“Imam Khalil sarà felice,” sussurrò Claudette nel suo orecchio.
“Sì,” concordò piano Adrian. “Sarà soddisfatto.”
La maggior parte delle donne non sarebbe stata entusiasta di trovare la propria dolce metà a lavoro su una sostanza tanto volatile come un ceppo altamente virulento del vaiolo, ma Claudette non era come la maggior parte delle donne. Era minuta, appena un metro e sessanta rispetto al metro e ottantacinque di Adrian. I suoi capelli erano di un rosso acceso e i suoi occhi verdi come la più fitta giungla, e suggerivano una certa irascibilità.
Si erano incontrati solo l’anno prima, quando Adrian aveva toccato il fondo. Era appena stato espulso dall’università di Stoccolma per aver tentato di ottenere campioni di un raro enterovirus, lo stesso che aveva preso la vita di sua madre solo qualche settimana prima. All’epoca, era stato deciso a creare una cura, persino ossessionato da quell’idea, perché nessuno dovesse soffrire come era successo a lei. Ma era stato scoperto dalla facoltà dell’università e allontanato in modo sbrigativo.
Claudette lo aveva trovato in un vicolo, steso in una pozza della sua stessa desolazione e vomito, mezzo-svenuto per l’alcol. Lo aveva portato a casa, ripulito, e gli aveva dato dell’acqua. Il mattino seguente Adrian si era svegliato con quella donna bellissima seduta al suo capezzale, che gli sorrideva dicendogli: “So esattamente di che cosa hai bisogno.”
Roteò sullo sgabello della cucina per voltarsi verso di lei e le accarezzò la schiena. Da seduto era alto quasi quanto lei. “È interessante che tu abbia parlato del Diluvio Universale,” notò. “Sai, ci sono alcuni studiosi che dicono che se è davvero avvenuto, deve essere stato circa sette o ottomila anni fa… quasi all’epoca a cui risale questo ceppo. Forse il Diluvio è una metafora, ed è stato questo virus a purificare il mondo dai malvagi.”
Claudette scoppiò in una risata. “Non credere che non mi sia accorta dei tuoi continui sforzi per riunire la scienza e la spiritualità.” Gli prese con dolcezza il volto tra le mani e gli baciò la fronte. “Ma ancora non capisci che a volte serve solo avere fede.”
Serve solo avere fede. Era ciò che gli aveva prescritto l’anno prima, quando si era svegliato dalla sbronza. Claudette lo aveva accolto e gli aveva permesso di rimanere nel suo appartamento, quello stesso dove vivevano tuttora. Adrian non aveva creduto nell’amore a prima vista prima di incontrare lei, ma la donna era arrivata a influenzare moltissimo il suo modo di pensare. Nel corso di qualche mese, lo aveva introdotto ai principi dell’Imam Khalil, un sant’uomo islamico della Siria. Khalil non si considerava né sunnita o sciita, ma un semplice devoto di Dio, al punto che permetteva al suo piccolo gruppo di seguaci di chiamarLo con qualsiasi nome volessero, perché Khalil credeva che la relazione di ogni individuo con il proprio creatore fosse strettamente personale. Per Khalil, il nome di quel creatore era Allah.
“Voglio che tu venga a letto,” gli disse Claudette, accarezzandogli la guancia con il dorso della mano. “Hai bisogno di riposarti. Ma prima… hai preparato il campione?”
“Il campione,” ripeté Adrian. “Sì, certo.”
C’era solo una minuscola fialetta, poco più grande di un’unghia, del virus attivo, sigillato ermeticamente nel vetro e racchiuso tra due cubi di gomma, all’interno di un contenitore per il trasporto dei campioni biologici in acciaio inossidabile. La scatola stessa era appoggiata, ben visibile, sul ripiano della loro cucina.
“Bene,” mormorò Claudette. “Perché aspettiamo ospiti.”
“Stasera?” Adrian abbassò le mani dalla sua schiena. Non si aspettava che succedesse tanto presto. “A quest’ora?” Erano quasi le due del mattino.
“Da un momento all’altro,” rispose lei. “Abbiamo fatto una promessa, amore mio, e dobbiamo mantenerla.”
“Sì,” bisbigliò Adrian. Aveva ragione, come sempre. Le promesse non andavano infrante. “Ovviamente.”
Un brusco e violento colpo alla porta del loro appartamento fece sobbalzare entrambi.
Claudette vi si avvicinò in fretta, lasciando inserita la catena e aprendo solo di pochi centimetri. Adrian la seguì, sbirciando sopra la sua spalla per vedere i due uomini dall’altra parte. Nessuno dei due sembrava molto amichevole. Non conosceva i loro nomi, e nella sua mente li aveva nominati ‘gli arabi’, anche se per quel che ne sapeva potevano essere curdi o turchi.
Uno dei due parlò rapidamente a Claudette in arabo. Adrian non capì, il suo arabo era rudimentale nel migliore dei casi, si limitava a poche frasi che la donna gli aveva insegnato, ma lei annuì una volta, tolse la catena e lasciò entrare gli uomini.
Entrambi erano piuttosto giovani, circa sulla trentina, e portavano corte barbe nere sulle guance dalla pelle scura. Indossavano abiti in stile europeo, jeans e magliette, con sopra giacche leggere a proteggerli dalla gelida aria notturna; l’Imam Khalil non pretendeva che i suoi seguaci mettessero abiti o paramenti religiosi. In effetti, da quando erano stati allontanati dalla Siria, preferiva che la sua gente si mescolasse agli altri il più possibile, per motivi che erano ovvi ad Adrian, visto che cosa dovevano recuperare i due uomini lì presenti.
“Cheval.” Uno dei siriani annuì verso di lui, quasi con reverenza. “Avanti? Dicci?” Parlava in un francese molto incerto.
“Avanti?” ripeté Adrian confuso.
“Vuole sapere dei tuoi progressi,” spiegò con gentilezza Claudette.
Lui sogghignò. “Il suo francese è tremendo.”
“Così come il tuo arabo,” ribatté lei.
Giusta osservazione , concesse Adrian. “Digli che il procedimento richiede tempo. È complicato, e richiede pazienza. Ma il lavoro sta andando bene.”
Claudette ripeté il messaggio in arabo, e i due uomini annuirono in segno di approvazione.
“Un piccolo pezzo?” chiese il secondo uomo. Sembrava che volessero far pratica con lui di lingua francese.
“Sono venuti per il campione,” disse Claudette ad Adrian, anche se lui lo aveva capito dal contesto. “Vuoi prenderlo?” Era ovvio che la donna non avesse alcuna intenzione di toccare il contenitore per il trasporto di campioni biologici, che fosse sigillato o meno.
Adrian annuì, ma non si mosse. “Chiedigli perché non è venuto Khalil stesso.”
Claudette si morse il labbro e gli sfiorò un braccio. “Tesoro,” disse piano, “sono sicura che sia impegnato altrove…”
“Che cosa potrebbe essere più importante di questo?” insisté lui. Era stato certo che l’Imam si sarebbe presentato.
Claudette ripeté la domanda in arabo. I due siriani si accigliarono e si scambiarono uno sguardo prima di rispondere.
“Dicono che stanotte è a trovare gli infermi,” disse poi in francese ad Adrian, “sta pregando per la loro liberazione dal mondo fisico.”
Un ricordo della madre gli lampeggiò nella mente, solo qualche giorno prima della sua morte, stesa a letto con occhi aperti ma inconsapevoli. Era stata quasi inconscia per le medicine; senza sarebbe stata in uno stato costante di dolore, e tuttavia dopo averle prese era praticamente comatosa. Nelle settimane prima del suo decesso, non aveva avuto alcun concetto del mondo attorno a sé. Lui aveva pregato spesso perché guarisse, lì al suo capezzale, anche se verso la fine le sue suppliche erano cambiate e si era ritrovato a desiderare una morte rapida e indolore per la madre.
“Come lo userà?” chiese Adrian. “Il campione.”
“Si accerterà che la tua mutazione funzioni,” rispose semplicemente Claudette. “Lo sai.”
“Sì, ma…” Il giovane scienziato si interruppe. Sapeva che non era stava a lui mettere in dubbio le intenzioni dell’Imam, ma all’improvviso sentiva il bisogno impellente di sapere. “Lo testerà privatamente? In un luogo remoto? È importante non mostrare troppo presto le nostre carte. Il resto del lotto non è ancora pronto… ”
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