«Ce l’hai?» chiese la donna con una voce talmente bassa che Kyle riusciva a malapena a sentirla.
Kyle annuì. «Certo, le ho qui con me. Tutta la roba che ti piace.» Affondò la mano nella tasca del giaccone e tirò fuori i sacchettini di cellophane. Li alzò e li fece ondeggiare davanti a sé come un bambino orgoglioso di mostrare un uccellino morto alla mamma.
Come sempre, la donna indossava un vestito lungo di stoffa leggera e fluttuante e un ampio foulard avvolto a turbante intorno alla testa. I suoi occhi erano nascosti da un paio di occhiali da sole, nonostante la stanza fosse scarsamente illuminata. Ovviamente non voleva essere riconosciuta. Kyle si era spesso domandato chi fosse, ma non aveva mai trovato il coraggio per chiederlo. La voce gli sembrava familiare, ma non riusciva assolutamente a collegarla a un volto.
Una sera aveva trovato sul sedile della sua Jeep un biglietto che diceva che se desiderava guadagnare un po’ di soldi extra poteva telefonare al numero segnato in calce al biglietto. Be’, chi non voleva cuccarsi un po’ di contanti in più? Aveva risposto affermativamente e gli era stato detto che la piccola farmacia che Sylvia teneva nel suo studio medico poteva essere per lui una fonte di reddito assai lucrosa. Forti analgesici e altre droghe potenzialmente allucinogene erano in cima alla lista dell’acquirente. Senza che alcuno scrupolo lo ostacolasse, Kyle aveva accettato di prendere in considerazione l’affare, aveva studiato a casa il modo migliore per accedere liberamente a quella potenziale miniera d’oro e aveva concluso che la cosa era fattibile. Dopo essersi accordati, le consegne erano iniziate e lui aveva aumentato significativamente le sue entrate.
Il vestito lungo non nascondeva completamente la figura aggraziata della donna che aveva davanti. L’ambiente riservato, il letto in un angolo della stanza e il fatto che si trovassero in uno strip club eccitava e faceva sempre aumentare la pressione sanguigna di Kyle. In una fantasia ricorrente si vedeva entrare con passo deciso nella stanza, molto più alto, muscoloso e virile di ciò che era in realtà. Tirava fuori le pastigliette come stava facendo in quel momento, ma quando lei si avvicinava per prenderle in consegna la afferrava, cingendole la vita con un braccio, la sollevava di peso, ridendosela della debole resistenza che lei gli opponeva, e la sbatteva brutalmente sul letto. Poi le si gettava addosso famelico e soddisfaceva le proprie voglie per tutta la notte. La sua ferocia sessuale sarebbe aumentata proporzionalmente agli strilli della sconosciuta, fino a quando finalmente lei gli avrebbe urlato in un orecchio che lo voleva. Voleva lui , voleva il Grande Kyle, alla follia.
Persino in quel momento sentiva un rigonfiamento nei pantaloni, semplicemente immaginandosi quella scena che si ripresentava per l’ennesima volta nella sua mente. Si domandò se avrebbe mai avuto davvero il coraggio di esibirsi in un’interpretazione del genere. Ne dubitava. Era fin troppo vigliacco. L’avvenente sconosciuta depose il mucchietto di banconote sul tavolo e prese i sacchettini di cellophane, dopo di che gli fece cenno di andarsene.
Kyle obbedì immediatamente, piegando a metà la mazzetta di soldi e infilandosela in tasca con un largo sorriso.
Si sarebbe reso conto soltanto in seguito che qualcosa che aveva visto di sfuggita aveva un enorme significato, in primo luogo perché non aveva senso. E alla fine lo avrebbe spinto a porsi una domanda. E a un certo punto quell’interrogativo lo avrebbe portato all’azione. Per ora l’unica cosa che si chiedeva era che cosa fare con i soldi appena intascati. Kyle Montgomery non era di certo un risparmiatore; era molto più che uno spendaccione. Un’immediata gratificazione era un vero stile di vita per lui. Una nuova chitarra, forse? Oppure un nuovo televisore, compreso un bel lettore multiplo CD-DVD per il suo appartamentino? Ora che ebbe fatto ritorno alla Jeep e innestato la marcia, la chitarra nuova aveva vinto. L’avrebbe ordinata l’indomani stesso.
Nella stanza al primo piano dell’Aphrodisiac la donna chiuse la porta, si tolse il turbante e gli occhiali da sole. Levò le scarpe e poi si tolse il vestito, rivelando la camicetta di seta che indossava sotto. Esaminò le etichette sui sacchettini di cellophane, estrasse una pastiglietta da uno di essi, la frantumò sminuzzandola bene e ingerì la polverina con un sorso di acqua seguito da un bicchiere di rinforzo di Bombay Sapphire liscio.
Accese un po’ di musica, si stese supina sul letto, incrociò le braccia e lasciò che la polverina del potente medicinale la spedisse in un altro posto, un posto in cui avrebbe potuto, almeno per qualche breve istante, essere felice. Fino all’indomani cioè, quando la realtà della sua vita sarebbe tornata a investirla.
Fu scossa da brividi, fremette, si dibatté, gemette e poi giacque immobile. Il sudore le sgorgava da ogni singolo poro del corpo mentre le pareva di raggiungere di slancio l’altezza più elevata e poi di precipitare nel basso più profondo. In uno degli spasmi carichi di calore che la sconvolgevano si strappò convulsamente la camiciola di seta impregnata di sudore e ruzzolò sul pavimento coperta solo dalle mutandine, con il respiro che le entrava e le usciva dalla gola a scatti esplosivi, i seni che sbatacchiavano l’uno contro l’altro mentre rotolava da parte a parte in una convulsione di estasi artificiale. I suoi nervi si tendevano al massimo e si rilassavano per effetto della potente mistura.
Ma era felice. Almeno fino a domani.
King terminò la sua cena in compagnia degli amici intorno alle nove e trenta e decise di telefonare a Michelle per vedere se le andava di discutere ancora un po’ del caso bevendo qualcosa con lui al Sage Gentleman. Michelle giunse in una decina di minuti. All’arrivo della sua socia, King osservò divertito quante teste maschili nel bar si erano voltate alla vista della sensazionale bruna, alta e slanciata, che stava attraversando il bar a passi decisi, con indosso un semplice paio di jeans, un dolcevita di lanetta, stivaletti e un giubbetto impermeabile del Servizio segreto. Chissà con quali fantasie erotiche si stavano trastullando, pensò. Se solo avessero saputo che era armata e pericolosa e dannatamente indipendente…
«Com’è andata la cena?» domandò Michelle.
«Prevedibilmente noiosa. E tu che mi dici del kick boxing?»
«Ho bisogno di un nuovo istruttore.»
«Cos’è successo a quello che hai?»
«Niente. Solo che non è più un avversario stimolante.»
Mentre si guardavano intorno in cerca di un tavolo nella zona bar, Michelle riconobbe una faccia familiare nell’angolo più distante da loro. «Quello là non è Eddie Battle?»
In quello stesso istante, Eddie alzò gli occhi dal piatto, li vide e fece loro un cenno d’invito.
Si sedettero al suo tavolo, su cui erano ancora presenti gli avanzi di un pasto per una sola persona.
«Dorothea non aveva voglia di mettersi ai fornelli stasera?» domandò King con un sorriso.
«Sarebbe corretto dire così. Anzi, l’espressione sarebbe giusta per la maggior parte del nostro ménage. In effetti sono io a occuparmi il più delle volte della cucina.»
«Un uomo dai molti talenti» commentò Michelle.
Eddie era vestito con un paio di pantaloni di velluto a coste e un maglione di lana nero con toppe di renna marroni sui gomiti. Michelle abbassò lo sguardo verso i piedi e vide che portava un paio di ciabatte chiuse.
«Vedo che alla fine ce l’ha fatta a togliersi gli stivali da cavalleggero sudista.»
«Non senza una bella fatica. I piedi si gonfiano in maniera pazzesca in quei cosi.»
«Quando sarà la prossima rievocazione storica?» domandò King.
«Domenica prossima. Se non altro almeno il tempo è stato clemente. Quelle uniformi di lana fanno venire un prurito d’inferno, e se fa caldo c’è da spararsi. Anche se sto prendendo in considerazione l’idea di rinunciare a questo tipo di impegni. A furia di andare a cavallo ho la schiena a pezzi.»
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