Mo Hayder - Birdman

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In un'area industriale semiabbandonata della periferia londinese vengono scoperti i cadaveri di cinque donne mutilate e seviziate. Scattano immediatamente le indagini che vengono affidate al giovane ispettore Jack Caffery. Egli comprende all'istante che i delitti sono opera di un maniaco: le vittime sono state infatti sottoposte a procedure chirurgiche amatoriali per la riduzione del seno e sono state pettinate e truccate in modo da ricordare delle bambole. La morte tuttavia non è stata causata dalle orrende ferite, bensì da un'iniezione letale; inoltre il killer ha inserito nel petto delle vittime e cucito accanto al cuore un uccellino vivo, simbolo e firma del suo macabro operato.

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«Lo so. È quello che ha affermato Krishnamurthi. Ed è quello che mi preoccupa.»

«Che cosa la preoccupa?»

Lui avvicinò la sedia alla scrivania. «Mi spieghi soltanto una cosa: le mosche della carne, quelle che hanno deposto le uova nelle ferite…»

«No, no. Non si tratta di uova. La nostra piccola amica, la mosca della carne, non depone uova. Depone larve.»

«Sempre nelle ferite?»

«Sì.» La Amedure sollevò una lattina di Coca-Cola e la scosse. Vuota. Passò alla successiva, cercando d'identificare quella che aveva appena posato. «Ora, da quel poco che capisco di entomologia, succede questo: le mosche della carne depongono le larve sulle mucose, vale a dire su bocca, ano, vagina, occhi, narici e via discorrendo. Nei casi di morti violente che si verificano, tanto per dire, in un giardino, ci sono ferite, sangue… e, mentre i ditteri si mettono al lavoro, le mosche si annidano nelle ferite.»

«Ma questo non è successo con la Jackson, vero?»

«Con nessuna delle vostre vittime. Sebbene la mosca della carne sia larvale, come i ditteri, non passa attraverso uno stadio intermedio tra due mute; così abbiamo scoperto che era arrivata in seguito. Il che per noi è stato illuminante: abbiamo capito che le ferite sono state infette dopo il decesso. I livelli di serotonina nelle lesioni ci hanno aiutato a essere più precisi sui tempi.» La Amedure identificò infine la lattina piena. Ne bevve un sorso, poi guardò Jack e proseguì: «Probabilmente c'è un vuoto temporale che va dalle sessanta alle settantadue ore».

« Sessanta ore? Questo è il minimo?»

«È solo una stima.»

«D'accordo, ma quando, secondo lei, hanno deposto le larve?»

«All'incirca? Parandomi al meglio il culo? Direi… hmm… mercoledì mattina. Come negli altri casi: un vuoto di circa tre giorni.» Tacque per un istante e abbassò la lattina. «Può essere importante?»

«Sì», rispose lui portandosi una mano alle tempie. Harteveld era sotto sorveglianza da martedì pomeriggio. Alle dieci del mattino di mercoledì era morto. «Dottoressa Amedure…» continuò, lasciando cadere la mano e sollevando lo sguardo. «Su tutte le vittime c'era polvere di cemento.»

«Lo so. Negli altri casi abbiamo supposto che provenisse dall'area industriale, vero? Per alcuni, immagino, sarà un brutto colpo, ma così è. Abbiamo avviato una diffrazione a raggi X. Quando sarà completata, contatteremo il database CCRL di Gaithersburg, nel Maryland, perché esegua un esame più approfondito.»

«Non esiste un database nel Regno Unito?»

«Il Maryland ha il migliore: possono lavorare con un diffrattogramma o una stampata delle analisi di fase e confrontare clorati e solfati coi loro campioni.»

«Quanto tempo ci vorrà?»

«Da parte nostra? Meno di ventiquattro ore. Ma per il Maryland… Non so. Di solito sono piuttosto veloci.»

«Lo può iniziare stanotte?»

«Hmm, signor Caffery», rispose la Amedure sorridendogli da dietro la lattina. «Non credo serva ricordarle quanto l'AMIP dovrebbe pagare per un turno di notte.»

«Non lo sa, vero?» Jack si dimenò, a disagio. «Stanotte è successo qualcosa che ha rimesso tutto in gioco. Non possiamo dirlo con certezza, ma ce ne potrebbe essere un altro.»

La faccia della Amedure cambiò all'istante. Posò la lattina, sollevò il telefono e compose un numero. «Parlo con l'amministratore di turno. Se abbiamo lo staff, potremmo riuscirci.» Aspettando la linea, frugò tra le carte e recuperò una spettrografia. «Ecco il capello di cui le ho accennato. Stesso colore e stessa lunghezza dei capelli della parrucca, ma una bella sezione trasversale circolare: è decolorato e appartiene a un individuo di razza bianca. Inoltre è caduto naturalmente.»

«Da una delle altre vittime?» Jack si allungò e prese il foglio.

Lei scosse la testa. «Non coincide con quelli di nessuna vittima, neanche in modo superficiale. E tutto ciò che possiamo ottenere da esso sono il DNA mitocondriale e alcune informazioni sullo stile di vita del proprietario. Vede quel simpatico picco nel centro? È il metabolita della marijuana.»

«E questo?»

«È alluminio.»

«Alluminio?»

«Sì, quello…» iniziò a spiegare lei, spostando il ricevitore all'altro orecchio, «… potrebbe voler dire pressoché qualsiasi cosa. Ricordo che, una volta, ho visto un tracciato che quasi usciva dal foglio: risultò essere di un paziente affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo nei confronti degli anti-traspiranti.»

«Questo potrebbe significare un'altra vittima di cui ancora ignoriamo l'esistenza?»

«Esatto.»

Jack posò il foglio sulla scrivania e si alzò. «Dottoressa Amedure, faccia quell'esame comparativo. Costi quello che costi, d'accordo?»

«Se lo dice lei.» La donna mise la mano sopra la cornetta. «Se l'AMIP ha i soldi, non c'è niente che non possiamo fare.»

Era l'una del mattino e la notte estiva era diventata fresca. La municipalità di Greenwich aveva fornito un sistema d'illuminazione a giorno, isolando inoltre la strada. I giornalisti che, in precedenza, avevano invaso la zona si erano spostati verso l'ospedale, evidentemente sperando di sentire l'odore del sangue di Susan Lister. Jack e Maddox erano seduti nel la Jaguar, sotto un lampione, oltre il blocco stradale.

«Polvere», disse Jack al suo capo. «Polvere di cemento…» Si dimenò sul sedile di pelle, che scricchiolò, e poi, lasciando cadere il braccio dietro lo schienale, guardò Maddox. «Lasci che le spieghi.» Espose le sue idee, i suoi puri e semplici sospetti, la prima traccia approssimativa di ciò che credeva stesse accadendo. Era una teoria incompleta, ma Jack era convinto di aver avuto l'intuizione giusta. Spiegò ogni collegamento, giustificò ogni salto della sua immaginazione.

«Non lo so, Jack», osservò Maddox dopo un lungo silenzio. «Non ne sono convinto…» Picchiettò le dita sul cruscotto, rimanendo a fissare la strada. Il detective Basset si trovava al di fuori dell'aria delimitata, sotto un riflettore, intento a bere un caffè e a osservare la Quinn che, ben riconoscibile con la sua veste bianca luminosa, mescolava una polvere per il rilevamento delle impronte in un piccolo contenitore di plastica. Solo dopo molto tempo Maddox si raddrizzò e cominciò ad abbottonarsi la giacca.

«Ho bisogno di pensarci. Dormiamoci sopra. Ci rivediamo a Shrivermoor per le sei… Va bene? Puoi parlarne con Essex e la Kryotos prima della riunione, per vedere che cosa dicono.»

Dopo che Maddox se ne fu andato, Jack si arrotolò l'ultima sigaretta e gironzolò lungo la strada. Dai giardini proveniva un forte odore di gelsomino. Si fermò a fissare un rettangolo giallo di luce sopra il tetto di un garage basso. Fu allora che si rese conto di dove si trovava.

Malpens Street era una perpendicolare di South Street. C'erano arrivati da una direzione diversa, ma lui, in quel momento, si trovava soltanto a quattro o cinque porte dal negozio del rigattiere. Un muretto basso delimitava i giardini lungo la strada principale, e l'angolo gli consentiva di vedere i bovindi posteriori, tagliati in diagonale dal tetto di un garage. Una finestra illuminata, leggermente aperta nella notte.

La cucina di Rebecca.

Jack arretrò e si appoggiò alla macchina, lontano dai lampioni, ed estrasse il cellulare dalla giacca. Riuscì a sentire il telefono di lei che suonava al di là dei tetti. «Pronto?» Ma sentì un clic e si rese conto che stava parlando con una segreteria telefonica.

Era la voce di Joni: « Ci spiace che abbiate speso tempo e soldi per chiamare quando non abbiamo neppure la decenza di essere in casa per rispondervi… »

Jack imprecò tra i denti. «Sentite, so che c'è qualcuno in casa. Sono Jack, il detective Jack Caffery. Rispondete al telefono.» Aspettò. Niente. Con un sospiro, proseguì: «Rebecca, Joni, sentite: se mi state ascoltando, voglio che stiate attente, non è ancora finita. Tenete solo chiuse porte e finestre, d'accordo? E, Rebecca…» Tacque per un attimo, poi aggiunse: «Fammi uno squillo. Quando hai tempo».

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