Iain Banks - Complicità

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Cameron, reporter del Caledonian e maniaco di computer game, si mette sulle tracce di un nemico crudele, un uomo solo che si erge a giudice, giuria e boia di tutti coloro che hanno commesso un errore troppo grave per essere perdonato. Quale oscura complicità lega Cameron all’inafferrabile serial-killer?

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Dieci minuti dopo sono inginocchiato sul letto, piegato all’indietro, con le gambe larghe e i polsi legati alle caviglie con legacci di seta; il cazzo, così duro da farmi male, rizzato davanti a me, è assolutamente rampante, ma anche stranamente vulnerabile. Sto ansimando, mi fanno male i muscoli; basterebbe uno spiffero d’aria sul cazzo per venire. Lei intanto stringe l’ultimo, inutile, legaccio e mi scivola accanto, mi passa davanti; è così voluttuosamente magra, tonica e muscolosa, ma morbida e umida al contempo, che ormai non gemo più. Sento che mi viene da ridere, e rido, con gli occhi rivolti al soffitto, e sento il peso dell’uccello congestionato che ballonzola di qua e di là al ritmo della risata. Lei scende dal letto, prende il telecomando e annuncia che vuole guardare una soap opera intitolata Eldorado. Mi metto a urlare e lei ride mentre il Trinitron si accende con un clic e lei alza il volume per soffocare le mie urla: rimango lì, in preda al dolore che si sta facendo quasi insopportabile, con lei che se ne sta seduta nella posizione del loto, ridacchiando e facendo finta di essere molto interessata a quella soap di merda. Sono costretto a trascinarmi lentamente all’indietro, sulle ginocchia e sulle caviglie, per un metro o giù di lì, finché non arrivo ai cuscini e alla testiera dove posso appoggiare le spalle doloranti e togliere un po’ di peso da tutti i muscoli del corpo, così almeno mi pare.

Immobilizzato e costretto a sorbirmi quella stronzata, dopo cinque minuti anche il mio cazzo cede e comincia ad ammosciarsi, ma lei si gira e, veloce e leggera, lo sfiora con la punta della lingua. La imploro di succhiarmelo, lei però si volta dall’altra parte e si rimette a guardare la televisione. Mi divincolo e tiro, ma mi ha legato troppo stretto, e ora le ginocchia mi fanno davvero male. Cerco di farla ragionare. «Senti, ora mi fa veramente troppo male», le dico; lei continua a ignorarmi. Ogni tanto si limita a controllare lo stato della mia erezione, e a darmi leccate o succhiatine velocissime, ardenti e terribilmente frustranti, oppure un solo colpetto con due dita inumidite di saliva; non posso fare altro che urlare per la frustrazione, il desiderio e il dolore, tutti in eguale e immensa misura, quando, se Dio vuole, finalmente, grazie al cielo, ’sta coproduzione anglo-americana di merda finisce, parte la musica e scorrono i titoli di coda. A questo punto, però, lei passa su MTV. Non è ancora finita! ’Sta stronza, che si diverte a stuzzicarmi e a tormentarmi, si alza dal letto ed esce dalla stanza. Sono così sorpreso che non riesco neppure a parlare: me ne resto lì, con la bocca aperta e l’uccello in resta. Sono così arrabbiato che cerco sugli elementi componibili di fianco al letto un qualche oggetto da rompere per procurarmi qualcosa di tagliente con cui recidere i legacci. Ho quasi deciso per il piano di cristallo che si trova di fianco al letto dalla sua parte — piano sul quale si trova ancora un bicchiere con un dito di vino rosso —, quando lei ritorna nella stanza, con un bicchiere scintillante in una mano, una tazza fumante nell’altra e un sorrisetto divertito sulle labbra. So che cos’ha intenzione di fare e comincio a implorarla. «No, ti prego; lasciami andare, mi fanno male le braccia, le gambe, le ginocchia; non potrò mai più camminare, ti prego, ti prego!» Tutto inutile; s’inginocchia davanti a me, si porta il bicchiere alle labbra e, lanciandomi un’occhiata divertita, si fa scivolare in bocca un cubetto di ghiaccio… poi abbassa la bocca sul cazzo.

Arriva quindi la volta del caffè bollente, ma solo per poco: non è ancora abbastanza: di nuovo il ghiaccio, poi il caffè, e poi il ghiaccio. A questo punto sto davvero piangendo, per il dolore, il desiderio e l’insopportabile frustrazione; sto piangendo e implorando, la sto supplicando di smetterla, quando, finalmente, lei sputa via l’ultimo cubetto di ghiaccio, posa bicchiere e tazza di fianco al bicchiere di vino, avanza e mi monta a cavalcioni, facendomi scivolare dentro di lei velocemente e senza difficoltà; è ancora più calda del caffè, tanto calda da scottarmi, da bruciarmi. Faccio un piccolo «Ah» di sorpresa, mentre lei si muove su e giù, mi mette le dita sulla gola e porta l’altra mano dietro di sé, a toccarmi le palle, e improvvisamente sto venendo, piangendo e singhiozzando, scosso dagli spasmi, lei s’immobilizza e sussurra: «Tesoro, tesoro». Spingo e pompo come un matto e i movimenti rendono il dolore alle giunture delle gambe e delle braccia insopportabile e gradevole al tempo stesso.

I legacci sono diventati troppo stretti per riuscire a scioglierli; è costretta a tagliarli con la lama scintillante del coltello da caccia che tiene sotto il materasso dalla sua parte, nel caso che le entrasse in casa qualche stupratore.

Rimango sdraiato, circondato dalle sue braccia, ansimante, stremato, esausto; mentre il dolore dei muscoli e delle ossa gradualmente si attenua e le lacrime sul mio viso si asciugano, lei mormora: «Com’è statò?»

«Fottutamente geniale», sussurro.

La mattina seguente arrivo al giornale di buon’ora, con il computer nuovo, tutto felice dopo la mia volata a Cumbernauld e la mia serata con Y (il mio nuovo computer supersexy non l’ha affatto impressionata; non tutti però sono maniaci del computer e, se dovessi scegliere chi tenere in grembo, se lei o lui, sceglierei lei) dopo la quale sono tornato a Cheyne Street; Y vuole che me ne vada prima che si faccia troppo tardi, perché è preoccupata che i vicini del loro residence superchic s’impiccino. Ero così stanco che, anche se morivo dalla voglia di provare il nuovo laptop e assicurarmi che Despot girasse bene (finalmente un portatile! Gioia orgasmica e straordinaria!), mi sono addormentato sul divano; a un certo punto della notte, sono riuscito a trascinarmi fino al letto e, una volta tanto, a farmi una bella nottata di sonno. Mi alzo all’alba, o poco dopo, per una volta arrivo in ufficio leggermente in anticipo e, come entro, vedo Frank davanti alla reception; sto per mostrargli il mio nuovo giocattolo, ma lui mi guarda, preoccupato, mi prende da parte, mi porta in un angolo e mi dice: «Cameron, Eddie vuole vederti. Ci sono un paio di poliziotti su da lui».

«Cosa c’è?» chiedo, ridendo. «Ancora il Fettesgate?» Fettesgate è il nome dato a un piccolo scandalo che ha coinvolto la polizia del Lothian: un gay, convinto di essere stato vittima di un sopruso, era riuscito a entrare (con imbarazzante facilità) nel quartier generale della polizia di Fettes, trovando, e fotocopiando, un sacco di materiale compromettente.

«No», risponde Frank. «Non ha niente a che fare con quello, pare. Hanno chiesto di te.»

«Di me?»

«Sì. Espressamente di te.»

«Sai chi sono?»

«No.»

«Hmm.» Conosco parecchi poliziotti, alcuni anche in posizioni importanti, come conosco avvocati, dottori, politici e funzionari in un sacco di enti pubblici. Niente per la quale. «Non riesco a immaginare perché», sbotto, stringendomi nelle spalle. «Hai idea di che si tratti?»

Frank sembra a disagio. Lancia un’occhiata in direzione del portiere, seduto dietro al bancone poco lontano da noi, e si volta per dargli la schiena. Avvicina la testa alla mia e mormora: «Be’, Morag ha sentito qualcosa di quello che si dicevano attraverso l’interfono…»

Porto una mano alla bocca e faccio una risatina. Ero sicuro che la segretaria di Eddie lo spiasse. Fino ad adesso, però, non sapevo che si confidasse con Frank.

«Cameron», dice Frank, abbassando ancora di più il tono di voce, «pare che stiano facendo indagini su alcuni omicidi.»

FIAMMA LIBERA

La Mercedes station wagon scende borbottando il vialetto, entrando nelle pozzanghere scure che si sono formate sotto gli alberi grondanti d’acqua. Si ferma vicino al cottage immerso nel buio. Non appena si spengono i fari, tu accendi il visore notturno. Lui scende dalla macchina portando un grosso borsone da viaggio in pelle e si avvia verso l’ingresso della casa. È quasi completamente calvo, di corporatura media, anche se ha la pancia e il viso piuttosto grassi. Lo osservi mentre apre la porta. Poi entra, accende la luce nell’ingresso e chiude la porta. Senti l’allarme suonare brevemente prima che lui lo disinserisca. La pioggia scende fitta, e grosse gocce pesanti cadono dalle fronde degli alberi con piccoli tonfi sordi. Si accende una luce nella cucina, sul retro del cottage.

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