Theodore Sturgeon - Nonnina non fa la calza

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Nonnina non fa la calza: краткое содержание, описание и аннотация

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Mai troppo rimpianto, Theodore Sturgeon era uno dei pochi autori di cui la sf potesse essere davvero orgogliosa: scrittore maturo, intelligente, letterariamente raffinato, Sturgeon riusciva a trasportare nelle sue storie tutta la sua possente sensibilità interiore e a coinvolgere emotivamente il lettore con una intensità unica. Questa deliziosa «novella» è un tipico esempio delle sue enormi qualità: una piccola gemma finalmente ripescata dall’oblio e dai tempi d’oro di «Galaxy».

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Si volse a guardarla. — Ascolta, mi spiace ma non sono riuscito…

— Lui si chiama Prester. — Val si accostò al pannello di separazione e sussurrò: — Oh, Roan, che imbarazzo quando mi hai vista lì nell’acqua. Loro non intedevano lasciare che tu mi vedessi affatto. Oh, chissà cos’avrai pensato !

— Diciamo che non ho creduto ai miei occhi — borbottò lui, distratto.

— Lo so! — disse disperatamente Val. — Sono perfino sorpresa che tu abbia accettato di venire qui.

— Che stai dicendo… ah, il laghetto! Santo cielo, soltanto in questo momento mi rendo conto che tu eri… che realmente tu… oh, lasciamo perdere. Val, sono davvero contento che tu l’abbia trovato. Prester, eh? Un tipo simpatico, si.

Il volto di lei s’illuminò di colpo. — Roan… dici sul serio ? Io non sono una… svergognata?

— Tu sei grande, e sei la sola persona che conosco in questo sterile mondo bigotto che io abbia visto vivere un momento di vita vera. Io sono felice , Val! Tu non sai… non puoi… quello che mi è successo. Abbastanza da riempire una dozzina di sogni. Ed è stato come un sogno, anche se… voglio dire, c’erano dei frammenti di vita reale, cose di cui mi aveva parlato Nonnina, cose che avevo visto da sveglio: una ragazza che conobbi per caso sbagliando il numero del transplat e… ma io credevo che fosse soltanto un sogno. Capisci? Volevo crederlo, suppongo. Dovevo credere a Fiore, e lei ha detto che era un sogno. — Cieli immensi, stava parlando come uno screanzato e di fronte a sua sorella!

Ma Val non aveva fatto una piega; il rossore delle sue guance era eccitazione e non vergogna. Nei suoi occhi brillava una luce lontana. — Lei è adorabile, Roan, così bella. E ti ama. Io lo so.

— Tu che vuoi saperne — fu costretto a sogghignare lui. — Oh, Val… quella pentola di zucchero d’acero!

— Mmh… e il campo d’avena!

— La lunga tavola di assi, e le canzoni!

— Sì, e i bambini… tutti quei bambini!

— Cos’è successo? — gemette lui. — Come può succedere questo?

Val sussurrò con fervore: — Potremmo essere impazziti tutti e due. Oppure il mondo intero si è spaccato, e noi siamo precipitati giù dentro la spaccatura fino a… o invece è stato davvero un sogno, e l’abbiamo sognato in due. Ma non m’importa, è stato bello e… e se tu avessi detto che io ero una… a causa di… avresti distrutto ogni cosa e mi avresti ucciso. Allora va tutto bene per te, Roan, va davvero tutto bene? È così sul serio?

— Sei una bellissima sorella. Te lo dico come fratello: sul serio.

— Ooooh! — gemette Val, arrossendo di piacere. Poi, con un’ombra di rammarico: — Sono felice di non pensare come te.

— Uh… e perché?

— Comunque accada, comunque possa funzionare, è un sogno. E se non lo fosse, cos’altro potrebbe essere? Fai come me, Roan: l’ho sognato, e per tutto il resto della mia vita ricorderò. Ma… spero che questo sogno torni ancora.

— Se scopro come funziona, cosa lo fa accadere e perché, stai certa che tornerà. Perciò sii contenta se io penso nel modo in cui penso.

— Se lo scopri… mi porterai là con te?

— Se non potessi portare anche te — disse lui con calore, — non ci andrei neppure io. Questo ti fa star meglio?

— Credo che ti darò un bacio!

L’idea di una cosa simile in un posto come quello lo fece scoppiare a ridere, e accorgendosi che stavano attraendo alcuni sguardi Valerie sibilò: — Taci, Roano… dagli zoccoli di tuono! — E quella frase, che Fiore aveva canticchiato, gli fece balzare il cuore in petto.

Lei lo sbirciò timidamente: — Sono spiacente, Roan.

— Non esserlo — ansimò lui. — Per un attimo, è stato come se lei fosse qui. — Alzò le mani, le chiuse a pugno e le guardò, poi le nascose di nuovo. Fiore… be’, dopo le 16,00 non gli sarebbe mancato il tempo per cercarla. — Val…

— Non sapevo che si potesse essere così felici — disse lei. — Che c’è, Roan?

— Niente. Solo che ora sono veramente in ritardo — borbottò, cambiando improvvisamente idea. Non era il momento di farla partecipe dei suoi guai. Ci avrebbe pensato il Servizio Notizie, verso le 16,12. Nel frattempo, meglio lasciarla di buonumore. Si avviarono alla zona dei transplat.

— Roan, dobbiamo venire qui ogni giorno e parlarne ancora. Non so nulla di quello che hai fatto là, e tu non sai ciò che ho fatto io. Ad esempio quando ho…

— Sicuro, dovremo farlo, certo — disse lui. — Spero soltanto d’essere qui anche domani.

Val si fermò stupita. — C’è qualcosa che ti preoccupa?

— Sali sulla tua piattaforma. Va tutto bene. Su, fa presto.

Lei compose il numero, salì e scomparve. Roan restò lì a fissare lo spazio vuoto dove c’era stato il suo volto ansioso, finché un altro viaggiatore non vi si materializzò. Sperava di non averla impensierita troppo.

A passi lenti tornò indietro e sedette su una panchina. E fu allora che ebbe la sua grande idea.

* * *

— Chi è, a quest’ora? — La voce, sottile e ansiosa, gli parve ancora più vecchia.

— Sono io, Roan — rispose dal cortile.

Lo spioncino della porta si aprì. Il tono della donna suonò più gentile e sicuro. — Sei sempre il benvenuto qui, ragazzo. Però sapevi che avresti potuto avvertirmi prima. Adesso fai il bravo figliolo e fila via per un’oretta. Poi potrai tornare a restare finché vorrai. D’accordo?

— D’accordo un petalo! Io non ho un’ora. Vieni fuori, altrimenti vengo dentro io.

— Bada come parli con me, testa vuota d’un beccaccino, o ti strino via la parrucca con la mia lima da unghie!

Nell’istante in cui lei aveva cominciato a strillare, lui cominciò a ruggire: — Vestita o non vestita, vieni fuori di lì. E se ti tappassi la ciabatta per dieci schifosi secondi risparmieresti di sprecare tempo!

Quando smisero di gridare entrambi ci fu una pausa di silenzio teso. D’improvviso Nonnina scoppiò a ridere: — Ragazzo, dove hai imparato a parlare in questo modo?

— Per anni ho sentito parlare te, Madre di mio padre — borbottò lui, diffidente. — Anche se mi accorgo soltanto ora di non averti mai ascoltata veramente. In quanto al vestiario… se sei appena decente, stai certa che non mi scandalizzo.

— Screanzato! — La donna uscì e chiuse la porta dietro di sé con un calcagno. Indossava un enorme accappatoio d’un agonizzante viola, e sembrava essere a piedi nudi. I suoi capelli, invece d’essere sollevati e riuniti dietro la nuca, le pendevano sciolti come quelli d’una Nubile. Roan s’irrigidì per un istante, poi lei se li gettò indietro con uno scatto della testa e disse: — E allora? — La sua voce aveva perso del tutto il placido tono mielato.

Lentamente lui sorrise. — Lo screanzato ti preferisce così come sei.

La donna sbuffò, ma parve compiaciuta. — Ce la stai mettendo tutta per non farti schizzare gli occhi dalle orbite, invece. Be’, hai scoperto il mio segreto. Ma alla mia età non ho forse diritto a una piccola eccentricità? — chiese in tono di sfida.

— Hai vissuto abbastanza da meritarti qualche privilegio, suppongo.

— Andiamo dentro. — La donna attraversò il cortile. — Molta gente non può o non vuole capire che io ho trascorso solo l’ultima parte della mia vita in quell’ingessatura cono-su-cono. Chiunque altro ci è praticamente nato dentro. Be’, a me non piace. Diavolo, ti incapsula in un modo che non riesci neanche a distinguere un uomo da una donna! — Sbuffò. — Ai miei tempi si veniva educati in un altro modo. — Aprì una porta nell’angolo di destra. — Per di qua.

La stanza in cui entrarono aveva un’insolita forma a triangolo isoscele, e Roan non l’aveva mai vista prima. — Cos’è successo alla tua voce, Nonnina? Sei sicura di sentirti bene?

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