David Baldacci - Il biglietto vincente

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l destino sembra sorridere a LuAnn, giovane disoccupata: il misterioso signor Jackson le offre infatti il biglietto vincente di una lotteria che vale milioni di dollari. Ma prima di riuscire a godere della sua grande occasione, la ragazza trova a casa il cadavere del suo uomo in un lago di sangue e si scopre braccata dalla polizia, preda di una trappola mortale.
Un intrigo micidiale, costruito come un congegno a orologeria.

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Non avevano più avuto alcun contatto con Jackson. Quasi certamente lui sapeva che Charlie era andato con loro, ed era stata una fortuna che lo avesse fatto. La sua vasta esperienza di viaggi aveva tirato LuAnn e Lisa fuori da parecchi guai, anche grossi. E ancora adesso, dopo dieci anni, senza Charlie LuAnn sarebbe stata perduta. Purtroppo Charlie era invecchiato, e LuAnn prima o poi avrebbe perso l’unico altro essere umano con cui condivideva il suo segreto, che voleva incondizionatamente bene a Lisa e a lei e che non si sarebbe fermato di fronte a nulla pur di proteggerle. E quando al suo posto ci fosse stato un vuoto…

LuAnn trasse un profondo respiro. Ce l’aveva messa tutta per consolidare il passato fittizio creato da Jackson per loro. La parte più dura, inevitabilmente, riguardava Lisa. Le aveva fatto credere che suo padre era stato un ricchissimo finanziere europeo scomparso quando lei era ancora in tenera età. E se non esistevano fotografie del facoltoso signor Savage era perché aveva condotto una vita estremamente riservata, quasi da recluso. LuAnn e Charlie avevano discusso a lungo se creare un signor Savage, fotografie finte, lettere finte, tutto finto, ma alla fine avevano deciso di non farne niente perché sarebbe stato troppo pericoloso: qualcosa sarebbe fatalmente rimasto fuori, qualcosa che avrebbe potuto rivelarsi una bomba a scoppio ritardato. Per Charlie, il cui legame di parentela non era mai stato chiaramente definito, l’etichetta di zio aveva calzato a pennello. Così Lisa continuava a essere convinta che sua madre fosse la giovane vedova di quello che era stato un uomo incommensurabilmente ricco, la cui precoce dipartita aveva reso LuAnn una donna incommensurabilmente ricca. E altrettanto generosa.

A Beth, la sua amica cameriera della tavola calda per camionisti, LuAnn aveva fatto pervenire abbastanza soldi da permetterle di aprire una sua catena di ristoranti. Johnny Jarvis, il commesso del centro commerciale di Rikersville, aveva ricevuto fondi per permettersi di conseguire svariate lauree nelle più prestigiose università. I genitori di Duane Harvey non avrebbero avuto il minimo problema finanziario per la loro vecchiaia. In una sorta di ammissione di colpa per averle rovinato la reputazione nell’unico posto in cui aveva l’ambizione o il coraggio di vivere, LuAnn aveva mandato soldi perfino a Shirley Watson. Infine, sulla tomba di Joy, sua madre, era sorto un imponente monumento funerario. La polizia, e forse anche l’Fbi, doveva averle provate tutte per arrivare fino a lei seguendo quelle tracce. Di questo LuAnn era sicura. Ma Jackson, con fredda intelligenza e scaltra lungimiranza, aveva nascosto i soldi dove nessuno sarebbe mai stato in grado di trovarli.

Nelle sue elargizioni LuAnn non si era fermata a Rikersville. Essendo fermamente determinata a fare del bene, per espiare il modo con cui era diventata così ricca, la metà del suoi proventi annui, ottenuti esclusivamente da interessi e investimenti del capitale iniziale, erano stati devoluti a una serie di organizzazioni benefiche scelte insieme a Charlie. In qualche modo, il denaro della Lotteria Nazionale doveva ritrovare la strada di casa, ovvero le povere tasche di chi, di fatto, alimentava quelle colossali vincite. Ciononostante, le entrate erano di gran lunga più rapide e più monumentali delle uscite. La stima iniziale di Jackson, venticinque milioni di dollari all’anno di profitti, si era rivelata fin troppo cauta. Le entrate avevano continuato ad aggirarsi intorno ai quaranta milioni di dollari all’anno. Tutti i soldi che LuAnn non aveva speso erano stati puntualmente reinvestiti da Jackson. Al momento, LuAnn aveva beni per mezzo miliardo di dollari intestati a suo nome. Era una somma di fronte alla quale la sua mente vacillava.

Nel corso di quei dieci anni, a qualsiasi latitudine del mondo lei si trovasse, gli estratti conto che descrivevano l’accrescersi della sua fortuna l’avevano raggiunta con estrema puntualità. Buste sigillate, bilanci farciti di cifre, percentuali e numeri con molti zeri, ma Jackson non si era mai fatto vivo di persona. Il che era un bene. LuAnn non sapeva quali fossero i rapporti di Jackson con la società finanziaria con sede in Svizzera dalla quale provenivano le buste, e nemmeno le interessava saperlo. Aveva visto abbastanza di lui da essere rispettosa della sua evanescenza. E ben sapeva di che cosa quell’uomo poteva essere capace, ricordando fin troppo bene che era arrivato a un passo dal farle piantare un proiettile nel cranio se lei avesse rifiutato la sua proposta iniziale. C’era qualcosa di disumano in lui e negli incredibili poteri dei quali pareva essere in possesso.

Adesso, i dieci anni del loro contratto stavano per scadere. Quindi anche i cento milioni di dollari del capitale iniziale stavano per esserle restituiti. A quel punto, averli o no per LuAnn non avrebbe fatto nessuna differenza. Ma Jackson, doveva ammetterlo, si era sempre attenuto al contratto e lo avrebbe fatto anche questa volta.

Un contratto che invece lei aveva infranto.

LuAnn rimontò in sella. Condusse il cavallo al passo giù per il sentiero, oltre i fitti rami bassi, verso un torrente in piena il cui letto serpeggiava attraverso l’ampio appezzamento che circondava Wicken’s Hunt. Una grande quercia torreggiava sulla sponda di quello che era stato un placido corso d’acqua, trasformato dalle piogge torrenziali degli ultimi tempi in un ruggente ariete liquido. Una grossa fune dotata di nodi a intervalli regolari pendeva da uno dei poderosi rami.

LuAnn fermò il cavallo a ridosso della fune, l’afferrò saldamente con entrambe le mani e diede la scalata a sola forza di braccia. Joy, conoscendo quel rituale, attese pazientemente senza muoversi. LuAnn salì fino al punto più alto della fune, quasi dieci metri da terra nella folta chioma della quercia. Ridiscese fino alla sella, quindi risalì nuovamente. Ripeté la scalata altre due volte. A casa aveva una palestra perfettamente equipaggiata, nella quale si allenava con regolarità. Non era questione di vanità. Sapeva di essere una donna fisicamente forte di natura e questo l’aveva aiutata in molti momenti difficili. Non avrebbe permesso che quella forza venisse meno.

Crescendo in Georgia, aveva scalato alberi, corso per chilometri attraverso la campagna e saltato fossati. A quel tempo non era nient’altro che un divertimento da adolescenti, ben lontano da un pianificato esercizio fisico. Adesso, oltre alla routine in palestra con i pesi, LuAnn aveva allestito un vero e proprio percorso di guerra tra i prati e i boschi di Wicken’s Hunt. Tornò a issarsi sulla fune un’ultima volta, i fasci muscolari della schiena e delle braccia che guizzavano sotto la pelle, tesi e duri come granito. Si sentiva meglio. Il movimento e lo sforzo riuscivano quasi sempre a farla sentire meglio.

Ancora ansimante per lo sforzo, incitò Joy e rientrò al galoppo tagliando temerariamente attraverso le colline, immersa in quello che sperava potesse continuare a essere il suo paesaggio.

Ritornata alla stalla, LuAnn tolse la sella a Joy, sistemò il cavallo nel suo stallatico e uscì all’aperto. Si soffermò a studiare a distanza le linee imponenti della parte posteriore della sua dimora. Acquistarla, rinnovarla e restaurarla era stata di gran lunga la sua impresa più impegnativa. Due ragioni l’avevano spìnta. Prima di tutto era stanca di nomadismo e voleva mettere radici, anche se avrebbe preferito qualcosa di meno maestoso di ciò che stava osservando in quel momento. La seconda ragione, molto più cruciale, era Lisa: voleva che sua figlia avesse una vera casa, un luogo solido e stabile nel quale poter crescere, sposarsi e avere a sua volta dei figli.

Per dieci anni, casa per loro aveva significato stanze d’albergo, ville in affitto e residence. Non che LuAnn si lamentasse di quella serie pressoché infinita di sistemazioni a cinque stelle, ma nessuna di esse poteva essere chiamata casa. Il paradosso era che la scricchiolante roulotte assediata dai rottami del suo passato perduto aveva avuto radici più profonde che non la più lussuosa delle residenze in Europa. A LuAnn scappò un fugace sorriso: adesso, finalmente, c’era Wicken’s Hunt. Grande, bellissima, sicura.

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