Isaac Asimov - L'uomo del bicentenario

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L'uomo del bicentenario: краткое содержание, описание и аннотация

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Vincitore dei premi Hugo e Nebula per il miglior racconto
in 1977.
Anche pubblicato come “L’uomo bicentenario”.

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L’attesa fu, come aveva richiesto Andrew, ragionevole, e l’intervento si risolse in un successo.

— Ero contrario, Andrew — disse Magdescu — ma non per i motivi che forse supponete voi. Sarei stato favorevole se l’intervento avesse dovuto essere effettuato su qualcun altro. Mi terrorizzava l’idea di mettere a repentaglio il vostro cervello positronico. Adesso che i circuiti positronici sono collegati a circuiti nervosi simulati, sarebbe difficile salvare il cervello se il corpo cessasse di funzionare.

— Avevo fiducia nell’abilità dei tecnici della U. S. Robot — disse Andrew. — E adesso posso mangiare.

— Be’, potete assorbire dell’olio d’oliva. E occorrerà di tanto in tanto ripulire la camera di combustione, come vi è stato spiegato. Non sarà una cosa piacevole, credo.

— Forse, se non pensassi di migliorare. Non è impossibile che riesca a farlo da solo. Inoltre sto studiando un congegno capace di trattare alimenti solidi con parti non combustibili… cibo indigesto, per dirla in parole povere… che andranno eliminate.

— Allora bisognerà provvedervi di un’apertura per l’espulsione.

— Come nel corpo umano.

— Già. E che altro vorreste?

— Tutto.

— Anche gli organi genitali?

— Sì, se si adatteranno ai miei progetti. Il mio corpo è come una tela grezza su cui voglio creare un quadro che rappresenti…

Magdescu aspettò che finisse la frase, ma poiché Andrew taceva, la completò per lui: — Un uomo?

— Vedremo — disse Andrew.

— È un progetto molto ambizioso, Andrew. Però voi ora siete molto migliore di un essere umano. Optando per la vita organica optate per il peggio.

— Finora il mio cervello non ne ha sofferto.

— No, su questo potete stare sicuro. Ma perché tentare ancora la sorte? Siete l’inventore di protesi miracolose che vi hanno reso ricco e famoso… così come siete. Che bisogno c’è di cambiare?

Andrew non rispose.

Grazie alle sue invenzioni divenne famoso, fu eletto membro di parecchie importanti organizzazioni scientifiche, una delle quali si occupava della nuova scienza da lui creata, quella che lui aveva chiamato robo-biologia e che poi venne definita protesiologia.

Nel centocinquantesimo anniversario della sua costruzione, la U. S. Robot diede un pranzo in suo onore, e se Andrew notò l’ironia della cosa se lo tenne per sé.

Alvin Magdescu, che era andato in pensione, volle presenziare al banchetto. Aveva novantaquattro anni e se era vivo lo doveva alle numerose protesi che, fra l’altro, avevano sostituito il fegato e i reni malati. Il pranzo culminò col discorso di Magdescu, che alla fine sollevò il calice per brindare «Al centocinquantenne robot».

Andrew disponeva ora di nervi facciali capaci di conferirgli le espressioni corrispondenti ai diversi sentimenti, ma per tutta la durata del banchetto si mantenne solennemente impassibile. Non gli andava l’idea di essere un robot centocinquantenne.

Fu la protesiologia che indusse Andrew a lasciare la Terra. Nei decenni successivi alla celebrazione del centocinquantenario, la Luna era diventata un mondo più terrestre della Terra sotto tutti gli aspetti, salvo per l’attrazione gravitazionale inferiore e per la popolazione che si addensava nelle città sotterranee.

Dotato di protesi che gli consentivano di muoversi agevolmente in quell’ambiente di gravità inferiore, Andrew rimase anni sulla Luna a lavorare con gli scienziati locali per eseguire i necessari adattamenti, e, nei momenti liberi, passeggiava fra la popolazione robotica che lo trattava con l’ossequio riservato dai robot agli esseri umani.

Tornò sulla Terra, che gli parve monotona e tranquilla in confronto, e andò allo studio Feingold e Martin per dire che era tornato.

L’attuale capo dello studio, Simon DeLong, era sorpreso. — Ci avevano preavvisato del vostro ritorno, Andrew — (per poco non gli scappò detto «signor Martin») — ma vi aspettavamo solo la settimana prossima.

— Non vedevo l’ora di tornare — disse brusco Andrew che voleva venire subito al dunque. — Sulla Luna, Simon, dirigevo un gruppo di venti scienziati, tutti uomini, che ubbidivano senza riserve ai miei ordini. I robot lunari mi consideravano alla stregua di un essere umano. E allora perché non sono un essere umano?

DeLong lo guardò con diffidenza. — Mio caro Andrew — disse, — avete appena detto che sia gli uomini sia i robot vi trattano come un essere umano. Quindi, de facto lo siete.

— Esserlo de facto non basta. Io voglio diventare legalmente un essere umano. Voglio esserlo de jure.

— Questo è un altro paio di maniche — disse DeLong. — Urterebbe contro i pregiudizi umani e contro il fatto indubbio che sebbene voi siate in apparenza un essere umano, in realtà non lo siete.

— In che senso non lo sono? — ribatté Andrew. — Ho forma umana e organi equivalenti a quelli degli esseri umani. Anzi, identici a quelli di molte persone protesizzate. Ho contribuito al miglioramento della civiltà umana in campo artistico, letterario e scientifico come e meglio di un essere umano. Che cos’altro volete da me?

— Io, personalmente, nulla. Ma purtroppo sarebbe necessaria una sentenza della Legislatura mondiale per definirvi a tutti gli effetti essere umano.

— A chi potrei rivolgermi?

— Al presidente del Comitato per la Scienza e la Tecnica, credo.

— Potete combinarmi un incontro?

— Ma non vi occorre un intermediario. Nella vostra posizione…

— No. Pensateci voi. — (Andrew non fece caso al tono imperativo che aveva usato. Sulla Luna aveva preso l’abitudine di impartire ordini agli esseri umani.) — Voglio che sappia che godo dell’appoggio dello studio Feingold e Martin. Incondizionatamente.

— Ecco, adesso mi…

— Incondizionatamente, Simon. In centosettantatré anni io, in un modo o nell’altro, ho molto contribuito alla prosperità di questo studio. In passato avevo degli obblighi nei riguardi di questo o quel socio. Ora non più. Anzi, caso mai siete voi a essere in debito con me.

— Vedrò quello che posso fare — disse DeLong.

Il presidente del Comitato per la Scienza e la Tecnica apparteneva alla zona dell’Estremo Oriente ed era una donna. Si chiamava Chee Li-Hsing e gli abiti trasparenti, che coprivano solo quello che lei voleva coprire, davano l’impressione che fosse avviluppata nella plastica.

— Capisco il vostro desiderio di essere considerato un essere umano a tutti gli effetti — disse. — Alcune volte, nella storia, anche gli uomini hanno lottato per i loro diritti. Ma mi pare che voi li abbiate già tutti. Che altro potete desiderare?

— Semplice: il diritto alla vita. Un robot può essere smantellato in qualsiasi momento.

— Allo stesso modo un uomo può venire giustiziato in qualsiasi momento.

— L’esecuzione avviene in seguito a una sentenza, emessa alla fine di un processo. Non occorrono sentenze e processi per smantellare un robot. Basta che una persona dotata della necessaria autorità lo ordini, e per me sarebbe la fine. Inoltre… inoltre… — Andrew cercava con tutte le sue forze di non dare l’impressione di supplicare, ma l’espressione e il tono lo tradivano. — La verità è che voglio essere un uomo. Lo voglio da sei generazioni umane.

Li-Hsing lo guardò con gli occhi scuri pieni di comprensione. — Se la Legislatura passa una legge che dichiara voi uomo… potrebbe passarne poi un’altra che dichiara uomo una statua di marmo. Se approvassero la prima, approverebbero la seconda, e questo è molto improbabile in ambedue i casi. I deputati sono anche loro esseri umani e non sono alieni dal nutrire del sospetto nei riguardi dei robot.

— Ancora?

— Sì. Saremmo tutti d’accordo nell’affermare che vi siete guadagnato il premio dell’umanità, e tuttavia resterebbe sempre la paura di avere instaurato un pericoloso precedente.

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