Carol O'Connell - Amanda È Morta Nel Parco

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Il cadavere di una donna dalle mani spappolate viene ritrovato al Central Park di Manhattan. In assenza di impronte e di documenti il detective Palanski identifica la vittima in base al nome sull'etichetta della giacca: è Cathy Mallory, geniale e irriducibile cane sciolto della sezione Crimini Speciali della Polizia di New York, recentemente sospesa dal servizio per motivi disciplinari. Quando il notiziario di mezzogiorno la informa della propria morte, Mallory si getta nelle indagini con foga. E scopre che la vittima è in realtà Amanda Bosh, venticinquenne da tempo coinvolta nella relazione con un facoltoso uomo sposato. Per stanare l'assassino Mallory è pronta a tutto, persino a trasformarsi in un vera e propria esca umana.

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Bene, aveva tutti gli ingredienti della follia di Malakhai. La musica, il profumo, la solitudine.

Sì, poteva farcela.

Accese una delle sigarette di Riker e la posò sul posacenere. Si concentrò sul volto di Amanda, ricreando l'immagine che aveva composto nell'ufficio di Mallory. Adesso gli occhi di Amanda Bosch erano fissi nei suoi. C'era mistero in quegli occhi, e un profondo senso di perdita.

Cercò le note del Concerto di Louise.

Era un bambino di sette anni la prima volta che aveva udito il pezzo, in sottofondo alla messa in scena folle e magica allestita da Malakhai per Louise morta. Il cugino Max lo aveva portato allo spettacolo come regalo per il suo compleanno.

Avevano raggiunto i loro posti alla luce tremolante delle candele ai piedi del palco. La bacchetta del direttore d'orchestra si stava alzando quando si sistemarono nelle poltroncine di velluto rosso.

La musica lo aveva avvolto, potente e misteriosa, per spezzarsi a un tratto, nel modo più inaspettato, aprendo una voragine vuota e sanguinante che aveva inghiottito gli ascoltatori improvvisamente angosciati. Era uno spazio vacante che l'orecchio si affrettava a riempire con gli echi del ritornello, udibili solo nella mente, per cancellare quel silenzio terribile, insopportabile.

Ma poi la musica era tornata a sgorgare, li aveva inondati, restituendoli a se stessi purificati dall'attraversamento del vuoto.

Il sipario si era alzato. Malakhai aveva creato Louise sul palco, una presenza tangibile, reale. Poi l'aveva mandata tra il pubblico. Per un lungo attimo il profumo di gardenia aveva aleggiato fra le poltrone.

Poi, nel vuoto, nel ricorrente silenzio che gli ascoltatori riempivano di magiche note fantasma, si era levato il grido di una donna.

Molto tempo dopo che la sala si era svuotata, il cugino Max era ancora seduto in prima fila, intento a stringere la mano di un bambino spaventato a morte.

Una volta Max gli aveva detto che la musica migliore seguiva il ritmo naturale del cuore. Come il Concerto di Louise. Charles sedette per un tempo imprecisato, ricordando e ascoltando, prima di sentire di aver ricreato la musica, nota per nota, proprio come l'aveva udita quella prima sera tanto tempo addietro.

Accese un'altra sigaretta per sostituire la prima, di cui era rimasto solo un tizzone scuro. Charles aspirò il profumo delle rose.

Forse il profumo era stato un errore. L'aroma nella bottiglietta dorata che aveva recuperato in cantina era alterato dal passare degli anni. Sapeva di boccioli appassiti molto prima della nascita di Amanda.

Le melodie del concerto si dispiegavano nella sua mente vividamente, cammini pieni di tristezza, e poi… Amanda.

Era un'immagine a due dimensioni, come una fotografia, ma infusa dell'energia palpabile di lei. Aggiunse un po' di luce ai teneri occhi azzurri, e le donò lo splendore dei capelli dorati di Mallory.

Era pronto.

Si sporse in avanti. «Amanda?»

L'immagine chinò la testa in segno di assenso. Sembrava un foglio di carta piegato arbitrariamente, un goffo tentativo di animare l'immagine piatta di una donna morta.

«Perché ti hanno uccisa, Amanda?»

Lei rispose con la voce di Mallory. Charles l'aveva creata prendendo solo la seta di Mallory, lasciando da parte il suo sarcasmo. «Lui mi ha mentito.»

C'era una ferita nel suo sguardo, come se Charles fosse stato troppo diretto, troppo precipitoso. Gli occhi azzurri si appannarono, e Amanda scomparve.

«Sono così spiacente» disse Charles rivolto al nulla. Il suo patetico tentativo era fallito miseramente.

Rimise il tappo alla bottiglia di profumo, ma l'olezzo di morte delle rose assassinate restò sospeso nell'aria. Quando passò nelle altre stanze, quell'odore lo seguì. E quando fu nel suo letto, più vulnerabile, con le mani e i piedi legati dal sonno, Amanda tornò.

Per tutta la notte assistette all'uccisione di tenere, freschissime rose.

Capitolo Quarto

23 dicembre

Per un minuto buono, Charles Butler era rimasto accanto alla porta, ascoltando lo scalpiccio nel corridoio esterno. Dai passi leggeri che andavano e venivano, capì che si trattava di un bambino. Ed esattamente in quel momento, grazie a una combinazione di udito finissimo e sensibilità zen, distinse il suono di qualcuno che spostava il peso da una gamba all'altra. Aspettò con educazione che il visitatore superasse le sue esitazioni e suonasse il campanello.

Charles aprì la porta con il sorriso pronto, un sorriso sincero, dato che i bambini gli piacevano.

«Ciao. Sei venuto in anticipo.» Un'ora prima.

«Sì» disse Justin Riccalo, dondolandosi sui talloni. «Devo incontrare qui i miei genitori. La mia lezione di piano è stata annullata, e non sapevo dove andare.»

Perché non a casa sua? Forse là non si sentiva più il benvenuto?

Come se gli avesse letto nel pensiero, il ragazzo aggiunse: «Non ho le chiavi di casa. Posso andare da qualche altra parte. Mi dispiace…».

«Non devi scusarti. Stavo giusto scendendo nel seminterrato. Mi fa piacere avere compagnia. Ti piacciono i trucchi magici?»

La risposta di Justin non fu quella che si era immaginato. Il dondolio cessò.

«Se mi piacciono i trucchi? Signor Butler, questo è un modo indiretto per chiedermi se so far volare una matita?»

«Niente affatto. Vieni con me. Sono sicuro che il seminterrato ti piacerà.»

Con un'alzata di spalle, il ragazzo gli fece capire che ne dubitava, ma che l'avrebbe accompagnato ugualmente. Charles chiuse a chiave la porta dell'ufficio e insieme si avviarono lungo il corridoio seguendo il cartello che indicava l'uscita e portava alla scala. Il ragazzo si voltò a guardare l'ascensore e Charles spiegò che le scale erano l'unica via d'accesso ai piani sotterranei, aggiungendo che sperava che a Justin quattro scalini non dispiacessero. Justin procedette lento e con fatica accanto a Charles, come se le sue gambe pesassero un quintale ciascuna.

A quanto pareva le scale erano una novità per quel ragazzino. Quando la porta si aprì su una scala a chiocciola di ferro nero, Justin si afferrò al corrimano. La luce cruda di una lampadina deformava le ombre del ferro ondulato.

«Spaventoso» disse Justin, approvando i giochi aggrovigliati di luci e ombre. «Questo vecchio palazzo mi piace.»

«Non hai ancora visto niente.»

Charles camminava davanti, seguito dal ragazzo, dal cui passo era scomparsa ogni riluttanza.

«Cosa andiamo a fare laggiù, signore? Vuole che infili due dita nel suo rilevatore di paura?»

«No, niente macchinali strani o metodi sofisticati. Le chiacchierate e qualche test scritto sono gli unici ferri del mio mestiere.»

«In che genere di soggetti è specializzato? Alieni?»

«Niente di così eccitante. Mi occupo di persone dotate di qualche talento particolare. Trovo un modo per qualificare, quantificare e applicare queste qualità… Molte persone hanno alcune aree dell'intelligenza eccezionalmente sviluppate. Prendi la mia socia, Mallory. Ha un talento naturale per l'informatica.»

«I computer sono solo congegni meccanici» disse Justin nel tono di una persona di mezz'età. «Chiunque può farne funzionare uno con un manuale di istruzioni.»

«Be', Mallory non ha bisogno di manuali. Fa cose a cui i progettisti non hanno mai pensato. Non hai idea di quello che riesce a fare con un computer.»

Un momento. Forse Mallory non era quello che si dice un buon modello per un ragazzino.

«Ma il talento della sua socia ha già un'applicazione.»

«Sì. Nella maggior parte dei casi esamino persone il cui talento non ha alcun campo di applicazione apparente e identifico un modo di valorizzarlo. Poi trovo loro un posto in un progetto di ricerca. Sembra noioso, vero?»

«D'accordo, signor Butler. Vuole cominciare senza i miei genitori?»

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