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Isaac Asimov: L'uomo del bicentenario

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Isaac Asimov L'uomo del bicentenario

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Vincitore dei premi Hugo e Nebula per il miglior racconto in 1977. Anche pubblicato come “L’uomo bicentenario”.

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— Davvero? Di cosa si tratta?

— Della mia libertà, Signore.

— La tua…

— Voglio comprare la mia libertà, Signore.

Non fu facile come dirlo. Il Signore era diventato paonazzo e dopo avere esclamato: — Per l’amor di Dio! — aveva girato i tacchi e l’aveva piantato in asso.

Era stata la Piccola a persuaderlo, circuendolo con le buone, sfidandolo apertamente… in presenza di Andrew. Erano trent’anni che tutti parlavano liberamente davanti a lui, qualunque fosse l’argomento. Tanto era solo un robot.

— Papà — disse fra l’altro la Piccola. — Perché lo prendi come un affronto personale? Rimarrà qui, non può fare altro. Sarà sempre fedele e devoto, perché è fatto così. Si tratta di una pura formalità. Vuole che si dica che è libero. Ti pare una cosa tanto terribile? Non se l’è guadagnata? Santo cielo, io e lui ne abbiamo parlato per anni!

— Ne avete parlato per anni, voi due?

— Sì, e molto spesso, e lui continuava a tergiversare per paura di offenderti. Sono io che l’ho persuaso.

— Non sa cosa sia la libertà. È un robot.

— Papà, tu non lo conosci. Ha letto tutti i libri della biblioteca. Non so cosa provi dentro di sé, ma quanto a questo non so nemmeno cosa provi tu. Parlandogli noterai che reagisce come noi. Quindi, cosa conta il resto? Se uno reagisce come me o te, cosa puoi esigere di più?

— L’atteggiamento della legge sarà diverso — disse rabbiosamente il Signore. — Senti un po’ tu — e chiamò Andrew con tono volutamente aspro. — Posso renderti libero solo legalmente, e se la cosa finisce in tribunale non solo non otterrai la libertà, ma la legge verrà ufficialmente a conoscenza della somma che possiedi. Diranno che un robot non ha diritto di guadagnare denaro. Ti sembra che per questa pagliacciata valga la pena di perdere tutti quei soldi?

— La libertà non ha prezzo, Signore — disse Andrew. — Vale la pena di rischiare tutto il mio denaro solo nella speranza di ottenerla.

Anche il tribunale poteva dichiarare che la libertà non ha prezzo e che nessuna somma, per quanto cospicua, può consentire a un robot di acquistarla.

La dichiarazione del procuratore regionale che rappresentava coloro i quali avevano promosso un’azione di classe per opporsi alla libertà, suonava così: — La parola «libertà» non ha senso, riferendosi a un robot. Solo un essere umano può essere libero.

La ripeté più volte, quando lo giudicava opportuno, lentamente, alzando e abbassando la mano sul banco per sottolineare le parole.

La Piccola chiese il permesso di patrocinare Andrew. Venne presentata col nome per esteso, e che Andrew non aveva mai sentito pronunciare prima di allora.

— Amanda Laura Martin Charney può prendere posto al banco.

— Grazie, vostro onore — disse lei. — Non sono avvocato e non conosco il linguaggio legale, ma spero che vorrete ascoltarmi e dare peso al significato e non alla forma delle mie parole.

«Cerchiamo di capire cosa significhi essere libero, per Andrew. Sotto certi punti di vista è già libero. Credo che siano almeno vent’anni che la famiglia Martin non gli ordina di fare qualcosa che non approvi anche lui.

«Ma, volendo, potremmo ordinargli di fare qualsiasi cosa, costringendolo a servirci perché è una macchina e ci appartiene. Ma perché dovremmo farlo, dal momento che ci ha servito così fedelmente e a lungo, e ci ha fatto guadagnare tanto denaro? Non ci deve più niente. Siamo noi in debito con lui, casomai.

«Anche se fosse legalmente proibito costringerlo a ubbidirci, lui ci servirebbe ugualmente. Concedergli la libertà è solo un’espressione priva di sostanza, ma lui ci tiene molto. Per lui sarebbe una cosa importantissima, mentre a noi non costerebbe niente.

Il giudice soffocò un sorriso. — Capisco il vostro punto di vista, signora Charney. Ma sta di fatto che non esistono leggi vincolanti, in merito, né precedenti. Esiste però il tacito assioma che solo l’uomo può essere libero. Io potrei promulgare una nuova legge qui, soggetta a essere respinta da un tribunale superiore, ma le cose stanno come ho detto. Permettete che parli al robot. Andrew!

— Sì, vostro onore.

Era la prima volta che Andrew prendeva la parola nell’aula e il giudice rimase stupito nel sentire com’era umano il timbro della sua voce.

— Vuoi essere libero, Andrew? Ti importa molto esserlo?

Andrew disse: — Vorreste essere schiavo, vostro onore?

— Ma tu non sei schiavo. Tu sei un ottimo robot, un genio nel tuo campo, a quanto ho sentito, capace di creazioni artistiche che non hanno uguali. Cosa potresti fare di più se fossi libero?

— Forse niente, vostro onore, ma tutto quello che farei lo farei con maggiore gioia. In quest’aula ho sentito dire che solo un essere umano può essere libero. A me pare invece che chiunque lo desideri dovrebbe poter essere libero. E io voglio la libertà.

Fu questo a convincere il giudice. La frase decisiva della sentenza fu questa: — Non abbiamo il diritto di negare la libertà a un oggetto dotato di una mentalità così progredita da comprendere il concetto e da desiderare la condizione.

La Corte mondiale convalidò in seguito la sentenza.

La cosa non andò giù al Signore la cui voce aspra dava l’impressione ad Andrew che avesse avuto un cortocircuito.

— Non voglio i tuoi maledetti soldi, Andrew — disse. — Se li accetto è solo perché altrimenti non ti sentiresti libero. D’ora in avanti puoi sceglierti i lavori e farli come ti pare e piace. Ma io continuo a essere responsabile di te, perché me lo ordina la sentenza. Spero che tu lo capisca.

— Non essere irascibile, papà — lo interruppe la Piccola. — Si tratta di una responsabilità puramente nominale, che non ti sarà di nessun peso. Le Tre Leggi continuano a essere valide.

— E allora come fai a dire che è libero?

— Gli esseri umani non sono tenuti a obbedire alle loro leggi? — chiese Andrew.

— Non ho voglia di stare a discutere — tagliò corto il Signore e se ne andò. Dopo quel giorno, Andrew lo vide molto di rado.

La Piccola veniva spesso a trovarlo nella casetta che era stata costruita apposta per lui. Naturalmente era priva di bagno e di servizi igienici. Constava di due sole stanze: la biblioteca e l’officina-magazzino. Andrew accettava molte commissioni e da quando era libero lavorava ancora più di prima, tanto che arrivò presto a pagarsi la casa la cui proprietà venne trasferita legalmente a suo nome.

Un giorno venne il Signorino… no, George, come aveva insistito a essere chiamato dopo la sentenza. — Un robot libero non deve chiamare nessuno «Signorino». Io ti chiamo Andrew, tu chiamami George. — Suonava come un ordine, e Andrew obbedì.

Il giorno in cui George andò da lui gli disse che il Signore era moribondo. La Piccola era al suo capezzale ma lui voleva anche Andrew.

La voce del malato era ancora forte, sebbene lui fosse immobilizzato. Sollevando con sforzo una mano, disse: — Andrew… No, non aiutarmi, George. Sto morendo, ma non sono uno storpio… Andrew, sono contento che tu sia libero. Volevo solo dirti questo.

Andrew non sapeva cosa rispondere. Non aveva mai visto un moribondo, ma sapeva che la morte era l’equivalente umano della cessazione di tutte le attività, totale e irreversibile. Non trovando parole adatte alla circostanza, rimase immobile e silenzioso accanto al letto.

Quando tutto fu finito, la Piccola disse: — Forse negli ultimi tempi ti sarà parso ostile, Andrew, ma era vecchio, sai, e lo addolorava sapere che volevi essere libero.

Allora Andrew trovò le parole. — Senza di lui non avrei mai potuto essere libero, Piccola Signorina.

Dopo la morte del Signore, Andrew cominciò a vestirsi, dapprima con un paio di pantaloni datigli da George.

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