avere quella specie di telecamera rice-trasmittente con cui hai cercato di spaventarci?»
«S’è trattato di mercanteggiare un po’, ecco tutto. Avevo fatto notare che sarebbe stato utile quell’aggeggio per un lavoro come il mio, e Rashy ha avanzato la proposta a chi di dovere.»
«Perdona la mia ottusità, ma qual è il tuo nuovo lavoro? Immagino che abbia a che fare più o meno con gli animali.»
«Esattamente. Io sono un superveterinario. La mia condotta ricopre circa diecimila chilometri quadrati di giungla, e siccome i miei pazienti non vogliono venire da me, sono io che devo andare a scovarli.»
«Un lavoro sfibrante, no?»
«Naturalmente, non conviene preoccuparsi della minutaglia. Ma soltanto di leoni, elefanti, rinoceronti, e così via. Tutte le mattine metto i controlli per una quota di cento metri, mi siedo davanti allo schermo e me ne vado a esplorare i dintorni; appena trovo qualche creatura bisognosa di me, salto sull’aereo e mi auguro che il mio stile di buon samaritano abbia i suoi risultati. Alle volte, si hanno delle sorprese non molto piacevoli. Leoni e simili sono facili a curarsi; ma cercare di pungere un rinoceronte dall’alto con una freccia anestetica è un’impresa titanica.»
«Rupert!» chiamò qualcuno dalla sala accanto.
«Dio, guarda che cosa mi hai combinato! Mi hai fatto dimenticare i miei ospiti. Là, guarda, prendi quel vassoio. Quelli sono i bicchieri col vermut… non voglio confonderli con gli altri.»
Fu poco prima del tramonto che George riuscì a svignarsela verso la terrazza sul tetto. Per molte buone ragioni, aveva una lieve emicrania, per cui non gli era parso vero sottrarsi al baccano e alla confusione che regnavano da basso. Jean, ballerina infinitamente migliore di lui, aveva ancora l’aria di divertirsi enormemente e non era voluta uscire. George, che grazie all’alcol ingerito si sentiva eroticamente sentimentale, c’era rimasto male e aveva deciso di smaltire il malumore in pace, sotto le stelle. Si giungeva alla terrazza sul tetto mediante la scala mobile fino al primo piano e poi arrampicandosi sulla scala a chiocciola che girava intorno alla tubatura dell’impianto per l’aria condizionata, uscendo infine per una porta. L’aereo di Rupert era parcheggiato a un capo della terrazza: la zona centrale era tenuta a giardino, un giardino che dava già a vedere di essere incolto, mentre il resto non era che una piattaforma-osservatorio con alcune sedie a sdraio. George si lasciò cadere su una delle sedie e si guardò intorno con occhio da sovrano. Si sentiva il dominatore di tutto ciò su cui posava lo sguardo. Le stelle che cominciarono a spuntare da tutte le parti con tanta fretta appena il sole fu del tutto scomparso gli erano completamente sconosciute. Cercò la Croce del Sud, ma non la trovò. Sebbene sapesse ben poco di astronomia e fosse in grado di identificare solo tre o quattro costellazioni, pure quell’assenza di configurazioni familiari gli riuscì stranamente penosa. Come erano penose le urla che provenivano dalla giungla, che ad un tratto sembrava essersi fatta vicina in modo preoccupante. «Basta con quest’aria fresca» pensò George. «Ora me ne torno da basso, prima che un vampiro, o qualche altra creatura altrettanto gradevole, venga a indagare su questa terrazza.»
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