Il motivo per cui era così strano era che ogni altro ricordo di Kate era estremamente vivido nella sua mente. A differenza di Kent Steele, lei non era mai svanita per davvero; Reid si ricordava il loro primo incontro, gli appuntamenti, le vacanze e l’acquisto della loro prima casa. Si ricordava il loro matrimonio e la nascita delle figlie. Ricordava persino le loro discussioni, o almeno così aveva creduto.
L’idea stessa che avesse perduto una qualsiasi parte di Kate lo turbava. Il dispositivo di soppressione della memoria aveva già dimostrato di avere qualche effetto collaterale, come l’occasionale emicrania provocata da un ricordo ostico. Era una procedura sperimentale, e il metodo di rimozione era stato tutt’altro che professionale.
E se mi avesse rubato di più del mio passato come agente Zero?
Quel pensiero non gli piaceva affatto. Era una brutta china; non ci sarebbe voluto molto perché cominciasse a credere di aver perso anche dei ricordi delle sue ragazze. E la cosa peggiore era che non aveva modo di accertarsene senza recuperare del tutto la sua memoria.
Era troppo, e sentì salirgli di nuovo il mal di testa. Accese la radio e alzò il volume per cercare di distrarsi.
Il sole stava calando quando entrò nel parcheggio del ristorante, un gastropub chiamato The Cellar Door. Aveva qualche minuto di ritardo. Uscì rapidamente dall’auto e corse verso l’ingresso dell’edificio.
Poi rimase di sasso.
Maria Johansson era una svedese-americana di terza generazione, e come copertura per la sua vera attività di agente della CIA faceva la contabile per l’amministrazione pubblica di Baltimora. Secondo Reid avrebbe dovuto essere una fotomodella per le copertine delle riviste, o magari per i paginoni centrali. Intorno al metro e ottanta, era alta quasi quanto lui, con lunghi capelli lisci e biondi che le ricadevano con eleganza sulla schiena. I suoi occhi erano color grigio ardesia, e molto intensi. Nell’aria fresca della primavera, indossava solo un semplice abito blu scuro con una profonda scollatura a V e uno scialle bianco sulle spalle.
La donna lo notò mentre lui si avvicinava e sorrise. “Ehi. Da quanto tempo.”
“Io… wow,” esclamò Reid. “Voglio dire, uhm… sei bellissima.” Gli venne in mente che non l’aveva mai vista truccata. L’ombretto blu era in tinta con l’abito e faceva sembrare i suoi occhi quasi luminescenti.
“Neanche tu sei male.” Maria annuì con aria d’approvazione per la sua scelta di vestiario. “Vogliamo entrare?”
Grazie, Maya, pensò Reid. “Sì, certo.” Afferrò la maniglia della porta e la tenne aperta per lei. “Ma prima di iniziare, avrei una domanda. Cosa accidenti è un ‘gastropub’?”
Maria scoppiò a ridere. “Credo che ai nostri tempi lo definissimo una bettola, solo che ora servono cibo più alla moda.”
“Chiaro.”
L’interno era intimo, se non addirittura piccolo, con mura di mattoni e travi di legno esposte sul soffitto. L’illuminazione veniva da lampadine in stile vintage, che contribuivano a creare un ambiente caldo e circoscritto.
Perché sono nervoso? pensò mentre si accomodavano. Conosceva quella donna. Insieme avevano impedito a un’organizzazione terroristica internazionale di assassinare centinaia, se non migliaia, di persone. Ma quella era una situazione diversa, non era un’operazione o una missione. Era piacere, e in qualche modo ciò faceva la differenza.
Conoscila meglio , gli aveva detto Maya. Fai del tuo meglio per essere interessante .
“Dunque, come va il lavoro?” finì per domandarle. Dentro di sé gemette per quel tentativo poco riuscito.
Maria sollevò un angolo della bocca in un sorrisetto. “Sai che non posso parlarne.”
“Certo,” replicò Reid. “Ovviamente.” La donna era un agente operativo attivo della CIA. Anche se lui fosse stato un agente attivo, non avrebbe potuto condividere i dettagli di un’operazione a meno che non stessero lavorando insieme.
“E tu?” chiese Maria. “Come va con il nuovo lavoro?”
“Non male,” ammise lui. “Sono un associato, quindi per ora è part-time, ho solo qualche lezione alla settimana. Un po’ di compiti da correggere e cose del genere. Ma non è particolarmente interessante.”
“E le ragazze? Come stanno?”
“Eh… cercano di scendere a patti con la situazione,” rispose. “Sara non vuole parlare di quello che è successo. E Maya, in realtà…” Si fermò prima di dire troppo. Si fidava di Maria, ma allo stesso tempo non voleva confessare che la figlia maggiore aveva indovinato, con molta precisione, in che cosa fosse coinvolto. Gli si colorarono le guance di rosa e disse: “Mi ha preso in giro. Ha detto che questo è un appuntamento.”
“E non lo è?” domandò Maria a bruciapelo.
Reid sentì il volto cambiare di nuovo colore. “Sì, immagino che lo sia.”
La donna sorrise di nuovo con aria maliziosa. Sembrava che stesse ridendo del suo imbarazzo. In campo, nei panni di Kent Steele, lui aveva dimostrato di essere sicuro di sé, abile, e composto. Ma lì, nel mondo reale, era goffo quanto lo sarebbe stato chiunque altro dopo quasi due anni di celibato.
“E di te cosa mi dici?” continuò Maria. “Come te la cavi?”
“Sto bene,” rispose. “Sono tranquillo.” Non appena l’ebbe detto, se ne pentì. Non aveva appena imparato dalla figlia che l’onestà era la migliore politica? “Non è vero,” si corresse subito. “In realtà non va tutto così bene. Mi tengo impegnato con ogni genere di faccenda inutile, e mi do degli alibi, perché se mi fermo abbastanza a lungo da rimanere da solo con i miei pensieri, mi tornano in mente i loro nomi. Vedo le loro facce, Maria. E non riesco a non pensare che non ho fatto abbastanza per impedirlo.”
Lei sapeva esattamente di che cosa stava parlando, delle nove persone che erano state uccise nell’unica esplosione che Amun era riuscito a innescare a Davos. Maria si sporse attraverso il tavolo e gli prese la mano. Il tocco gli spedì una scarica elettrica su per il braccio, e sembrò calmargli i nervi. Le dita della donna erano calde e morbide sulle sue.
“È questa la realtà con cui dobbiamo fare i conti,” disse lei. “Non possiamo salvare tutti. So che non hai ancora recuperato tutti i tuoi ricordi come Zero, ma se li avessi, lo sapresti.”
“Forse non voglio saperlo,” rispose Reid a bassa voce.
“Lo capisco. Dobbiamo provarci lo stesso. Ma se credi di poter tenere tutto il mondo al sicuro diventerai matto. Sono state prese nove vite, Kent. È successo, e non possiamo tornare indietro. Ma avrebbero potuto essere un migliaio. È questo l’unico modo per vederla.”
“E se non ci riesco?”
“Allora… trovati un hobby, magari? Io faccio l’uncinetto.”
A Reid sfuggì una risata. “L’uncinetto?” Non riusciva a immaginare Maria che sferruzzava. Mentre usava i ferri da maglia come arma per storpiare un dissidente? Certo. Ma mentre faceva sul serio l’uncinetto?
Lei rimase a testa alta. “Esatto, faccio l’uncinetto. Non ridere. Ho appena finito una coperta più morbida di qualsiasi cosa tu abbia mai toccato in vita tua. Il punto è che devi trovarti un hobby. Ti serve qualcosa che ti tenga le mani e la mente impegnate. Che mi dici della tua memoria? Ci sono miglioramenti?”
Reid sospirò. “Non molto. Immagino che non mi sia successo niente in grado di smuoverla. È ancora tutto confuso.” Mise da parte il menu e intrecciò le mani sopra al tavolo. “Anche se, dato che ne stiamo parlando… poco fa mi è successa una cosa strana. È riemerso un frammento di un ricordo. Era su Kate.”
“Oh?” Maria si morse il labbro inferiore.
“Già.” Reid rimase in silenzio per un lungo momento. “Le cose tra me e Kate… prima che lei morisse. Andavano bene, giusto?”
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