Isaac Asimov - L'uomo del bicentenario

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Vincitore dei premi Hugo e Nebula per il miglior racconto
in 1977.
Anche pubblicato come “L’uomo bicentenario”.

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Paul era invecchiato e aveva sostituito gli occhi malati con cellule foto-ottiche. Sotto quell’aspetto, aveva qualcosa in comune con Andrew.

— Cosa fanno? — chiese questi.

— Stanno fabbricando dei giganteschi computers centrali, dei veri e propri cervelli positronici capaci di comunicare ovunque attraverso microonde, con un minimo di dodici robot contemporaneamente, fino a un massimo di mille. I robot sono privi di cervello. Sono semplicemente le membra del cervello gigantesco, staccate da esso.

— Funziona?

— Secondo la U. S. Robot così va molto meglio di prima. Prima di morire, Smythe-Robertson ha dato le direttive per il nuovo corso, e credo che l’abbia fatto per vendicarsi in qualche modo di te. La U. S. Robot ha deciso di non costruire più robot capaci di dar loro i grattacapi che gli hai dato tu, e proprio per questo hanno deciso di tenere il cervello diviso dal corpo. Così il cervello non avrà un corpo che vuole cambiare e il corpo non avrà un cervello capace di desiderare qualcosa. L’influenza che hai avuto tu nel campo dei robot è stupefacente — continuò Paul. — È stata la tua abilità artistica a indurre la U. S. Robot a costruire robot più precisi e specializzati; è stata la tua libertà che ha avuto per conseguenza la promulgazione della legge sui diritti dei robot; ed è stata la tua insistenza per avere un corpo androide che ha spinto la U. S. Robot a tener separato il corpo dal cervello.

— Immagino che con l’andare del tempo l’azienda finirà col costruire un unico immenso cervello capace di controllare diversi milioni di corpi robotici — disse Andrew. — Tutte le uova in un solo cesto. Pericoloso. Poco conveniente.

— Credo che tu abbia ragione — disse Paul, — ma dovrà passare almeno un secolo prima che questo avvenga, e io allora non ci sarò più. Anzi, può darsi che non arrivi nemmeno a vedere l’anno venturo.

— Paul! — esclamò Andrew, preoccupato.

— Siamo mortali — disse Paul scrollando le spalle. — Non come te. Non m’importa, però bisogna che tu tenga presente una cosa. Io sono l’ultimo dei Martin. Esistono dei discendenti della mia prozia, ma quelli non contano. Il mio denaro verrà depositato a nome tuo, e così, a meno che non si verifichi qualche imprevisto, il tuo futuro è assicurato.

— Non ce n’era bisogno — disse Andrew parlando a fatica. Nonostante tutto il tempo passato, non si era ancora assuefatto alla morte dei Martin.

— Non stiamo a discutere — disse Paul. — Non c’è modo di alterare il corso degli eventi. Dimmi invece a cosa stai lavorando.

— Sto disegnando un sistema che permetta agli androidi, cioè a me, di trarre l’energia dai carboidrati invece che da una batteria atomica.

Paul inarcò le sopracciglia. — Cosicché mangeranno e respireranno?

— Sì.

— È tanto che te ne occupi?

— Sì, e credo di essere riuscito a creare una camera di combustione adatta per una disgregazione catalitica controllata.

— Ma perché, Andrew? Non va molto meglio una batteria atomica?

— Forse sì. Ma non è umana.

Ci volle tempo, ma ad Andrew il tempo non mancava, e innanzitutto non voleva intraprendere nessuna azione prima che Paul non fosse morto in pace.

Con la morte del pronipote del Signore, Andrew si sentì ancora più esposto a un mondo ostile e proprio per questo più che mai deciso a continuare sulla strada che aveva scelto da tanto tempo.

Tuttavia non era completamente solo. Se era morto un socio, lo studio Feingold e Martin continuava a esistere, in quanto un’azienda non muore più di quanto non muoiano i robot. Lo studio aveva le proprie direttive che seguiva senza scostarsene. Grazie al fido in banca e attraverso lo studio legale che si occupava del suo patrimonio, Andrew continuò a godere di una notevole agiatezza. In cambio della lauta parcella che incassava ogni anno, lo studio Feingold e Martin si occupò degli aspetti legali della nuova camera di combustione.

Quando venne il momento di andare alla U.S. Robot, Andrew vi si recò da solo. C’era andato una volta col Signore e un’altra con Paul. Questa, la terza, andò solo e aveva un aspetto umano.

La U. S. Robot era cambiata. L’impianto di produzione era stato trasferito su una grande stazione spaziale, ed era progredita al punto da avere affiliato numerose altre fabbriche, in cui lavoravano operai robot. La Terra si era trasformata in un immenso parco, con una popolazione fissa di un miliardo di abitanti e circa trecento milioni di robot dotati di cervello indipendente.

Il Direttore delle Ricerche era Alvin Magdescu, bruno di carnagione e di capelli, con una barbetta a punta e nudo dalla vita in su, come voleva la moda, eccezion fatta per una fascia intorno al petto. Andrew invece vestiva alla moda di qualche decennio prima, ed era completamente coperto.

— Vi conosco di fama — disse Magdescu — e sono davvero contento di vedervi. Siete il nostro prodotto più conosciuto ed è un vero peccato che Smythe-Robertson sia stato così ostile nei vostri confronti. Chissà quante cose avremmo potuto fare, con voi.

— Potete ancora — disse Andrew.

— No, non credo. I tempi sono cambiati. Abbiamo avuto per circa un secolo robot sulla Terra, ma adesso si comincia a sfollarli nello spazio e quelli che resteranno sulla Terra non avranno più un cervello individuale.

— Ma ci sono io, e io rimango sulla Terra.

— È vero, ma ormai non avete più niente del robot, nemmeno nell’aspetto. Cosa desiderate da noi?

— Voglio essere ancora meno robot. Dal momento che dispongo di un corpo organico, voglio anche una fonte di energia organica. Ho qui il progetto…

Magdescu lo prese e si mise a sfogliarlo in fretta, ma via via che andava avanti la sua attenzione si concentrò, e a un dato punto disse, vivamente interessato: — Sapete che è molto ingegnoso? Chi l’ha ideato?

— Io — rispose Andrew.

Magdescu gli scoccò un’occhiata tagliente, e poi disse: — Bisognerebbe revisionare a fondo il vostro corpo e si tratterebbe di un esame sperimentale, in quanto non è mai stato fatto. Può essere rischioso. Per me, fareste bene a restare così come siete.

Anche se l’espressione del viso non poteva cambiare, Andrew tradi la propria impazienza col tono della voce: — Dottor Magdescu — disse — non avete capito. Non avete scelta: dovete accontentarmi. Se congegni come quello che ho progettato possono adattarsi al mio corpo, andranno bene anche al corpo umano. La tecnica di sostituire organi logori o malati con protesi per allungare la vita umana è già molto progredita, e non esistono congegni migliori di quelli che ho progettato e sto progettando.

«Li ho fatti brevettare, e lo studio Feingold e Martin si occupa della tutela dei miei brevetti. Siamo in grado di passare da soli alla produzione delle protesi, la cui meta finale è la creazione di esseri umani dotati delle principali proprietà dei robot. La vostra azienda potrebbe risentire della concorrenza.

«Se invece collaborate con me e acconsentite a farlo anche per l’avvenire, vi cederemo l’uso dei brevetti e il controllo della tecnica per la fabbricazione di protesi tanto per i robot quanto per gli esseri umani. Naturalmente la concessione avverrà solo dopo il primo intervento e solo nel caso che abbia avuto esito favorevole». Andrew, nel porre queste condizioni con voce dura e decisa a un essere umano, non si sentiva per nulla influenzato dalle inibizioni della Prima Legge. Aveva imparato che, alla lunga, quella che poteva inizialmente sembrare crudeltà si risolveva invece in un bene.

Magdescu era sbalordito. — Non sta a me decidere una cosa di questa portata. Deve discuterne il consiglio direttivo, e ci vorrà del tempo.

— Posso aspettare per un periodo ragionevole — disse Andrew. — Ragionevole, ho detto — e pensò soddisfatto che nemmeno Paul avrebbe potuto fare di meglio.

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