Theodore Sturgeon - Nonnina non fa la calza

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Nonnina non fa la calza: краткое содержание, описание и аннотация

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Mai troppo rimpianto, Theodore Sturgeon era uno dei pochi autori di cui la sf potesse essere davvero orgogliosa: scrittore maturo, intelligente, letterariamente raffinato, Sturgeon riusciva a trasportare nelle sue storie tutta la sua possente sensibilità interiore e a coinvolgere emotivamente il lettore con una intensità unica. Questa deliziosa «novella» è un tipico esempio delle sue enormi qualità: una piccola gemma finalmente ripescata dall’oblio e dai tempi d’oro di «Galaxy».

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Nel familiare mormorio talco-e-lontananza lei rispose: — Vuoi dire che preferisci il mio sussurro sfiatato? — Poi, quasi stridula: — Lo tengo da parte per ricevere gli ospiti. Devo farlo. Nessuno mi prende per quello che sono se uso il mio tono naturale. Tutti pretendono di vedermi come una colonna di rispettabilità, e Dio solo sa quanto mi pesa. Qui dentro fa caldo, eh?

Lui annuì appena, attese che si fosse seduta e poi la imitò. — Sai perché sono qui? A causa di un sogno.

La donna lo scrutò più da vicino: — Hai dormito male?

— Quello non era un sogno.

— No? E che altro, allora?

— Sono qui per scoprire cos’è successo. E dov’è successo.

Lei si riassettò il bordo dell’accappatoio. — Il fatto che tu abbia svelato questo piccolo segreto della mia vita non ti autorizza a frugarci dentro in cerca di chissà cos’altro. Cosa ti fa pensare che non fosse un sogno?

— Una persona normale e in buona salute non dorme per due giorni di fila. E inoltre c’era Valerie. L’ho vista in quel posto, proprio all’ultimo momento.

— Hai l’aria d’incolparne me. Certi sogni… be’, capitano — borbottò la donna. Poi rise. — E sei venuto a compiere giustizia su di me?

Cosa?

— Offesa al tuo decoro di fratello, pudore e tutto il resto?

— Valerie è più felice di quanto lo sia mai stata in vita sua, e così innamorata che forse non ci vede chiaro. E io sono felice per lei.

— Ah! — La donna sorrise. — Non vi si può definire due conformisti, certo. Capisco. Dunque, se ho afferrato il nocciolo della cosa, tu vorresti scoprire dove sia questa terra di sogno e tornarci, portando tua sorella con te.

— Non è così semplice — disse lui. — Quello di cui ho bisogno è uno dei tuoi operatori di telecinesi. Voglio dire adesso.

— Il meglio che posso scovare per te è una ragazzina che riesce a far oscillare il braccio di un bilanciere a distanze inferiori ai cinque metri.

Lui non tentò neppure di nascondere la sua delusione.

Le labbra della donna s’incresparono pensosamente. — Come ti è venuto in mente di tirare in ballo me in questa faccenda?

— Stiamo perdendo tempo — mormorò lui. — Ho pensato che dovevi sapere qualcosa, visto quello che hai detto l’ultima volta che sono stato qui: il transplat che sarà sorpassato, la gente che può teleportarsi dovunque, le comunicazioni a distanza senza apprecchiature. Quando me ne hai parlato avevo già visto due volte una persona spostarsi con la teleferesi. E da allora… — Ebbe un brivido. — Tu devi saperne qualcosa. E forse puoi dirmi perché io sono stato coinvolto in questa faccenda.

— Vediamo di tornare al concreto. Cos’è tutta questa fretta che hai addosso?

— Ho un appuntamento fra… — controllò l’orologio — meno di due ore. E per me può voler dire la rovina se non troverò un aiuto.

In brevi parole le spiegò che il Privato, pur senza averlo detto chiaramente, lo sospettava di qualche attività illecita e non avrebbe esitato a mettere in atto le sue minacce.

— Hai ragione — disse lei dopo un poco. — Credo che abbia paura di te, anche se non so perché dovrebbe essere così spaventato. È proprio come suo padre, quel vecchio grassone che… — S’interruppe con un sussulto quando la mano di lui le calò su un polso.

— Sono cose che non posso ascolatare. Non ora.

— Come vuoi. — La donna annuì con sorprendente dolcezza. — Scusami. Dunque, se tu avessi uno dei miei TC che ne vorresti fare?

Roan si piegò in avanti con i gomiti sulle ginocchia, lasciando le mani guantate in piena vista. — Fare? Vorrei prendere questa società bigotta e rimandarla a vivere nei boschi. Vorrei che i genitori allevassero i bambini nati da loro. Vorrei mettere sottosopra la Stasi stessa e scuoterla fino a farla sanguinare, perché la gente impari a vivere daccapo.

Gli occhi di Nonnina ebbero un lampo. — Perché?

— Potrei raccontarti che voglio il bene della gente… visto che tu sei passata attraverso i cambiamenti che ci sono stati e puoi riuscire a criticarli dall’esterno. Ma non voglio dirti niente del genere. No… la verità è che io desidero vivere a quel modo, avere figli e vederli correre a piedi nudi sull’erba, lavorare e sudare, e svegliarmi al mattino e vedere il cielo libero fuori dalla finestra.

«Speravo di poter ritrovare la gente che ho sognato. Ho perfino pensato di andarmene nelle zone selvagge fra le città e cercare di vivere in quel modo. Ma se ci provassi, avrei sempre paura che i sorveglianti o i cercatori di miniere mi trovassero e mi riportassero indietro. La Stasi non tollera che la gente viva così. Di conseguenza bisogna costringere la Stasi a lasciarci vivere.

Fece un profondo respiro. — Adesso la Stasi è costruita intorno al transplat. Non ci può essere un metodo più efficiente e migliore. Ma se oggi tornassi in ufficio e dichiarassi d’aver lavorato segretamente per svilupparne uno… se avessi uno dei tuoi telecinetici per fargli trasferire oggetti qua e là per l’ufficio, e dicessi di avere una macchina che gli permette questo… allora il Privato mi dovrebbe ascoltare. Avrei salvato il mio lavoro e potrei disseminare questa gente nella nostra società fino a cambiarne del tutto la cultura. E un giorno sarei io il Privato Walsh, alla Walsh Co. E allora… Stasi, addio!

— Sai una cosa — disse lei, — ti voglio bene.

— Anch’io — mormorò lui, colpito. — Aiutami, ti prego.

Lei si alzò e gli strinse un braccio con le dita ossute. — Dovrò pensarci. Vedi, se tu agissi a questo modo non cambieresti molto le cose. Il vecchio, tuo padre, non comprerebbe a scatola chiusa un trucco da salotto. Vorrebbe vedere la macchina.

— Farò quel che potrò. Puoi mettermi in contatto con uno dei tuoi… come li hai chiamati?

— TC — rispose lei, distrattamente. — Ma si dà il caso che io abbia qualcosa di molto meglio di ogni TC. Che ne diresti di un transplat senza piattaforme… Un trasferitore di materia capace di teleportare gli oggetti senza apparecchiature visibili al luogo di partenza e all’arrivo?

— Una cosa simile non esiste, Nonnina.

— E cosa ti autorizza a dirlo?

— È una vita che lavoro con i transplat, ecco cosa. C’è un fattore che limita la trasmissione di materia: deve avvenire in un campo planetario, deve avere una centrale d’energia, deve avere piattaforme costruite con materiale non-trasmettibile, e deve…

— Non insegnare a me come funziona il transplat! — sbottò lei. — Supponiamo che si possa costruire un’apparecchiatura basata su un principio diverso: una pompa d’energia che attragga invece di spingere, come uno specchio che assorba invece di riflettere.

— Ma è una legge fisica che non esiste. Non capisci che io lo so?

— In tal caso tieni gli occhi bene aperti perché quella dannata macchina tu stai per vederla! — La donna andò all’angolo più interno della piccola stanza e colpì con un calcetto una piastra a livello del pavimento. L’intera parete si sollevò rientrando nel soffitto, rapida e silenziosa. Si accesero delle intense luci bianche.

Il locale che era apparso sembrò a Roan un laboratorio. C’erano apparecchi che aveva visto soltanto in certe fabbriche e ce n’erano altri che non aveva mai visto. Per lo sbalordimento i suoi pensieri andarono in stallo.

La donna scese alcuni gradini e andò alla parete più lontana. Buona parte di essa era composta da pannelli indicatori, e al centro campeggiava una consolle di comando. Sopra le file di cursori c’era un largo schermo video insolitamente ricurvo. Nonnina (ora stentava a darle quell’appellativo) vi batté sopra un dito.

— Visione tridimensionale. C’è un servo-robot identico a questo su una collina, a quaranta miglia da qui. Si lavora in duplex — disse.

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