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Isaac Asimov: L'uomo del bicentenario

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Isaac Asimov L'uomo del bicentenario

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Vincitore dei premi Hugo e Nebula per il miglior racconto in 1977. Anche pubblicato come “L’uomo bicentenario”.

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George correva, e quando arrivò aveva il fiato corto. I due giovani arretrarono di qualche passo, poi rimasero in attesa, senza aprire bocca.

— Andrew, ti è successo qualcosa? — chiese con ansia George.

— Sto bene, George — disse Andrew.

— E allora alzati… Perché ti sei spogliato?

— È il tuo robot, amico? — chiese quello alto.

— Questo robot non appartiene a nessuno — rispose Goerge con voce tagliente. — Cosa sta succedendo qui?

— Gli abbiamo gentilmente chiesto di spogliarsi. Se non è tuo, perché t’immischi?

— Che cosa facevano, Andrew? — chiese George.

— Era loro intenzione smembrarmi — rispose Andrew. — Stavano per portarmi in un posto meno in vista per ordinarmi di smantellarmi da solo.

George guardò i due, e gli tremava il mento. Quelli non si mossero. Sorridevano. Il giovane alto disse con scherno: — Vuoi picchiarci, smargiasso?

— No — rispose George. — Non occorre. Questo robot sta da più di settant’anni con la mia famiglia. Ci conosce e ci considera al di sopra di chiunque altro. Se gli dico che mi minacciate di uccidermi interverrà in mia difesa. Dovendo scegliere fra voi due e me, sceglierà me. Sapete cosa potrebbe accadervi se vi attacca?

I due arretrarono di qualche passo, incerti.

— Andrew — disse brusco George — sono in pericolo perché questi due giovani minacciano di farmi del male. Muoviti!

Andrew obbedì, ma i due non aspettarono che si avvicinasse. Se l’erano subito data a gambe.

— Bene, Andrew, rilassati — disse George. Aveva l’aria disfatta. Alla sua età non sarebbe stato in grado di affrontare un giovane, figuriamoci poi due!

— Non avrei fatto loro del male, George — disse Andrew. — Vedevo che non vi stavano assalendo.

— Non ti avevo ordinato di far loro del male. Ti avevo solo detto di muoverti. Il resto l’ha fatto la loro paura.

— Come mai temono i robot?

— È una malattia di cui soffre l’umanità e di cui non è stata ancora trovata la cura. Ma lasciamo perdere. Cosa diavolo fai, qui, Andrew? Stavo per andare a prendere un elicottero quando finalmente ti ho trovato. Come mai ti è venuto in mente di andare alla biblioteca? Ti avrei portato io tutti i libri che vuoi.

— Io sono… — cominciò Andrew.

— Un robot libero. Lo so. Ma cosa andavi mai a fare in biblioteca?

— Volevo saperne di più sugli esseri umani, sul mondo, su tutto. Anche sui robot, George. Voglio scrivere un libro sui robot.

— Be’, intanto torniamo a casa. Raccogli i vestiti. Andrew, esistono milioni di libri sulla robotica, il mondo è saturo non solo di robot ma anche di storie di robot.

Andrew scosse la testa, con una mossa umana di cui aveva da poco preso l’abitudine. — Non è uno dei soliti libri di robotica, George. Voglio descrivere i sentimenti di un robot sugli avvenimenti che si sono verificati da quando i primi di noi hanno avuto il permesso di vivere e lavorare sulla Terra.

George inarcò le sopracciglia, ma non fece commenti.

La Piccola aveva compiuto ottantatré anni, ma era energica e decisa come sempre. Il bastone, più che per appoggiarsi, le serviva per gesticolare.

Ascoltò il resoconto dell’accaduto con crescente indignazione. — George, è stata una cosa orribile — commentò. — Chi erano quei giovani ruffiani?

— Non lo so. E poi, che importa? Non hanno fatto niente di male, dopotutto.

— Ma ne avevano l’intenzione, quindi che differenza c’è? Tu sei avvocato, George, e se sei ricco lo devi al talento di Andrew. Il denaro guadagnato da lui è stato la base di tutti i nostri beni. Provvede al benessere della nostra famiglia e non deve essere trattato come un pupazzo a molla.

— Cosa vorresti che facessi, mamma? — chiese George.

— Ti ho detto che sei avvocato. Non mi stai a sentire. Devi presentare un disegno di legge e costringere la Corte regionale a dichiarare i diritti dei robot e la Camera a passare la legge. Se sarà necessario, porterai la causa davanti alla Corte mondiale. Io ti terrò d’occhio, George, e non tollererò sgarri.

Parlava sul serio, e quello che cominciò come un mezzo per calmare la vecchia signora divenne un caso legale così complesso da fare testo. Come socio anziano dello studio legale, George elaborò la strategia, ma incaricò dell’azione i soci più giovani, in particolare il figlio Paul, anche lui appartenente allo studio, e che andava a riferire puntualmente alla nonna gli sviluppi della situazione. Lei, a sua volta, ne parlava con Andrew, che naturalmente si sentiva parte in causa.

Rimandò la stesura del libro che voleva scrivere per immergersi nei testi legali, e qualche volta si azzardava a dare qualche suggerimento.

— George mi ha detto che gli esseri umani hanno sempre avuto paura dei robot — disse. — Finché le cose stanno così, tribunali e legislatori non saranno disposti ad agire in favore dei robot. Non si potrebbe fare qualcosa per cambiare l’opinione pubblica?

In seguito a questo, mentre Paul si occupava delle faccende strettamente legali, George tenne discorsi e conferenze, così alla buona, per essere compreso da tutti, arrivando perfino a drappeggiarsi intorno al corpo quegli indumenti alla moda che andavano sotto il nome di «tappezzeria».

— Sta’ attento a non inciampare e cadere dal palco — gli disse Paul.

— Non dubitare — rispose secco George. — Per chi mi prendi?

Parlando al congresso annuale degli olo-editori, disse fra l’altro: — Se, in virtù della Seconda Legge, possiamo esigere da un robot un’obbedienza illimitata sotto ogni aspetto purché non implichi danno a un essere umano, allora un essere umano, qualsiasi essere umano, detiene un potere illimitato su qualsiasi robot. In particolare, dal momento che la Seconda Legge ha il sopravvento sulla Terza, qualsiasi essere umano può ricorrere alla legge dell’obbedienza per sopraffare quella dell’auto-protezione. Può ordinare a un robot perfino di distruggersi, se vuole, anche senza un motivo valido.

«Vi pare giusto questo? Noi tratteremmo così un animale? Anche un essere inanimato che ci serve fedelmente ha diritto di essere preso in giusta considerazione. E un robot non è insensibile, e non è un animale. Sa pensare in modo da poter parlare, ragionare, giocare con noi. Possiamo trattare i robot da amici, lavorare con loro, senza dargli almeno in parte il frutto di questa amicizia, di questa collaborazione?

«Se l’uomo ha il diritto di impartire a un robot un ordine che non pregiudichi l’incolumità di altri esseri umani, dovrebbe avere almeno la decenza di non impartire mai ordini che pregiudichino l’incolumità di un robot, a meno che non ne vada della vita di un altro essere umano. Un potere assoluto non va disgiunto da una grande responsabilità, e se i robot non possono fare a meno di sottostare alle Tre Leggi che servono a proteggere gli uomini, gli uomini a loro volta dovrebbero sottostare a una o più leggi fatte per proteggere i robot.

Andrew aveva ragione. L’opinione pubblica aveva un peso determinante sulle decisioni dei tribunali e dell’assemblea legislativa, ma alla fine fu promulgata una legge che proibiva di recare danno ai robot. Era molto limitata e le punizioni per coloro che la violavano erano eccezionalmente miti, però era stato stabilito un principio. L’approvazione definitiva della Legislatura mondiale avvenno lo stesso giorno della morte della Piccola.

Non fu una coincidenza. La Piccola si tenne disperatamente aggrappata alla vita finché non ebbe notizia della vittoria. Il suo ultimo sorriso fu per Andrew. Le sue ultime parole furono: — Sei stato molto buono con noi, Andrew.

Morì stringendogli la mano, mentre suo figlio, con la nuora e i nipoti, si tenevano a rispettosa distanza.

Andrew aspettò pazientemente per tutto il tempo in cui il robot-segretario rimase nell’ufficio interno. Avrebbe potuto comunicare per mezzo dell’interfono olografico, ma non era programmato per trattare con un altro robot invece che con un essere umano.

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