Jack Mars - Obiettivo Zero

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Uno dei migliori thriller di quest’anno. Books and Movie Reviews (re A ogni costo) In questo seguito del primo libro (AGENTE ZERO) della serie di spy thriller Kent Steele, Obiettivo Zero (Libro #2) ci porta in un’altra avventura ricca d’azione per tutta l’Europa, quando l’agente Kent Steele viene richiamato in servizio per fermare un’arma biologica prima che devasti il mondo, lottando al contempo con la sua perdita di memoria. La vita torna brevemente alla normalità per Kent, prima di essere richiamato dalla CIA per dare la caccia ai terroristi e fermare un’altra crisi internazionale, una persino più potenzialmente devastante dell’ultima. Perseguitato ancora una volta da un assassino, messo alle strette da una cospirazione e dalle talpe all’interno dell’agenzia, e con un’amante di cui non può fidarsi, Kent rischio di fallire. Tuttavia la sua memoria sta lentamente tornando, e con essa visioni segrete di chi è stato un tempo, che cosa ha scoperto e perché gli stanno dando tutti la caccia. La sua stessa identità potrebbe essere il segreto più pericoloso di tutti. OBIETTIVO ZERO è un thriller di spionaggio che non riuscirete a posare fino alla fine. Il thriller al suo meglio. Midwest Book Review (re A ogni costo) Inoltre è disponibile la serie thriller besteller di Jack Mars LUKE STONE (7 libri), che inizia con A ogni costo (Libro #1), un download gratuito con più di 800 recensioni a cinque stelle!

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Quella volta non cercò di fare nulla. Prese lunghe e lente sorsate attraverso la cannuccia, godendosi la paura della giovane donna e la tensione dei due agenti di polizia alle sue spalle. Quando ebbe bevuto abbastanza, si sdraiò di nuovo. Lei emise un percettibile sospiro di pensiero.

Io sopporto .

Aveva sopportato molto nelle ultime quattro settimane. Aveva subito una nefrectomia per rimuovere un rene perforato e un secondo intervento chirurgico per estrarre una parte del suo fegato lacerato. Poi c’era stata una terza procedura per accertarsi che nessuno degli altri organi vitali fosse danneggiato. Era rimasto diversi giorni in terapia intensiva prima di essere trasferito nel reparto di chirurgia, ma non aveva mai lasciato il letto al quale era ammanettato per entrambi i polsi. Gli infermieri lo giravano, gli cambiavano la padella e lo tenevano più comodo possibile, ma non aveva il permesso di sollevarsi, di alzarsi e di muoversi di sua volontà.

Le sette ferite da taglio sulla sua schiena e quella sul suo petto erano state suturate e, come Elena, l’infermiera notturna, gli ricordava di continuo, stavano guarendo bene. Tuttavia, non c’era molto che i dottori potessero fare per i danni ai nervi. A volte tutta la spina dorsale gli si intorpidiva fino alle spalle e di tanto in tanto persino fino ai bicipiti. Non sentiva nulla, come se quelle parti del suo corpo fossero state di qualcun altro.

Altre volte si svegliava da un sonno profondo con un urlo in gola e un dolore bruciante che lo attraversava come una tempesta di lampi. Quegli attacchi non duravano mai a lungo, ma erano acuti, intensi e si ripetevano a intervalli irregolari. I dottori li definivano “dolori neuropatici”, un effetto collaterale che poteva capitare a chi aveva subito danni ai nervi tanto estesi. Gli avevano assicurato che spesso si attenuavano e sparivano del tutto, ma non gli avevano potuto dire quando sarebbe successo. Invece lo avevano informato che era stato fortunato a non aver riportato danni alla spina dorsale, e ad essere sopravvissuto alle sue ferite.

Già, fortunato , pensò amaramente. Fortunato di essere in via di guarigione, solo per finire sepolto in una prigione segreta della CIA. Fortunato che tutto ciò per cui aveva lavorato gli fosse stato strappato in un solo giorno. Fortunato ad essere stato sconfitto non solo una volta, ma due, da Kent Steele, un uomo che disprezzava e odiava con ogni fibra del suo essere.

Io sopporto .

Prima di lasciare la sua camera, Elena ringraziò i due agenti in tedesco e promise a entrambi di portar loro del caffè quando fosse tornata più tardi. Una volta che si fu allontanata, gli uomini riassunsero le loro posizioni fuori dalla porta, che era sempre aperta, e ripresero la loro conversazione, qualcosa su una recente partita di calcio. Rais conosceva bene il tedesco, ma i dettagli del dialetto svizzero-tedesco e la velocità con cui parlavano a volte lo eludevano. Gli agenti del turno di giorno tendevano a parlare in inglese, ed era grazie a loro che otteneva la maggior parte delle notizie su ciò che succedeva fuori dalla sua stanza d’ospedale.

Entrambi gli uomini erano membri dell’Ufficio Federale della Polizia Svizzera, che aveva dato ordini che avesse due guardie davanti alla sua porta, ventiquattro ore al giorno. Facevano turni da otto ore, con agenti del tutto diversi il venerdì e nel weekend. Ce n’erano sempre due, di continuo; se un agente doveva usare il bagno o prendere da mangiare, prima doveva chiamare una delle guardie di sicurezza dell’ospedale, e poi doveva aspettare il suo arrivo. La maggior parte dei pazienti nelle sue condizioni e a quello stadio avanzato di guarigione di solito era trasferito a un centro traumatologico di livello inferiore, ma Rais era rimasto all’ospedale. Era una struttura più sicura, con i suoi reparti chiusi a chiave e le guardie armate.

Ce n’erano sempre due. Sempre. E Rais aveva deciso che li avrebbe sfruttati per i suoi scopi.

Aveva avuto molto tempo per progettare la sua fuga, in particolare negli ultimi giorni, quando avevano iniziato a diminuirgli le dosi di tranquillanti e aveva ripreso a pensare lucidamente. Aveva preso in considerazione molti scenari diversi, analizzandoli ancora e ancora. Aveva memorizzato spostamenti e origliato conversazioni. Non mancava molto perché lo dimettessero, era al massimo una questione di giorni.

Doveva agire, e aveva deciso che lo avrebbe fatto quella sera.

Gli agenti avevano abbassato la guardia nel corso delle settimane in cui erano stati assegnati alla sua porta. Lo chiamavano ‘terrorista’ e sapevano che era un assassino, ma a parte il piccolo incidente con il dottor Gerber di qualche giorno prima, Rais non aveva fatto altro che stare sdraiato in silenzio, quasi immobile, permettendo allo staff di svolgere i suoi compiti. Se non c’era nessuno nella stanza con lui, quasi non gli prestavano attenzione al di là dell’occasionale sguardo.

Non aveva cercato di mordere il dottore per ripicca o cattiveria, ma per necessità. Gerber era stato chino su di lui, intento a ispezionare la ferita sul braccio doveva aveva tagliato via il marchio di Amun, quando la tasca dl camice bianco del dottore gli aveva sfiorato le dita della mano ammanettata. Rais si era scagliato in avanti, serrando i denti, e quando gli aveva sfiorato il collo l’uomo era saltato indietro per la paura.

E una penna stilografica era rimasta stretta nel pugno dell’assassino.

Uno degli agenti di turno gli aveva sferrato un violento pugno in faccia per quell’atto, e nel momento in cui il colpo era atterrato, Rais aveva infilato la penna sotto le lenzuola, nascondendola sotto la coscia sinistra. Era rimasta lì per tre giorni, celata sotto la coperta, fino alla notte prima. L’aveva tirata fuori mentre le guardie chiacchieravano nel corridoio. Con una mano, senza poter vedere che cosa stava facendo, aveva separato le due metà della penna e aveva rimosso la cartuccia, lavorando piano e con cura per evitare di versare l’inchiostro. La penna era un classico modello con un’acuminata punta d’oro. Aveva riposto quella metà sotto le lenzuola. L’altra metà aveva una clip da taschino in oro, che aveva forzato con attenzione con il pollice fino a staccarla.

La manetta al polso sinistro gli lasciava meno di trenta centimetri di mobilità al braccio, ma se stendeva la mano al limite riusciva a raggiungere l’estremità del comodino. Il ripiano era un semplice pannello liscio di compensato, ma la parte inferiore era ruvida come carta vetrata. Nel corso di quattro estenuanti e dolorose ore la notte prima, Rais aveva strofinato la clip avanti e indietro sotto il tavolo, attento a non fare troppo rumore. Con ogni movimento aveva temuto che la clip potesse sfuggirgli di mano, o che le guardie notassero il gesto, ma la sua stanza era buia e gli uomini erano stati impegnati nella loro conversazione. Poi anche la clip era sparita sotto le lenzuola, insieme alla punta del pennino.

Aveva capito da frammenti di discorsi che quella notte ci sarebbero state tre infermiere del turno notturno nel reparto di chirurgia, inclusa Elena, e altre due reperibili nel caso di necessità. Insieme alle guardie, facevano un totale di cinque persone che avrebbe dovuto affrontare, e un massimo di sette.

A nessuno nello staff medico piaceva particolarmente occuparsi di lui, sapendo chi era, e quindi lo andavano a controllare di rado. Ora che Elena era entrata e uscita, Rais sapeva che aveva tra i sessanta e i novanta minuti prima del suo ritorno.

Il suo braccio sinistro era bloccato con una cinghia standard d’ospedale, del tipo che i professionisti di solito definivano “a quattro punti”. Era una striscia azzurro chiaro avvolta al suo polso, stretta da un aderente cinturino bianco di nylon, la cui estremità era attaccata saldamente alla sponda di ferro del suo letto. Per via della severità dei suoi crimini, anche il suo polso destro era ammanettato.

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