«Oh, no. Facciamo questa gita per il semplice piacere di farla. Stavo per venire quaggiù per cercare un vecchio disco che apparteneva a mio cugino. Era un mago… Maximillian Candle. Ne hai mai sentito parlare? No, non puoi averne sentito parlare. È passato molto tempo da quando calcava il palcoscenico. Ti interessa la magia? Non mi hai risposto.»
Erano arrivati in fondo alla scala, e Charles stava armeggiando con la serratura della porta. Una volta entrato, cercò a tastoni la torcia sul mobile in ingresso. L'accese e diresse il raggio verso il ragazzo per illuminargli il cammino.
Si fecero strada tra un labirinto di scatoloni e casse, vecchi mobili e foto incorniciate.
Charles inserì una chiave in un'altra serratura e la parete posteriore cominciò a ripiegarsi su se stessa, come una gigantesca, silenziosa fisarmonica.
Lo spazio cavernoso oltre la parete era illuminato debolmente da un'ampia finestra. Le sbarre alla finestra erano opera di Mallory, così come le serrature a prova di ladro installate per tutto l'edificio. Avrebbe messo sbarre a ogni finestra se Charles glielo avesse consentito. C'era voluto del bello e del buono a convincerla che avrebbe preferito essere derubato piuttosto che sentirsi in prigione a casa propria.
Adesso il raggio della torcia illuminava un collage di satin e seta. Lustrini e cristalli scintillavano nelle custodie per vestiti trasparenti appese all'interno di un baule. Una parte della stanza era oscurata da un paravento di carta di riso raffigurante un grande drago dalla lingua fiammeggiante. Delle mensole fissate al muro ospitavano maschere, cappelli a cilindro, una gabbia per le colombe, carte da gioco giganti, scatole decorate e piccoli bauli pieni di trucchi magici.
«Tra un attimo accenderò la luce.» Charles toccò con un dito la sommità di una sfera di cristallo e quella si animò, illuminandosi con pulsazioni misteriose come se la luce al suo interno respirasse.
Si girò verso il ragazzo, la cui attenzione era focalizzata altrove. «Oh, quello è il cugino Max.»
«Come va?» disse il ragazzo alla testa mozza appollaiata sulla sommità di un baule. Justin guardava alternativamente Charles e la testa di cera. «Le assomiglia.»
«Morì quando avevo all'incirca la tua età.»
Charles prese in mano la testa. Lo fissava con occhi vivi e l'espressione di stupore caratteristica di Max quando era in vita.
«Il cugino Max salvò la mia infanzia.»
«Cosa intende dire?»
«Grazie alla magia. Era un mago fantastico. Naturalmente il più grande di tutti i tempi è Malakhai. Faceva un numero con una donna morta, un fantasma.»
«Come no, signor Butler.»
«Dico davvero. Si chiamava Louise. Morì a soli diciannove anni. Era una di quelle persone molto dotate di cui stavo parlando, che…»
«Louise Malakhai? Quella del Concerto di Louise? »
«A quanto pare qualcosa hai imparato a scuola.»
«No, cerco di non imparare niente alla Tanner School. E troppo rischioso. Non sono sicuro che sappiano quello che fanno. La mia prima matrigna era solita ascoltare il Concerto di Louise. L'ha conosciuta? Louise, intendo.»
«Be', sì e no.»
«Perché ha intitolato il concerto con il suo nome? È una sorta di autoritratto in musica?»
«Veramente lei aveva dato al concerto un titolo diverso. Fu Malakhai a cambiarlo, dopo che lei morì. Allora conosci quella musica.»
«Non proprio. Ho ascoltato il disco solo una volta dopo la morte della mia matrigna. Era un vecchio disco per giradischi…»
«D'antiquariato?»
«Sì. Probabilmente adesso si trova su CD. La mia matrigna… quella pazza che si è suicidata… amava quel disco. Lo ascoltava di continuo.»
«A te piaceva?»
«Non l'ho mai ascoltato tutto. Lo metteva quando era sola. Quando c'era qualcun altro spegneva, o lo ascoltava con le cuffie. Diceva che il concerto era… abitato dai fantasmi. Diceva di sentire qualcuno che si muoveva nella musica. Strano, no? Comunque, dopo la sua morte, un giorno che stavo ascoltando il disco, papà lo strappò dal giradischi e lo distrusse.»
Charles pensò a quel diabolico spazio vuoto, che ogni orecchio riempiva di significati diversi. Una volta lui aveva sentito Louise gridare. Un'altra volta, da adolescente infatuato della donna fantasma, l'aveva sentita ridere.
«Louise morì giovane. Il concerto fu la sua unica composizione, tutto ciò che Malakhai possedeva quando tornò dalla guerra di Corea. Lo usava come colonna sonora per tutti i suoi spettacoli.»
«Con una donna morta.»
«Sì, una donna morta invisibile. Gli faceva da assistente. Quando gli porgeva un oggetto di scena, lo si vedeva fluttuare dalla mano di Louise a quella di Malakhai.»
«Trucchi. Fili e roba del genere.»
«Ma Malakhai sapeva anche ispirare terrore. Mandava Louise tra la folla. Più tardi la gente del pubblico giurava di averla sentita passare, il fruscio del vestito, la corrente d'aria.»
«Come ci riusciva? Che tipo di trucchi usava?»
«Niente di tangibile, di concreto. Convinceva il pubblico dell'esistenza di Louise.»
«Tutto il pubblico?»
«In realtà è più facile quando c'è molta gente. Dall'ipnosi di massa alla psicosi, quanti più sono, meglio è. Si possono fare un'infinità di cose con una grande quantità di energia…»
«Ma nessuno l'ha vista davvero?»
«Lui la descriveva in modo così efficace che riesco a vederla ancora adesso. Portava il vestito che indossava quando morì. Era blu.»
«Com'è morta?»
«Nessuno lo sa. Fa parte del mistero di Louise. Alcuni dicono che sia stato Malakhai a ucciderla. Altre voci dicono che sia stata uccisa perché era una spia. Tutto molto romantico. Quando avevo la tua età ero innamorato di Louise.»
«Allora era pazzo quanto Malakhai.»
«Credo di sì. E hai detto bene… Malakhai è impazzito. È veramente sorprendente quello che la gente fa per amore… per conservarlo, ucciderlo, vendicarlo. Alcuni muoiono, per amore.»
Charles pensò a quello che aveva fatto Amanda. "Taglialo, strappalo da me", aveva detto al chirurgo, lei che adorava i bambini.
«Ne deduco» disse il bambino che aveva davanti, «che innamorarsi non sia l'aspetto più bello del diventare adulti.»
Charles sorrise. «Anche l'amore per un bambino può portare a comportamenti estremi. Le cose che la gente fa per i propri figli…»
«Oppure ai propri figli.»
Charles annuì.
Justin era stato maltrattato? Quale era l'origine dello sguardo di mutuo riconoscimento che era balenato tra lui e Mallory? Quei due avevano qualcosa in comune.
Ma anche lui, Charles, aveva qualcosa in comune con il ragazzino: Justin Riccalo non parlava come un bambino. Entrambi erano cresciuti circondati da adulti.
Individuò il vecchio giradischi e si chinò a togliere il grosso della polvere. Dov'erano i dischi?
Ah, eccoli.
Tirò fuori la cassa di vecchi album da sotto un tavolo, e cominciò a esaminarli. Il ragazzo gli gironzolava attorno, perennemente inquieto.
«Allora, Justin, quando non ci sono in giro matite volanti, come va con la tua matrigna?»
«Non la conosco molto bene.»
«Pensavo che la tua matrigna conoscesse tuo padre da molto tempo.»
«Credo che un tempo lavorassero insieme. Non ne sono sicuro. Forse a quel tempo mia madre era ancora viva. Non conoscevo bene neanche lei.»
«Come?»
«Ero quasi sempre a scuola. Fin da quando avevo quattro anni, i miei genitori mi iscrissero a una scuola speciale. Spesso non torno a casa prima delle otto o le nove. Come faceva Malakhai a far credere a quelle persone che Louise le avesse toccate?»
«Il pubblico se ne convinceva da solo.»
«Crede possibile che la stessa cosa accada alla mia matrigna, con le matite?»
«L'immaginazione non fa tutto da sola. Subentra a completare l'effetto del trucco.»
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