«Ha venduto qualche quadro di recente?» domandò Michelle.
«Due, entrambi a un collezionista della Pennsylvania che si dà il caso sia come me un figurante nelle rappresentazioni storiche. Solo che combatte per i nordisti, ma non gliene faccio una colpa. I soldi sono soldi, dopotutto.»
«Una volta mi piacerebbe vedere le tue opere» disse King. Michelle espresse lo stesso desiderio.
«Be’, ho tutti i quadri nello studio dietro casa. Fatemi uno squillo di telefono quando volete. Sarò lieto di farveli vedere.» Eddie fece un cenno al cameriere. «Sembrate assetati, e, come direbbe mia madre, è cattiva educazione oltre che una vergogna bere da soli.»
Mentre aspettavano i cocktail, Eddie disse: «Allora, avete risolto il caso e scagionato Junior Deaver?». Si interruppe un secondo e poi aggiunse: «Benché immagino che non possiate dirmelo. Mi sa tanto che siamo praticamente su fronti opposti».
«Non è un caso facile» disse King. «Vedremo.»
Arrivarono i drink. King assaggiò il suo whisky sour e poi disse: «E tua madre come va?».
Eddie controllò l’orologio. «Al momento è all’ospedale, ma sono quasi le dieci, perciò da un momento all’altro la butteranno fuori dalla camera di papà. Però probabilmente dormirà là. Di solito lo fa.»
«Qual è la prognosi per tuo padre?»
«Attualmente ci sono buone speranze. I medici ritengono che il peggio sia passato.»
«Questa sì che è una bella notizia» esclamò Michelle.
Eddie ingerì un sorso del suo drink. «Deve farcela. Deve.» Li fissò entrambi. «Non so se mamma sopravvivrebbe alla sua morte. E se da un lato la morte è un destino comune, non me lo vedo che si allontana a cavallo verso il tramonto proprio adesso.» Eddie abbassò gli occhi, imbarazzato. «Scusate, troppi gin e comincio a sembrare un po’ convenzionale. Probabilmente è il motivo per cui bere da soli con i propri problemi non è mai una buona idea.»
«Giusto a proposito del bere da soli, dov’è Dorothea?» domandò Michelle.
«A qualche cerimonia» disse Eddie annoiato. Poi si affrettò ad aggiungere: «Un agente immobiliare deve sottomettersi a tutte quelle stronzate. Ma è indubbio che abbia successo nel suo campo».
«È vero, Dorothea ha fatto una bella carriera» commentò King in tono pacato.
Eddie alzò il bicchiere. «A Dorothea, il più grande agente immobiliare del mondo.»
Michelle e King si scambiarono un’occhiata piena di imbarazzo.
Eddie abbassò il bicchiere. «Sentite, lei nella vita si è affermata a modo suo e io a modo mio. C’è un certo equilibrio in questo.»
«Non avete figli?» domandò Michelle.
«Dorothea non ne ha mai voluti, perciò direi che la questione non si è mai posta.» Eddie alzò le spalle. «Chissà, forse neanch’io li ho mai voluti veramente. Probabilmente sarei stato un padre orrendo.»
Michelle disse: «Avrebbe potuto insegnare ai suoi figli a dipingere e ad andare a cavallo, e forse anche loro avrebbero fatto i figuranti nelle rievocazioni storiche».
«E poi potresti ancora avere dei figli» aggiunse King.
«Dovrei cercarmi un’altra moglie» scherzò Eddie con un sorriso rassegnato «e non credo proprio di averne l’energia. Per di più i Battle per tradizione non divorziano mai. È sconveniente. Diavolo, se non mi ammazzasse Dorothea, probabilmente lo farebbe mia madre.»
«Che diamine, la vita è solo sua» commentò Michelle.
Eddie la fissò con un’espressione strana. «Crede davvero?» Finì il suo drink e disse: «Ho sentito al telegiornale che hanno chiamato i pezzi grossi per dare una mano nelle indagini».
«Compreso il suo vecchio amico Chip Bailey.»
«Se non fosse per lui non sarei qui.»
«Sono sicura che i suoi genitori gli sono molto riconoscenti.»
«Oh, sì. Mio padre all’epoca gli offrì un posto di direttore della sicurezza in una delle sue aziende. Con un lauto stipendio.»
«Non lo sapevo» disse King. «Ma è evidente che Bailey non accettò.»
«No. Suppongo gli piaccia fare il poliziotto.» Eddie batté un paio di volte il cucchiaio sulla forchetta. «Quando ero bambino in questa regione non c’era nient’altro che boschi e colline. Era stupendo. Non ci preoccupavamo mai che succedesse qualcosa di brutto.»
«E adesso?» chiese Michelle.
«E adesso la gente viene assassinata in casa sua, abbandonata morta nei boschi, uccisa a fucilate in auto. Se mai avessi avuto una famiglia, non credo che avrei allevato i miei figli qui.»
«Be’, immagino che tu possa benissimo vivere altrove» disse King. «Puoi andare dove ti pare.»
«Non credo che mia madre sarebbe contenta.»
«Scusi se insisto, Eddie, ma è la sua vita, giusto?» disse Michelle.
Stavolta Eddie Battle non si scomodò a risponderle.
Mentre Kyle Montgomery stava commettendo il suo crimine e Eddie, King e Michelle erano nel bar, Bobby Battle giaceva nel suo letto d’ospedale collegato a un groviglio di cannule. Remmy Battle gli era seduta vicino, con la mano destra a stringere quella, ancora pallida, di suo marito.
Gli occhi di Remmy non lasciavano i monitor che registravano il tenue legame che Bobby aveva con la vita. Quella sera aveva avuto una ricaduta e di nuovo aveva avuto bisogno del respiratore. La macchina emetteva il suo acuto stridio ogni volta che il suo respiro deviava dalla regolare sequenza di inspirazione ed espirazione. La stessa respirazione di Remmy aumentava e diminuiva irregolarmente in base allo squittio dell’apparecchio.
Entrò l’infermiera. «Buonasera, signora Battle, tutto bene?»
«Per niente!» ribatté brusca Remmy. «Non mi riconosce. Non riconosce nessuno.»
«Ma si sta riprendendo, lo hanno detto i medici. È solo questione di tempo. Le sue funzioni vitali sono migliorate molto. Anche se è tornato ad avere bisogno del respiratore, le cose vanno al meglio, davvero.»
Il tono di Remmy cambiò. «Grazie delle buone parole. Lo apprezzo molto, cara.» Tornò con lo sguardo all’uomo robusto disteso nel letto.
L’infermiera le rivolse un sorriso e poi parve a disagio. «Signora Battle…» esordì in un tono deferente indubbiamente riservato ai pochi fortunati che avevano il privilegio di avere i loro nomi sulla targa dei benefattori dell’ospedale.
«Lo so» disse Remmy in tono tranquillo.
«Ha intenzione di dormire qui stanotte?» domandò l’infermiera. «Nel caso, le faccio subito preparare il letto.»
«Stanotte no. Tornerò domattina presto. Ma grazie lo stesso.»
Remmy si alzò e se ne andò. L’infermiera eseguì un controllo rapido sul suo paziente e uscì dalla stanza pochi minuti dopo.
Battle era l’unico degente di quel reparto privato, in cui il breve corridoio sul quale si apriva la sua camera metteva in comunicazione con magazzini e ripostigli. Il resto dei dieci letti di cui disponeva il reparto era in comunicazione con una zona centrale di fronte alla postazione dell’infermiera di turno. Remmy Battle aveva fatto espressa richiesta di quella particolare camera singola per suo marito perché permetteva una maggiore privacy. In fondo al corridoio c’era anche un’entrata posteriore, accessibile con uno speciale codice, dalla quale poteva andare e venire senza dover passare davanti a un gran numero di stanze, infermiere e sguardi indiscreti. La stanza in cui a volte dormiva era in fondo a quel corridoio, a pochi passi da suo marito.
Erano trascorse da poco le dieci e in quella parte dell’ospedale, isolata dal resto, stava per verificarsi il consueto cambio di turno del personale per la notte. L’infermiera addetta a Battle avrebbe trascorso i successivi quarantacinque minuti nella saletta di reparto con la sua sostituta, a controllare le condizioni dei vari pazienti sotto la sua supervisione, oltre alle relative somministrazioni di farmaci e alle istruzioni dei medici.
Читать дальше