Claudette disse rapidamente qualcosa ai due uomini siriani, e poi prese Adrian per mano e lo condusse in cucina. “Amore mio,” mormorò piano, “stai avendo dei dubbi. Parlamene.”
Adrian sospirò. “Sì,” ammise. “Questo è solo un campione molto piccolo, non è affatto stabile quanto lo saranno gli altri. E se non funzionasse?”
“Lo farà.” Claudette lo strinse tra le braccia. “Ho piena fiducia in te, e lo stesso vale per l’Imam Khalil. Ti è stata donata questa opportunità. Sei stato benedetto, Adrian.”
Sei stato benedetto . Erano state le stesse parole che Khalil aveva usato quando si erano incontrati. Tre mesi prima, Claudette aveva portato Adrian a fare un viaggio in Grecia. Khalil, come molti altri siriani, era un rifugiato, ma non uno politico, né per la guerra che stava devastando il paese. Era un rifugiato religioso, cacciato sia dagli sciiti che dai sunniti per le sue nozioni idealistiche. La spiritualità di Khalil era un amalgama di precetti islamici e alcune delle influenze esoteriche filosofiche di Druze, come la verità e la trasmigrazione dell’anima.
Adrian aveva incontrato il sant’uomo in un albergo ad Atene. L’Imam Khalil era una persona gentile con un sorriso gradevole, capelli scuri e una barba ordinata e pettinata, che portava un completo marrone. Il giovane francese era stato preso alla sprovvista quando, durante il loro primo incontro, l’Imam gli aveva chiesto di pregare insieme a lui. Si erano seduti insieme su un tappeto, rivolti verso la Mecca, e avevano pregato in silenzio. La calma aveva avvolto l’Imam come un’aura, una placidità che Adrian non aveva più provato da quando era un bambino tra le braccia della madre ancora in salute.
Dopo la preghiera, i due uomini avevano fumato da un narghilè di vetro e avevano bevuto del tè mentre Khalil parlava delle sue idee. Avevano discusso dell’importanza di essere fedeli a loro stessi; Khalil credeva che l’unico modo in cui l’umanità poteva assolvere i propri peccati era la sincerità assoluta, che avrebbe permesso all’anima di reincarnarsi in un essere puro. Aveva fatto molte domande ad Adrian, sia sulla scienza che sulla spiritualità. Gli aveva chiesto della madre, e gli aveva promesso che da qualche parte sulla terra lei era già rinata, pura, bellissima e in salute. Il giovane francese ne aveva tratto un grande conforto.
Poi il sant’uomo aveva parlato dell’Imam Mahdi, il Redentore e ultimo degli Imam, gli uomini santi. Mahdi sarebbe stato colui che avrebbe portato il Giorno del Giudizio e avrebbe ripulito il mondo dal male. Khalil credeva che sarebbe successo presto, e dopo la redenzione di Mahdi si sarebbe instaurata l’utopia: ogni essere nell’universo sarebbe stato perfetto, genuino e incorrotto.
Per diverse ore i due uomini erano rimasti seduti insieme, fino a notte fonda, e quando la mente di Adrian era stata annebbiata quanto l’aria densa e fumosa che roteava attorno a loro gli aveva finalmente posto la domanda che più gli premeva.
“Sei tu, Khalil?” aveva chiesto il sant’uomo. “Sei tu Mahdi?”
Imam Khalil aveva fatto un ampio sorriso a quelle parole. Aveva preso la mano di Adrian nella propria e aveva detto con gentilezza: “No, figlio mio. Tu lo sei . Tu sei benedetto. Lo riesco a vedere chiaramente quanto vedo il tuo volto.”
Io sono benedetto . Nella cucina del loro appartamento a Marsiglia, Adrian premette le labbra sulla fronte di Claudette. Aveva ragione; avevano fatto una promessa a Khalil e dovevano mantenerla. Prese la scatola d’acciaio per il trasporto dei campioni biologici dal ripiano e la portò agli arabi in attesa. Aprì il coperchio e sollevò la parte superiore del cubo di gomma per mostrare loro la piccola fialetta ermeticamente chiusa all’interno.
Sembrava che non ci fosse nulla nel vetro, ma ciò era caratteristico di una delle sostanze più letali al mondo.
“Tesoro,” disse Adrian risistemando la gomma e richiudendo il coperchio. “Ho bisogno che tu spieghi loro, senza mezzi termini, che in nessuna circostanza devono toccare la fialetta. Deve essere gestita con la massima cura.”
Claudette ripeté il messaggio in arabo. All’improvviso l’uomo siriano che aveva la scatola in mano apparve molto meno a suo agio di un momento prima. L’altro uomo annuì in segno di ringraziamento verso Adrian e mormorò una frase in arabo, una che lui capì: “Che Allah e la Sua pace siano con te,” e senza un’altra parola, i due uscirono dall’appartamento.
Non appena se ne furono andati, Claudette chiuse la serratura e rimise la catena, poi si voltò verso il suo amante con un’espressione sognante e soddisfatta sul volto.
Adrian, tuttavia, rimase fermo dov’era, la sua espressione severa.
“Amore mio?” disse lei con cautela.
“Che cosa ho appena fatto?” bisbigliò. Conosceva già la risposta; aveva messo un virus mortale non nelle mani dell’Imam Khalil, ma di due sconosciuti. “E se non glielo dovessero portare? E se lo facessero cadere, o lo aprissero, o…”
“Amore mio.” Claudette gli strinse le braccia attorno alla vita e gli premette il capo al petto. “Sono seguaci dell’Imam. Faranno attenzione e lo porteranno dove deve andare. Abbi fede. Hai compiuto il primo passo verso un nuovo e migliore mondo. Tu sei il Mahdi. Non dimenticarlo.”
“Sì,” rispose piano “Ma certo. Hai ragione, come sempre. E devo finire.” Se la sua mutazione non avesse funzionato come doveva, o se non ne avesse prodotto una partita completa, senza alcun dubbio sarebbe stato un fallimento non solo agli occhi di Khalil, ma anche a quelli di Claudette. Senza di lei sarebbe crollato. Aveva bisogno di quella donna quanto aveva bisogno dell’aria, del cibo e della luce del sole.
E nonostante tutto, non poteva evitare di chiedersi che cosa avrebbero fatto con il campione, e se l’Imam Khalil lo avrebbe testato privatamente, in un luogo lontano da tutto, o se sarebbe stato liberato in mezzo alla gente.
Ma lo avrebbe scoperto presto.
“Papà, non sei costretto ad accompagnarci fino alla porta ogni volta,” si lamentò Maya mentre attraversavano Dahlgren Quad verso Healy Hall, nel campus della Georgetown.
“Lo so che non sono costretto,” disse Reid. “ Voglio farlo. Che c’è, ti vergogni di farti vedere con il tuo papà?”
“Non è così,” borbottò Maya. Il viaggio era stato silenzioso, Maya aveva guardato fuori dal finestrino con aria pensierosa mentre Reid aveva cercato inutilmente un argomento di cui parlare.
La figlia maggiore stava arrivando alla fine del suo terzo anno di liceo, ma aveva già scelto le sue classi del college e aveva iniziato qualche corso nel campus della Georgetown. Era un buon modo per cominciare a guadagnare i crediti del college e l’avrebbe aiutata nella domanda di iscrizioni all’università, specialmente dato la sua prima scelta era proprio la Georgetown. Reid aveva insistito per accompagnarla al college, persino fino alla sua classe.
La notte prima, quando Maria era stata costretta a interrompere il loro appuntamento, Reid era tornato in fretta a casa dalle sue ragazze. Era stato sconvolto dalla notizia della fuga di Rais—le sue dita avevano tremato sul volante dell’auto—ma si era costretto a rimanere calmo e aveva cercato di riflettere lucidamente. La CIA era già all’inseguimento e probabilmente anche l’Interpol. Conosceva il protocollo; avrebbero tenuto d’occhio ogni aeroporto, e sarebbero stati posti blocchi stradali in tutte le arterie principali di Sion. E Rais non aveva più nessun alleato a cui chiedere aiuto.
Oltretutto, l’assassino era scappato in Svizzera, a più di quattromila miglia di distanza. Metà del continente e un intero oceano lo separavano da Kent Steele.
Nonostante tutto, sapeva che si sarebbe sentito molto meglio quando avesse ricevuto l’informazione che Rais era stato ricatturato. Si fidava delle capacità di Maria, ma si pentiva di non aver avuto la lungimiranza di chiederle di tenerlo aggiornato il più possibile.
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