Theodore Sturgeon - Nonnina non fa la calza

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Nonnina non fa la calza: краткое содержание, описание и аннотация

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Mai troppo rimpianto, Theodore Sturgeon era uno dei pochi autori di cui la sf potesse essere davvero orgogliosa: scrittore maturo, intelligente, letterariamente raffinato, Sturgeon riusciva a trasportare nelle sue storie tutta la sua possente sensibilità interiore e a coinvolgere emotivamente il lettore con una intensità unica. Questa deliziosa «novella» è un tipico esempio delle sue enormi qualità: una piccola gemma finalmente ripescata dall’oblio e dai tempi d’oro di «Galaxy».

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Roan le si avvicinò, esterrefatto. La vide sedersi ai comandi di fronte allo schermo e cominciare a regolare cursori stranamente elaborati.

— Ti spiego come funziona — disse la donna in tono astratto, controllando l’accensione degli indicatori. — In parole semplici la teoria è questa: fai partire una linea da questa apparecchiatura e una linea dall’altra. Dove si intersecano c’è il tuo punto di trasmissione. Poi traccia altre due linee, facendole intersecare dove vuoi, e quello è il punto di arrivo. Quando hai prestabilito i due punti, visionandoli sullo schermo, dai energia e il trasferimento avviene all’istante. La differenza con il transplat è che la materia non viaggia sotto forma di energia, bensì cessa di esistere al punto di partenza, e per la legge della conservazione riappare a quello di arrivo. Oppure puoi dire che lo spazio fra i due punti è stato annullato.

— Mostrami come funziona — sussurrò Roan.

— Va bene. Nomina un oggetto che vuoi ricevere qui.

— Il mio vecchio portafoglio. Nella scrivania dell’ufficio, cassetto in alto a sinistra. Uh… il cassetto è chiuso.

— Qual è la matrice?

Lui le diede le coordinate dell’indirizzo. La donna le batté su una pulsantiera e lo schermo si accese. Ciò che vi apparve era un’unità abitativa della Stasi vista dall’esterno. Mosse poi due cursori e la visione si avvicinò, i muri svanirono, alcuni locali parvero venire assorbiti l’uno dietro l’altro e infine fu inquadrata una scrivania.

— È la tua?

— Sì — disse raucamente lui. — Bello davvero come raggio-spia. Tu…

— Ancora non hai visto niente — lo interruppe lei. Premette un interruttore e Roan sentì i quieti rumori ben noti degli uffici. Mosse poi un diverso cursore, e all’improvviso la visione penetrò all’interno del cassetto. Il buio lasciò il posto a una luce azzurrina, e il portafoglio fu inquadrato in un reticolo che lo centrava. La donna passò poi a un’altra serie di comandi e la scena scomparve.

— Ora localizziamo il punto di ricezione — mormorò. Sullo schermo sfilarono immagini confuse, un garbuglio di linee colorate e poi d’un tratto ci fu la stanza in cui loro si trovavano, vista da un punto a livello del soffitto e così nitida che Roan trasalì. D’istinto alzò gli occhi in cerca dell’obiettivo che lo inquadrava, ma non vide niente.

— Protendi la tua sciocca mano — ordinò Nonnina.

Roan ubbidì. La scena inquadrata si abbassò finché la sua mano fu al centro di un altro reticolo in primo piano. Agitò le dita, senza però percepire nulla di palpabile. La donna riportò sullo schermo l’immagine precedente, ma sovrapposta a quella, e nell’attimo in cui i reticoli combaciarono premette un pulsante.

Il portafoglio cadde in mano a Roan.

Lei spense l’apparecchio e si girò a guardarlo. — Ebbene?

— Fantastico — borbottò lui. — Ma perché mi hai mostrato tutto questo?

— Che vuoi dire?

— Non è così che funziona la telecinesi. Certo, ho avuto il mio portafoglio, ma non con quel sistema, come avevi detto tu.

— Ah, no? Sentiamo, secondo te come hai avuto il portafoglio?

Lui esaminò il macchinario con attenzione. — È una specie di amplificatore… sì, un elaborato ricercatore d’immagini, ma nient’altro. È il paravento dietro cui si nasconde il tuo amico TC, vero?

— Pensi sul serio che io abbia un telecinetico nascosto qui attorno, e che lui abbia lavorato su delle immagini video?

— Tu sei la TC!

Lei s’appoggiò alla consolle, rassegnata. — Be’… se non puoi vincerli fatteli amici, dicevano gli antichi Romani. E se tu dici che è così, ragazzo, allora sia pure così.

— E perché non mi hai detto che eri così fin dall’inizio? — borbottò lui, controllando l’orologio. — Allora, adesso che facciamo?

— Aspetta un momento… io ho quello che fa per noi. — Si alzò e gli fece un sorriso. — Sacrificherò il modello pilota; sei abbastanza robusto da riuscire a portartelo dietro.

Andò ad aprire un largo sportello a muro e ne trasse fuori l’estremità di una cassa metallica. Roan lo aiutò a sollevarla e la piazzò su un bancone. Era un’apparecchiatura massiccia e poco complicata.

— Lo userò soltanto per localizzarti — disse lei. S’avviò verso la consolle, e nel camminare si tolse l’enorme accappatoio azzurro. — Basta che tu la metta verticalmente e… cos’hai da guardarmi così? Oh! — Abbassò gli occhi sui pantaloncini a mezza gamba che portava, si tirò giù l’orlo della maglietta e rise. — Be’, ti ho detto che fa caldo, qui.

Roan fu costretto a notare che l’età le aveva lasciato addosso il suo marchio, ma la donna aveva ancora un corpo robusto e si portava i suoi due secoli con notevole disinvoltura. Venne a sedersi sullo sgabello del bancone e inarcò un sopracciglio.

— Una cosa devi imparare delle donne quando comincerai a conoscerle, Roan… le parti che si possono esporre fra la gente decorosa sono, ahimé, quelle che invecchiano per prime. La mia faccia era già vecchia cent’anni fa, ma il resto terrà duro per altri cento. — Cominciò a regolare l’apparecchio portatile. — Forse è meglio così, forse no… chi può dirlo? Passami quel misuratore di flusso, per favore.

Dopo un poco il lavoro di lei sulle attrezzature aveva assorbito totalmente l’attenzione di Roan. — Sono certo che non hai bisogno di questi oggetti — borbottò comunque, porgendole un utensile.

— Lo pensi davvero? — chiese lei senza interrompere quel che stava facendo.

VIII

Alle 14,51, Roan arrivò all’edificio che ospitava la J. D. Walsh. Nella sua testa s’intrecciava un garbuglio di avvertimenti, dati tecnici e consigli strategici. Apparve sul transplat del magazzino, non negli uffici, poiché aveva con sé una lunga cassa di legno che piazzò su un carrello. Poi spinse il suo carico nel corridoio che portava all’ala dell’amministrazione.

— Oh, Celibe Walsh, posso aiutarla?

— No, Nubile Corson. Ma aspetti… sì, venga qui. — Afferrò fra le mani guantate un’estremità della cassa e fece un cenno con il capo all’emozionata segretaria. — La prenda da quel lato.

Lei esitò, poi permise che i suoi guanti fossero in vista per un momento prima di agguantare il contenitore. Lo girò fuori dal carrello e cominciò a sollevare la sua estremità.

Non da quella parte, testa di legno!

Roan cadde all’indietro per la sorpresa. La Nubile Corson, gravata da quel peso considerevole, riuscì a puntellarsi con un ginocchio sul carrello. Seduto sul pavimento lui ansimò: — Chi ha parlato?

— Ahu! — squittì la segretaria. — È pesante!

— La lasci giù. Dio mio, Nubile Corson, lei è forte come un cavallo!

— Questa è la cosa più carina che lei mi abbia mai detto — belò la donna, compiaciuta.

Una volta nel suo ufficio Roan si volse a scrutare il volto di lei, rosso ed eccitato. — Nubile Corson, cos’ha detto sul fatto che stavamo sollevando la parte sbagliata?

— Io non ho detto nulla, Celibe Wash.

L’ho detto io.

— Grazie, può andare — la congedò lui, e vedendo che continuava a ciondolargli attorno aggiunse: — Non ho bisogno di altro, mi creda. Grazie.

La donna uscì, e appena la porta fu chiusa Roan si guardò attorno. — Nonnina! Dove sei?

Giusto davanti al suo volto comparve l’estremità appuntita di un focalizzatore per raggi audio. Lui gli diede un colpettino soddisfatto e l’oggetto svanì. Era rassicurante sapere che la vecchia donna sorvegliava sullo schermo della sua grossa apparecchiatura, con un raggio audio puntato costantemente su di lui.

Alle 15,59 e qualche secondo l’intercom disse: — Roan Walsh, hai il permesso di entrare.

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