Mo Hayder - Birdman

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In un'area industriale semiabbandonata della periferia londinese vengono scoperti i cadaveri di cinque donne mutilate e seviziate. Scattano immediatamente le indagini che vengono affidate al giovane ispettore Jack Caffery. Egli comprende all'istante che i delitti sono opera di un maniaco: le vittime sono state infatti sottoposte a procedure chirurgiche amatoriali per la riduzione del seno e sono state pettinate e truccate in modo da ricordare delle bambole. La morte tuttavia non è stata causata dalle orrende ferite, bensì da un'iniezione letale; inoltre il killer ha inserito nel petto delle vittime e cucito accanto al cuore un uccellino vivo, simbolo e firma del suo macabro operato.

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«Ehi, c'è qualcosa qui.» Paul impallidì e guardò Jack mentre la Quinn socchiudeva gli occhi, appoggiando la faccia al bordo per avere una presa migliore. «Eccoci.»

Il groviglio di capelli, preservativi, carta igienica e feci giaceva, gocciolante e puzzolente, sul foglio di plastica nel centro del pavimento del bagno. Paul si coprì la bocca e fece un passo indietro, scuotendo la testa. Il pomo d'Adamo gli ballava in gola. La Quinn annusò e si sollevò, tastando la massa con un dito. «Questi…» Tirò fuori due oggetti impigliati e li lasciò cadere nella busta che Logan teneva aperta per lei. «Questi sono l'intoppo.»

«Una gonna. Un paio di calze…» Jack era deluso.

«Dovranno essere asciugati in laboratorio.»

«Sono soltanto vestiti.»

«Non è quello che si aspettava?»

«Non proprio. No.»

Con la mano ancora sulla bocca, Paul guardò Logan etichettare la busta. «Sai una cosa?» gli disse più tardi, dandogli una pacca sulla spalla. «Hai un vero talento per le prove. Se mi nominano addetto ai reperti nel prossimo caso, faremo uno scambio.»

36

Alla fine della giornata avevano trovato le impronte di Shellene su un bicchiere, su una forchetta col manico d'osso e su una bottiglia di Malibu tirata fuori da un mobile bar, in soggiorno. Due capelli color prugna vennero prelevati dallo scarico del bagno al pianterreno; Logan scoprì alcune siringhe in una scatola di lacca, piccole quantità di eroina e cocaina in due antiche boccette per inchiostro, una di vetro blu e una d'argento. Il tutto fu scrupolosamente sigillato nelle buste per reperti.

«Ma sono ancora preoccupata», ammise Fiona Quinn alla riunione serale. «Mi aspettavo prove organiche delle mulilazioni. Non credo di averle trovate nel sopralluogo di oggi.»

Né avevano identificato il materiale di sutura, il bisturi che, secondo Krishnamurthi, era stato usato per operare le mutilazioni e neanche il sapone Wright's Coal Tar.

«Avremmo dovuto trovare più disordine. Quando le ha aperte, potete solo immaginare che cos'è successo. Perché non c'erano sangue e tessuti putrefatti? Perché non abbiamo trovato qualche prova, almeno negli scarichi? La Scien tifica, però, ne ha scoperte molte nell'auto e nel portabagagli… Penso che questo sia il punto chiave: le ha portate da un'altra parte. Forse per ucciderle, ma non è da escludere anche dopo averle uccise. Dove tiene gli uccelli in gabbia.»

«Affidiamoci a Schloss-Lawson e Walker», intervenne Jack. «Sono gli avvocati di famiglia. Prepareranno un elenco delle sue proprietà per domani.»

Maddox scosse la testa. «Se non stiamo attenti, non otterremo il mandato. Si tratta di proprietà off limits. E potremmo aver bisogno di tempo.»

«Vero, ma continuo a dare ragione alla Quinn. Dobbiamo perquisirle.»

«Sì», mormorò lei. «E quando troveremo ciò che cerchiamo, troveremo la Jackson.»

Per qualche istante, nessuno parlò. Il giorno seguente il primo compito di Paul sarebbe stato chiamare Clover Jackson e chiederle di andare alla stazione per esaminare le fotografie degli articoli recuperati nel bagno di Harteveld. Per verificare se la gonna verde chiaro fosse la stessa indossata dalla figlia la sera della sua scomparsa.

«D'accordo», sospirò Maddox. «Marilyn, l'elenco delle azioni da effettuare nella mattina con riferimento alle altre residenze di Harteveld. Voglio la Jackson prima che il tempo ne faccia ulteriore scempio.»

Dopo l'incontro, Jack, esausto, si tolse la cravatta e chiamò Rebecca.

«Stavo andando al parco», rispose lei. «Voglio dipingere il Naval College.»

«Ci possiamo vedere là?»

«Certamente. Tra mezz'ora? Ehi, stai bene?»

«Sì. Perché?»

«Be'…» Lei fece una pausa. «Non mi sembra.»

«Ma sì. Sto bene. Davvero.»

Quando riattaccò, Paul cominciò a strillare: «Tu, piccolo bastardo. L'hai tenuto segreto, eh? Dille che metta una parola buona per me con Joni. Dille quanto sono sensibile o qualche stronzata del genere».

Jack chiuse la cravatta nel cassetto della scrivania, si lavò il viso in bagno, infilò il cellulare in tasca e guidò fino a Greenwich. Il sole della sera dorava le antiche finestre del Royal Observatory quando arrivò al parco. Con Harteveld morto, avrebbe dovuto provare un senso di sollievo. Invece si sentiva a disagio, i suoi nervi erano tesi e pronti, come se il corpo si stesse preparando ad affrontare altre difficoltà. Sei solo stanco, Jack, si disse. Fai una bella dormita. Il mondo ti sembrerà migliore domani.

Lei era seduta sull'erba di fronte alla cupola a cipolla di Flamsteed, un blocco di carta per acquerello sulle ginocchia piegate e un pennello tra i denti. Stava mescolando i colori.

Jack si fermò, godendosi il lusso di osservarla senza essere visto. Il sole le illuminava una guancia, e lui credette quasi di scorgerne la sottile peluria dorata. Con quella gonna corta di tessuto scozzese pareva sorprendentemente vulnerabile. Su quella distesa di erba color smeraldo, sembrava quasi un incoraggiamento.

Becky posò il pennello, si asciugò le mani in un piccolo straccio e, come se avesse saputo che lui era lì da tempo, sbirciò verso l'alto, una mano sugli occhi per proteggersi dal sole basso.

«Ciao.» Non aveva trucco, e lui scorse un abbozzo di sorriso sulla parte destra della bocca. «Ciao, Jack.»

«Conosci il mio nome.»

«Sì.» Lei guardò in basso, e i capelli celarono la sua espressione. «Senti, ho del Borgogna», disse poi, prendendo lo zaino e porgendogli una bottiglia e un cavatappi. «E questo. Un sacchetto di nettarine. Spero che tu non pensassi di andare da McDonald's.»

«Questo significa che beviamo qualcosa insieme.»

«E allora?»

Jack si strinse nelle spalle, si tolse la giacca, si sedette sull'erba e le prese la bottiglia. «Non sono io a preoccuparmi.»

«In ogni caso, eri tu che volevi vedere me. »

«Vero.»

«Perché? Che cosa vuoi?»

La verità? Vorrei, vorrei… Lui si schiarì la voce. Cominciò a togliere la protezione di metallo dalla bottiglia. «L'abbiamo preso. Era Toby Harteveld. L'abbiamo annunciato alla stampa un'ora fa.»

«Ah.» Rebecca posò Io zaino e si passò una ciocca di capelli dietro le orecchie. «Toby.»

«E c'è dell'altro.»

«Cosa?»

«È morto. Lo diranno stasera in televisione, ma io volevo che tu lo sapessi subito. Si è buttato dal London Bridge stamattina alle dieci.»

«Capisco.» Lei espirò lentamente, fissando la distesa di Londra sotto di loro. A monte, il London Bridge pareva puntare i suoi gomiti sulle sponde, fuori della foschia azzurra, e, a valle, luccicante vicino all'orizzonte venato di smog, c'era il Millennium Dome, simile a un osso pulito su uno sfondo azzurro. E, alle sue spalle, sorgeva l'area industriale… «Quindi è finita.»

«Credo di sì.»

Rebecca rimase a lungo in silenzio. Infine, come se avesse preso una decisione, come se volesse scrollarsi qualcosa di dosso, prese due bicchieri dallo zaino e li mise vicino a lui, sull'erba. Lo guardò, sorridendo. «Abbiamo qualcosa in comune. Tu e io.»

«Cosa?»

«Le unghie delle dita», rispose guardandosi le mani. «Da quand'è iniziata questa faccenda non sono riuscita a toccare nulla senza che le unghie mi si spezzassero. È come se lo stress uscisse di lì.» Tacque per un istante, poi chiese: «E tu, che scusa hai?»

Lui sorrise, sollevando il pollice coi segni della ferita. «Questo?»

«Sì?»

«Ah… Vuoi saperlo davvero?»

«Naturalmente.»

«Be', vediamo. Avevamo una casa sull'albero. Questa è la prima cosa.»

«Una casa sull'albero?»

«Adesso non esistono quasi più. Forse un giorno ti farò vedere dov'era.»

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