In un silenzioso scontro di luce, il cuore della Terra liberò le energie accumulate. Le onde gravitazionali attraversarono e riattraversarono il Sistema Solare, turbando appena, impercettibilmente, le orbite degli altri pianeti. Poi gli ultimi figli del Sole continuarono la corsa lungo i loro antichissimi sentieri, come i sugheri che galleggiano sulla superficie di un placido lago superano le lievi onde provocate dalla caduta di un sasso nell’acqua. Della Terra non restava più niente: essi ne avevano succhiato fino all’ultimo atomo di sostanza. La Terra li aveva nutriti per tutti i duri istanti della loro inconcepibile metamorfosi, così come il nutrimento racchiuso in un granellino di frumento alimenta la giovane pianta che si arrampica dal suolo verso il Sole.
A seimila milioni di chilometri oltre l’orbita di Plutone, Karellen sedeva davanti a uno schermo che si era spento di colpo. Il rapporto dalla Terra era finito. E la sua missione era compiuta. Lui era in viaggio verso il mondo da dove era partito tanto tempo prima. Il peso dei secoli gravava su di lui, insieme con una tristezza che nessuna logica poteva dissolvere. Karellen non piangeva sull’uomo: la sua tristezza era per la sua propria specie, bandita per sempre dalla grandezza di forze che essa non poteva superare. Perché, nonostante tutte le loro conquiste, tutto il loro dominio dell’universo fisico, i fratelli di Karellen non erano niente di più d’una tribù che avesse trascorso la sua intera esistenza su una landa deserta, polverosa. Le montagne erano lontanissime, quelle montagne che avevano potenza e bellezza, dove il tuono volava sopra i ghiacciai e l’aria era limpida e pura. Quando in basso il suolo era già avvolto nel buio, il Sole camminava ancora su quei picchi avvolgendoli di gloria. Ma essi potevano soltanto guardare, perché i Superni non avrebbero mai potuto scalare quelle vette. Eppure Karellen sapeva che la sua razza sarebbe rimasta fedele sino alla fine, che avrebbe atteso senza disperare che si compisse il suo destino. Avrebbero servito la Supermente perché non avevano scelta, ma anche nell’asservimento non avrebbero perso le loro anime. Il grande schermo di comando lampeggiò a un tratto d’una luce rosacupo: meccanicamente, Karellen lesse il messaggio contenuto nelle sue linee cangianti. L’astronave stava abbandonando le frontiere del Sistema Solare; le energie che alimentavano la Superpropulsione scemavano rapidamente, ma avevano fatto il loro dovere. Karellen alzò la mano, e il quadro cambiò ancora una volta. Una sola stella molto fulgida apparve nel centro dello schermo. Nessuno avrebbe potuto dire, a quella distanza, se quel Sole avesse mai avuto pianeti o che uno di essi era andato or ora perduto.
A lungo Karellen fissò l’immagine della stella lontanissima, e una infinità di ricordi percorse i meandri della sua grande mente. Poi salutò in silenzio gli uomini che aveva conosciuto, sia che lo avessero ostacolato sia che lo avessero aiutato nel suo compito.
Nessuno osò disturbarlo o interrompere i suoi pensieri, e alla fine Karellen voltò le spalle al Sole che rimpiccioliva in distanza.
FINE