Pensò alla silenziosa opera di carne che aveva lasciato nel bungalow. Chiuse gli occhi e sorrise. Era un buon inizio.
Canticchiando distrattamente e grattandosi il collo, si diresse di nuovo verso la strada, finché non scorse, alla sua sinistra, il tettuccio della Sierra grigia. Il sole era sbucato dalle nuvole; tuttavia, mentre si avvicinava all'auto, la pioggia ricominciò a cadere. Allora rallentò, fermandosi dietro una quercia alta, avvolta dall'edera. Gli era venuta un'idea interessante. Assorto nei suoi pensieri, si mordicchiò l'interno della guancia, infilando la mano nella borsa per accarezzare, con le tozze dita rosee, la lama della sega. Sotto di lui, accanto alla Sierra, s'innalzava il fumo di una sigaretta.
Con il maglione nero e il giubbotto di Kevlar, il sergente O'Shea del TSG era tanto fuori posto in quel grazioso viottolo di campagna quanto lo sarebbe stato un predatore della giungla. I suoi ragazzi, l'espressione seria, il bacino in avanti, le braccia incrociate sul petto con le mani infilate sotto le ascelle, lo guardavano, mentre lui si aggirava in mezzo a loro.
«La polizia locale ha effettuato una perlustrazione: dall'una del pomeriggio c'è una Peugeot blu parcheggiata. Per dieci minuti abbiamo tentato di stabilire un contatto, ma nessuno ha risposto al telefono, pertanto il nostro psichiatra è d'accordo: non volevamo che si arrivasse a questo punto, però ormai stiamo considerando un'eliminazione tattica. Non sappiamo quali armi possieda il bersaglio: si presume non abbia armi da fuoco… più probabilmente dispone di armi da taglio, quindi attenzione al collo e alle mani, alle parti vulnerabili. Tenete le visiere abbassate e attenetevi al protocollo per separare il bersaglio dall'arma. Per quanto riguarda l'incursione, procederemo con un'operazione scaglionata.»
Jack era avanzato di qualche passo sulla strada e stava fumando, tenendo d'occhio, attraverso una siepe divisoria, il bungalow situato più in basso. Non passavano macchine e si udiva solo l'elicottero roteare in cielo. Di tanto in tanto, all'interno dell'abitazione, il telefono squillava.
«Guarda, Jack.» Paul indicò un punto in lontananza. Nuvole nere si addossavano alla bocca dell'estuario, come se tentassero di bloccarne l'entrata. «Sembrano un presagio di sangue.»
«Ha avuto il tempo di farlo, Paul. Lei potrebbe essere già…»
Paul guardò il volto di Jack e si morse il labbro. «Sì. Devi essere preparato.»
«Comunicheremo via radio come sempre», proseguì O'Shea, piegando le mani tatuate. «Squadra perimetrale: continuate a inviare i messaggi di controllo. Se qualcosa dovesse andare storto e vi ritrovaste in pericolo, conoscete la procedura radio.»
Diamond osservò l'ometto per un po', fino a che non scomparve dietro la curva. Poi sbadigliò, si grattò il naso, finì di fumare la sigaretta e la gettò per terra. Pioveva di nuovo. Cercò le chiavi della Sierra nelle tasche: non aveva senso stare a inzupparsi là fuori. Meglio lasciare quelle cose agli eroi. Aveva la mano sulla portiera quando Bliss, madido di sudore, si scagliò su di lui.
«Ciao», gli sussurrò.
Diamond lasciò cadere le chiavi e scattò all'indietro, contro l'auto, farfugliando e strabuzzando gli occhi per il dolore: l'ometto gli stava stringendo con violenza i genitali.
«Piano, piano… o ti farai male», mormorò l'aggressore, gli occhi gialli a pochi centimetri dal volto dell'altro.
«Sono della polizia. Polizia…» Lottò con la mano dell'uomo, cercando di liberarsi, ma la sega si accese improvvisamente e si appoggiò sulle sue nocche. Non andò in profondità, ma il sangue prese a zampillare. Diamond gridò, ritraendo di scatto le braccia. «Non ferirmi, non ferirmi… Sono un poliziotto.»
«Mi prometti di tenere ferme le mani? Mettile sopra la testa.»
«Sì, sì, sì.» Respirando affannosamente, il detective alzò le braccia. «Sì.»
«Dillo. Di': lo prometto.»
«Sì, lo prometto.»
«Giuralo sulla tua testa.»
«Lo giuro sulla… sulla…» Diamond prese a tremare. «Che cos'hai intenzione di farmi?»
«Sta' zitto.» Bliss gli lanciò un'occhiata furiosa. «Taci e basta.» Aveva gli angoli della bocca sporchi di saliva. Non poteva pulirseli: una mano stringeva l'impugnatura della sega, l'altra la carne molle dei genitali del poliziotto. I loro occhi erano alla stessa altezza e Bliss percepì il terrore gelido nel respiro dell'altro.
«Ascolta», mormorò Diamond, rabbrividendo. «Io non c'entro in questa storia. Non sono stato io a condurli qui. Non vogliono neanche che mi avvicini alla casa. È per questo che mi hanno lasciato da parte.»
«Chi prende le decisioni?»
«Le decisioni?» Diamond si umettò le labbra. «Le decisioni? Il nostro… il nostro…»
«Sì?»
Diamond esitò, un barlume di speranza negli occhi: sembrava che l'altro si fosse tranquillizzato. «Il nostro capo. Il detective Caffery. Jack Caffery.»
«Lui?» esclamò Bliss, scoprendo i denti macchiati. «Dov'è?»
«In fondo alla collina. Te lo indico?»
«Sarebbe gentile da parte tua.»
«Mi lascerai andare?»
«Vedremo. Per adesso dammi la tua radio.»
La pioggia si fece più intensa. Scorreva lungo la schiena di Jack e gli inzuppava le scarpe. I nuvoloni minacciosi avevano attraversato l'estuario e sembravano essersi fermati sopra la casa. Le finestre erano rimaste buie, chiuse.
«Rispondi al telefono, bastardo.»
Paul e Jack erano ben distanti, a metà del campo, la radio spenta. Raramente Jack si era sentito tanto inutile. Sapeva che Rebecca si trovava nel bungalow, e la sua immaginazione gli suggeriva una sfilza di possibilità terrificanti. Non poteva far altro che osservare gli uomini della squadra, i quali, in fondo al vialetto, divisi in gruppi, indossavano i guanti e si caricavano in spalla l'ariete rosso.
Paul si voltò. Il detective Diamond era fermo al margine del bosco, pallido e silenzioso, e faceva loro alcuni cenni.
«Ma guarda quel deficiente… Che diavolo vuole?» Velocemente, senza far rumore, corse fino agli alberi. «Che cavolo fai quaggiù?» sibilò.
«Da questa parte», sussurrò Diamond, tornando nel bosco.
Paul lo seguì. «Dovevi stare sulla strada.»
«Di qui.»
«Che ti è successo alla mano? Stai sanguinando…»
Nel punto in cui si era appostato, tra le foglie decomposte, Bliss agì rapidamente e con precisione. Con un solo movimento e uno schiocco sordo recise il tendine di Achille del piede destro di Paul.
«Cristo santissimo», esclamò lui, cadendo a terra come un vecchio albero e battendo la spalla, troppo scioccato per gridare; poi, mentre portava la mano alla ferita, in mezzo a un lago di sangue, vide che la sua radio era scivolata lontano.
«E ora l'altro…» mormorò Bliss. Con gli occhi lucidi per l'eccitazione, si buttò su di lui, con la sega ronzante. Ma Paul fu più veloce. Grugnendo, rotolò sulla schiena e gli si avventò contro, colpendolo violentemente alla colonna vertebrale.
L'uomo mollò la sega e si accasciò con un tonfo tra le foglie bagnate, senza fiato per la sorpresa.
«Bliss, sei un pezzo di merda!» gridò Paul, bloccandolo a terra col suo peso. «Sei un gran pezzo di merda!» Poi si spostò finché, boccheggiante come un pesce spiaggiato, non riuscì a piazzarsi a cavalcioni sulla schiena dell'uomo. Aveva perso la radio, sapeva di non potersi reggere in piedi. La sua unica arma era il peso: sperava fosse sufficiente a trattenere Bliss fino all'arrivo dei rinforzi. «Diamond!» urlò allora. «Usa la mia radio, Diamond. Chiama tutte le unità.»
Ma Diamond stava tremando, tenendosi la mano. «Quel bastardo mi ha ferito», mormorò. «Avrebbe potuto recidermi un'arteria…»
«Diamond!»
«In ogni caso è morta.» Bliss sputò sul terriccio. «Sono morte tutt'e due, quelle puttane.»
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