«Eccoci arrivati» disse George, con l’orgoglio di un ufficiale di rotta dopo un atterraggio di fortuna. «La favolosa collezione Boyle nella sua nuova sede. Sarei curioso di sapere quanti di questi libri Rupert ha letto veramente.»
La biblioteca occupava l’intera lunghezza della casa, ma era divisa in una mezza dozzina di salette dai grandi scaffali messi trasversalmente. Quegli scaffali dovevano contenere, se George ricordava bene, quindicimila volumi: quasi tutto ciò che d’importante era stato pubblicato sui nebulosi argomenti della magia, delle ricerche metapsichiche, della divinazione, della telepatia, oltre che sulla serie completa di quei fenomeni elusivi raccolti alla rinfusa nella categoria della parafisica. Mania molto strana, quella della metapsichica, nell’èra della logica. Presumibilmente Rupert se l’era scelta come forma di evasione.
George percepì l’odore nell’attimo in cui mise piede in biblioteca. Un odore non molto forte, ma penetrante, e non tanto sgradevole quanto sfuggente a ogni analisi. Anche Jean l’aveva sentito e corrugò la fronte nello sforzo di identificarlo. Acido acetico, pensò George, ecco l’odore che più gli si avvicina, ma c’è anche un altro elemento, si direbbe… La biblioteca terminava in una nicchia, dove c’era appena lo spazio per un tavolino, due poltrone e un paio di sgabelli imbottiti. Presumibilmente quello era il rifugio di Rupert. Ma anche adesso c’era gente nella nicchia. Qualcuno che leggeva in una luce eccezionalmente bassa. Jean soffocò un’esclamazione e afferrò George per un braccio. Una reazione giustificabile: un conto era vedere un’immagine teletrasmessa e un altro trovarsi di fronte alla realtà. Anche George, che difficilmente si stupiva, questa volta non riuscì a restare impassibile.
«Spero di non avervi disturbato…» disse educatamente. «Non avevamo la più pallida idea che ci fosse qualcuno. Rupert non ci aveva detto…»
Il Superno abbassò il libro, li guardò attentamente, poi riprese a leggere. Non c’era niente di scortese in quel comportamento, dato che il Superno poteva leggere, conversare e probabilmente fare parecchie altre cose contemporaneamente. Tuttavia, agli occhi di un essere umano era un atteggiamento da schizofrenico.
«Mi chiamo Rashaverak» disse il Superno, cortesemente. «Temo di non apparirvi troppo socievole, ma è molto difficile sottrarsi al fascino della biblioteca di Rupert.»
Jean riuscì a soffocare una risatina nervosa. Aveva notato che l’inatteso compagno leggeva alla media di circa una pagina ogni due secondi. Non aveva il minimo dubbio che il Superno assimilasse compiutamente ogni parola, e si chiese se potesse leggere un libro con ogni occhio. Senza contare, naturalmente, continuò a pensare con una punta di malizia, che potrebbe anche imparare il metodo braille e così leggere anche con le dita, come i ciechi… L’immagine che ne risultò era troppo comica per non dare luogo a inconvenienti, per cui Jean cercò di evitare il guaio gettandosi a capofitto nella conversazione. Dopo tutto, non era una cosa di tutti i giorni poter scambiare due chiacchiere con uno dei padroni della Terra. George la lasciò chiacchierare, dopo le debite presentazioni, augurandosi che sua moglie non si lasciasse sfuggire qualche osservazione poco opportuna. Come Jean, era la prima volta che vedeva un Superno in carne ed ossa. Sebbene essi si mescolassero ufficialmente con funzionari governativi, scienziati e altri, non aveva mai sentito dire che qualcuno avesse partecipato a una festa privata. Si poteva forse dedurre che quella festa non era così privata come poteva sembrare. E il fatto che Rupert possedesse un apparecchio solitamente riservato ai Superni era un altro indizio, e George cominciò a domandarsi «Che Cosa Esattamente Ci Fosse Di Nuovo». Si riservò di chiederlo a Rupert, non appena avesse potuto prenderlo in disparte. Dato che le poltrone erano troppo piccole per lui, Rashaverak si era seduto sul pavimento e sembrava perfettamente a suo agio. La sua testa sì trovava così a soli due metri dal pavimento e George ebbe la stupenda occasione di studiare biologia extraterrestre. Purtroppo, dato che conosceva ben poco anche di biologia terrestre, non poté imparare molto di più di ciò che già sapeva. Soltanto quell’odore acidulo ma tutt’altro che sgradevole, gli riusciva nuovo. Si domandò quale odore avessero gli umani per i Superni e sperò per il meglio. Non c’era niente di realmente antropomorfico in Rashaverak. Però George si rese conto che, visti in distanza, da selvaggi ignoranti, atterriti, i Su-perni avevano potuto benissimo essere scambiati per uomini alati, dando così origine al ritratto convenzionale del Diavolo. Ma, a una distanza ravvicinata come quella, gran parte dell’illusione scompariva. Le ali di Rashaverak erano ripiegate in modo che George non poteva vederle bene, ma la coda, che pareva un tubo di gomma corazzato, gli stava avvoltolata ordinatamente sotto il corpo. Il famoso ciuffo sulla punta non era tanto un ferro di lancia, quanto un largo e piatto rombo. Suo scopo, come si riteneva generalmente, era di dare maggiore stabilità al volo, come le penne caudali d’un uccello. Da pochi dati e supposizioni del genere, gli scienziati erano giunti alla conclusione che i Superni provenissero da un pianeta caratterizzato da bassa gravità e atmosfera densissima. La voce di Rupert rimbombò a un tratto da un altoparlante nascosto.
«Jean! George! Dove diavolo vi siete cacciati? Scendete. Gli altri cominciano a mormorare!»
«Sarà meglio che scenda anch’io» disse Rashaverak, riponendo il volume in uno scaffale. Lo fece con estrema facilità, senza muoversi dal pavimento, e George notò per la prima volta che l’essere aveva due pollici, opponibili, con cinque dita fra loro. «Non vorrei studiare aritmetica secondo un sistema basato sul quattordici» pensò George. Rashaverak in piedi offriva uno spettacolo imponente, e quando il Superno dovette chinarsi per non battere la testa contro il soffitto, fu alquanto evidente che se pure erano desiderosi di mescolarsi agli uomini, gli Eccelsi avevano molte difficoltà di ordine pratico da superare. Parecchi altri aerei di invitati erano giunti in quella mezz’ora, e la sala, ora, rigurgitava. L’arrivo di Rashaverak complicò la situazione, perché tutti quelli che si trovavano nelle sale attigue accorsero per vederlo da vicino. Rupert era ovviamente compiaciuto della sensazione prodotta dal suo ospite eccezionale. Quanto a Jean e George, passarono completamente inosservati, soprattutto perché si trovavano dietro il Superno.
«Vieni qua, Rashy» urlò Rupert. «Voglio farti conoscere un po’ di amici. Siedi su questo divano, così la smetterai di raschiarmi il soffitto.»
Rashaverak, la coda buttata su una spalla, si mosse attraverso la sala come un rompighiaccio che tenti la via della banchisa. Quando si sedette accanto a Rupert, la sala parve ridiventare più vasta, e George emise un sospiro di sollievo.
«Mi viene un attacco di claustrofobia, ogni volta che lo vedo in piedi. Chissà come avrà fatto Rupert ad accaparrarselo… la festa si annuncia interessante, una volta tanto.»
«Hai sentito come Rupert lo tratta confidenzialmente, e in pubblico, per giunta? Ma il Superno non ha avuto l’aria di offendersi. È tutto molto strano.»
«Io invece scommetto che il Superno se l’è avuta a male. Il guaio di Rupert è la sua mania di esibizionismo e la sua mancanza di tatto. E questo mi fa venire in mente alcune delle domande che gli hai rivolto!»
«Per esempio?»
«Per esempio: «Da quanto tempo siete qui fra noi?», «Andate d’accordo col Supercontrollore Karellen?», «Vi trovate bene sulla Terra?». Ti assicuro, tesoro, non si parla ai Superni con quel tono!»
«Non vedo perché. È ora che qualcuno cominci!»
Prima che la discussione degenerasse, furono avvicinati dagli Shoenberger e, rapidissima, avvenne la scissione dell’atomo: le due donne se ne andarono in una direzione per parlare con comodo della signora Boyce, gli uomini in un’altra per fare esattamente la stessa cosa, ma da un diverso punto di vista.
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