— Spero che non abbiate acconsentito.
— Non ancora. Ci ha lasciato un numero di telefono di fuori e l’ho chiamato. Ma era solo un servizio di segreteria telefonica.
— Il nome della fondazione di beneficenza, almeno quello lo ha lasciato?
— Non lo ricordo con esattezza. Qualcosa che ha a che fare con delle ricerche mediche.
— Tutta roba molto facile da inventarsi di sana pianta — fece Pemberton con aria esperta. — Voglio dire, non che io abbia esperienza in materia di frodi simili, ma so che ne succedono tutti i momenti.
— Proprio quello che pensavo anch’io. In ogni caso, John, visto che questo tizio ha detto che sarebbe rimasto nei paraggi, mi sono detto che forse è in affitto da qualche parte. Un albergo, specie di quelli buoni, fa in fretta a diventare un lusso che non ci si può permettere.
— Per cui tu vorresti che io cercassi di scoprire dove sta?
— John, non te lo chiederei se non pensassi che è importante. Con questo genere di cose, bisogna andarci con i piedi di piombo. Se si presentasse di nuovo, mi piacerebbe sapere con chi ho a che fare.
— Più che giusto. — Pemberton bevve un sorso di tè. — Nessun problema, Charlie, farò sicuramente qualche indagine. Tu sai che io sono dalla parte della signorina Savage. E anche tua, è chiaro.
— E noi ti saremo enormemente grati per l’assistenza. Ho già menzionato alla signorina Savage quegli altri istituti di beneficenza di cui mi avevi parlato. E lei ha reagito in modo molto positivo.
— Perché non mi dai subito una descrizione di quel tizio? — Pemberton sembrava sul punto di levitare. — Ho la mattinata libera, e potrei cominciare da subito a fare qualche ricerca. Se si trova entro un raggio di cinquanta chilometri, con i miei agganci stai tranquillo che te lo trovo.
— Fantastico, John. Grazie.
Trovare un parcheggio a Georgetown era come vincere alla Lotteria Nazionale. Da M Street, Thomas Donovan svoltò in Wisconsin Avenue, con gli occhi che frugavano a destra e a sinistra alla ricerca di uno spazio libero nel quale infilare la sua seconda macchina a nolo, una Chrysler ultimo modello. Per chissà quale colpo di fortuna, riuscì a trovare un posto in una strada laterale, a non troppa distanza da dove stava andando.
Una leggera pioggia scendeva sul ricco quartiere residenziale caratterizzato da torreggianti ville vittoriane di mattoni scuri e legno scavato dal tempo, i cui lindi vialetti di accesso attraversavano prati accuratamente tenuti. Era una delle molte enclavi per uomini d’affari e politicanti vari disseminate tutt’attorno al nucleo che era Washington D.C. Dietro le finestre di squisita fattura, Donovan poteva immaginare eleganti signori rilassarsi al calore del caminetto, sorseggiando whisky di marca, meritato premio dopo un’altra dura giornata passata a cercare di cambiare le sorti del mondo, o a gonfiare ulteriormente i propri traboccanti portafogli.
Da quelle ville, denaro e potere sembravano trasudare nel mondo esterno, spingendo Donovan ad allungare il passo. Denaro e potere non avevano mai fatto parte delle sue ambizioni, anche se la sua professione lo portava continuamente a stretto contatto con entrambi. E con la gente che li deteneva. Da quella sua trincea, Donovan poteva bellamente permettersi di fare la parte dell’altruista, e questo per un unico motivo: credeva in ciò che faceva. Il che dava luogo a un paradosso: senza i ricchi e i potenti, senza la loro malvagità e la loro corruzione, contro chi altri avrebbe potuto lanciare i suoi moralistici strali?
Si fermò di fronte a uno degli edifici più notevoli del quartiere, un vero e proprio castello urbano di tre piani, protetto da un muro di mattoni alto circa un metro, sormontato a sua volta da una recinzione di ferro battuto nero. Thomas Donovan aveva le chiavi di quel castello, quella della cancellata del muro esterno e quella della massiccia porta principale in legno di quercia.
La governante, in uniforme ben stirata, apparve all’istante, pronta a prendere il suo impermeabile gocciolante.
— Dico alla signora che lei è qui, signor Donovan.
Aveva parlato con il giusto grado di deferenza. Ah, le delizie dei ricchi. Donovan era di origini modeste, ma in certe occasioni non gli dispiaceva affatto crogiolarsi nell’abbraccio dorato del lusso. Cuore a sinistra, portafoglio a destra. Una contraddizione intrinseca che in gioventù gli era pesata, ma con il tempo aveva smesso di dargli fastidio. Con il tempo, i vari strati del senso di colpa finiscono sempre per venir via come gli strati di una cipolla.
Donovan passò in un elegante salotto, si soffermò di fronte al calore che emanava il caminetto acceso, infine raggiunse un mobile-bar e si versò uno scotch robusto.
— Mi sei mancato, Thomas.
La donna gli si fece accanto, fece scivolare le braccia attorno al suo collo e si esibì in un bacio appassionato. Lo invitò a sedersi su un ampio divano sistemato contro la parete. Le loro ginocchia si sfiorarono quando lei gli si accomodò vicino.
— Mi sei mancato molto.
Alicia Crane, ricca in modo non ostentato, sofisticata in modo discreto, perla dell’alta società di Washington. Vestiva abiti costosi e firmati, così come i gioielli. Nell’avvicinarsi ai quarant’anni, i capelli biondi stavano cominciando ad assumere le vaghe sfumature della cenere, incorniciando lineamenti fini e grandi occhi bruni. Non era una bellezza nel senso tradizionale, ma la raffinatezza l’aveva comunque trasformata in una presenza piacevole. In uno dei suoi giorni migliori, Alicia Crane sarebbe stata definita molto ben messa.
— Anche tu mi sei mancata, Alicia — replicò Donovan accarezzandole una guancia.
— Non mi piace che tu te ne vada chissà dove senza che io ne sappia nulla. Lo sai questo, no?
La voce di Alicia era perfettamente in linea con il resto della sua persona. Acculturata, misurata, la dizione lenta e cadenzata. Forse addirittura troppo formale per una donna ancora relativamente giovane.
Donovan le sorrise. — Andare chissà dove è uno degli incerti del mestiere, Alicia — le sorrise. — Che tu riesci a rendermi ancora più difficile.
Thomas Donovan, giornalista d’assalto, alfiere delle cause perse del proletariato, era attratto da Alicia Grane. Una donna a posto, che non si dava arie, che non aveva la spocchia di tutti quei buffoni dotati di conti in banca troppo grassi che popolavano gli altri castelli di Georgetown.
— Dimmi anche un’altra cosa, Thomas — lo sorprese lei, passandogli una mano sulla guancia liscia. — Perché ti sei rasato la barba?
— Paranoie della mezza età — ci rise sopra lui. — Gli uomini hanno la loro, di menopausa.
— Andropausa.
— Più o meno. — Donovan si grattò il mento. — Io dico che non avere più la barba mi toglie almeno dieci anni, che te ne pare?
— Con o senza, resti sempre un bell’uomo. Mi ricordi un po’ mio padre.
— È un complimento?
— È il massimo dei complimenti. Mio padre quando era giovane, naturalmente.
— Grazie per la precisazione.
— Dico a Maggie di farti preparare qualcosa per cena — disse Alicia prendendogli una mano tra le sue.
— Ti ringrazio. E dopo, in tutta franchezza, un bagno caldo non ci starebbe male.
— Naturalmente. Odio la pioggia d’autunno. — Alicia esitò. — Quando dovrai ritornare al lavoro? Pensavo che potremmo fare una scappata alle Bahama. Il tempo laggiù è splendido in questa stagione.
— È una bellissima idea… Ma non è possibile. Da domani sono di nuovo in pista.
Lei guardò altrove, chiaramente delusa. — Capisco.
— Alicia, oggi c’è stato uno sviluppo notevole. — Donovan le baciò la fronte. — Uno sviluppo che davvero non mi aspettavo. Da parte mia, è stato un rischio. Che però è valsa la pena di correre.
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