David Baldacci - Il biglietto vincente

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l destino sembra sorridere a LuAnn, giovane disoccupata: il misterioso signor Jackson le offre infatti il biglietto vincente di una lotteria che vale milioni di dollari. Ma prima di riuscire a godere della sua grande occasione, la ragazza trova a casa il cadavere del suo uomo in un lago di sangue e si scopre braccata dalla polizia, preda di una trappola mortale.
Un intrigo micidiale, costruito come un congegno a orologeria.

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Charlie le incrociò nel corridoio del pianterreno. — Santo cielo! — esclamò sorridendo a Lisa. — Ma come siamo carine oggi, cosa succede?

— Ho un’interrogazione.

— Come se non lo sapessi. Non sono forse stato alzato con te fino alle dieci e mezzo di ieri sera a farti ripassare la lezione? Io dico che te la bevi come acqua fresca, questa interrogazione. Dai, prendi la giacca che ti porto a scuola.

— Ma oggi non doveva portarmi la mamma?

— Oggi alla mamma diamo la libera uscita. E così ne approfitteremo per dare un’ultima ripassata, giusto o no?

Lisa sorrise. — Giusto.

Charlie attese che la ragazzina fosse fuori portata prima di rivolgersi a LuAnn, mortalmente serio: — Prima la porto a scuola, poi controllo alcune cose.

— Pensi davvero di riuscire a trovarlo?

— Forse sì, forse no — rispose Charlie abbottonandosi il soprabito. — Charlottesville non è una metropoli, ma ha comunque un sacco di posti per nascondersi. Non è per questo che anche noi l’abbiamo scelta?

LuAnn annuì. — E Riggs?

— Dopo. Se vado a bussare alla sua porta adesso, potrebbe insospettirsi ancora di più. Se scopro qualcosa, ti chiamo dal cellulare.

LuAnn li osservò salire sulla Range Rover di Charlie e scomparire nel bosco. Poi indossò una giacca imbottita e uscì dalla porta posteriore. Superò la piscina olimpionica, completa di patio in granito e di muretto perimetrale in mattoni crudi. In quella stagione la vasca era vuota e coperta da un telo protettivo. Quanto al campo da tennis, lo avrebbe fatto costruire l’anno successivo.

Se nei duri anni passati a Rikersville, Georgia, LuAnn non aveva mai avuto la possibilità di correre dietro a una pallina gialla, né quella di oziare in acqua clorata, tennis e nuoto non l’avevano interessata nemmeno dopo. Per contro, Lisa si era rivelata un’eccellente nuotatrice e un’ottima tennista. Aveva cominciato a supplicare per un campo da tennis nel momento stesso in cui aveva messo piede a Wicken’s Hunt. In realtà, era piacevole accarezzare l’idea di rimanere nel medesimo posto abbastanza a lungo da poter considerare la costruzione di qualcosa.

Era un diverso sport quello a cui LuAnn si era dedicata durante le sue peregrinazioni per il mondo. La stalla con i cavalli, circondata da fitti alberi su tre lati, si trovava a circa mezzo chilometro dalla villa. Giardinieri e stallieri non erano ancora al lavoro. LuAnn prelevò una sella dalla rimessa e la sistemò con destrezza su Joy, il cavallo cosi chiamato in onore di sua madre. Si mise un cappello da cow boy, infilò un paio di guanti di pelle e montò. Aveva Joy da molto tempo, e portarlo da continente a continente, da città a città era stata davvero un’impresa consentita da un portafoglio pressoché senza fondo. Mentre LuAnn, Lisa e Charlie erano tornati negli Stati Uniti in aereo, Joy aveva compiuto il viaggio in nave.

Uno dei fattori determinanti nella scelta di Wicken’s Hunt era stato la miriade di piste che solcavano quei centoventi ettari di colline e di boschi, molte delle quali probabilmente risalenti all’epoca di Thomas Jefferson.

LuAnn e Joy, il respiro della donna e dell’animale che si condensava nell’aria fredda del mattino, si lasciarono rapidamente la grande casa alle spalle. LuAnn cavalcò giù per un lieve pendio, andando a immettersi nella curva di una delle piste, con una fila di alberi su ambo i lati. Aveva bisogno di restare sola. E di pensare.

Non conosceva l’uomo della Honda, ma lui conosceva lei. E il suo vero nome. Impossibile stabilire quando lo aveva scoperto. Molte volte LuAnn aveva considerato l’idea di fare ritorno in Georgia, per raccontare la verità e togliersi quella pietra dal cuore.

Hai fatto la cretinata di scappare.

Le parole dell’individuo che si era fatto chiamare Arcobaleno tornarono a riecheggiarle nella mente.

E quando scappi, i poliziotti pensano subito che sei colpevole.

Erano state quelle martellanti parole a bloccarla. In più, adesso LuAnn Tyler, alias Catherine Savage, era una donna d’immensa ricchezza, e nessuno prova simpatia o compassione per chi scivola spudoratamente da un albergo a cinque stelle a un Concorde, a una villa con piscina olimpionica, a una cavalcata tra le verdi colline della Virginia. Ma soprattutto, nessuno l’avrebbe assolta per avere messo le mani su quella immensa ricchezza attraverso una frode fredda e premeditata. Di certo non l’avrebbe assolta la gente di Rikersville. Il mondo era pieno di esseri come Shirley Watson, solo che questa volta avevano ragione in pieno. Gli abiti che LuAnn indossava, la macchina che guidava, la casa in cui viveva, il benessere di cui aveva circondato sé e sua figlia, ogni frammento dell’esistenza di LuAnn Tyler era stato ottenuto attraverso denaro originato da un reato. In termini strettamente fiscali, LuAnn Tyler era uno dei più grossi delinquenti della storia.

E improvvisamente il volto di Lisa spuntò fra i suoi pensieri, proprio mentre altre parole le tornavano alla memoria. Parole maledette, pronunciate dal fantasma di un uomo maledetto in un cimitero deserto.

Prendi quei fottuti soldi, ragazzina!

Un uomo maledetto di nome Benjamin Herbert Tyler.

Papà ti dice di prenderli! All’inferno tutti e tutto! Dammi retta! Usa quel cervello di gallina che hai. Usalo, cazzo!

LuAnn tirò le redini, facendo fermare Joy. Rimase china in avanti, le mani guantate strette attorno al pomo della sella. Immagini distorte e crudeli continuavano ad accavallarsi nella sua mente.

Lisa, tesoro mìo, tutta la tua vita è un’indecente bugia. Il tuo cognome non è Savage, è Tyler. Tu sei venuta al mondo in una sporca roulotte, parcheggiata in mezzo a una radura disseminata di immondìzie alla periferia di Rikersville, in Georgia. E lo sai il perché? Perché tua madre era una miserabile disgraziata che non poteva permettersi altro.

LuAnn smontò di sella e si sedette su una grossa pietra a lato del sentiero.

E tuo padre, il signor Duane Harvey, era un fetente ubriacone puttaniere. Un buono a nulla che si è fatto tagliare la gola per una storia di droga.

Il capo di LuAnn oscillava ritmicamente da destra a sinistra, come seguendo il ritmo di una nenia malefica.

La tua mamma ti sistemava sotto il bancone di una tavola calda per camionisti, la Number One Truck Stop, mentre lei serviva ai tavoli. E poi la tua cara mamma ha ammazzato un uomo sfondandogli il cranio ed è scappata per non farsi prendere dalla polizia.

LuAnn raccolse una manciata di ciottoli da terra e si rialzò lentamente, volgendosi verso il piccolo stagno poco distante.

E per finire, la tua cara mamma ha rubato tutto questo denaro, una somma che tu non puoi neanche immaginare. Ogni cosa che noi possediamo proviene da quel denaro rubato. Quand’è che la mamma ti ha mai mentito, tesoro mio? La mamma ti vuole bene…

LuAnn prese a lanciare nervosamente dei ciottoli a pelo d’acqua. Li osservò rimbalzare lasciandosi dietro una scia di cerchi concentrici.

Non c’era niente a cui fare ritorno. Si era creata una nuova vita, ma a un prezzo esorbitante. Il suo passato era pura invenzione. Il suo futuro era pura incertezza. Il suo presente era un angosciante equilibrio instabile fra due terrificanti abissi: il completo collasso del sottilissimo velo che mascherava la sua vera identità e l’acuto senso di colpa per ciò che aveva fatto. Lisa era il suo unico fulcro. E lei doveva fare in modo che Lisa non venisse danneggiata, e che non soffrisse in alcun modo delle sue azioni passate o future.

Dieci anni prima Lisa, Charlie e lei, dopo uno scalo a Londra, si erano immediatamente imbarcati su un aereo per la Svezia. Per i dodici mesi successivi non avevano mai deviato dal rigoroso programma di spostamenti predisposto da Jackson. Erano saltati da un paese all’altro dell’Europa occidentale, passando molto tempo in Olanda, nel Principato di Monaco e in Francia. Erano rientrati nuovamente in Svezia, dove quella donna alta e dai capelli chiari non appariva minimamente fuori posto. Gli ultimi due anni li avevano trascorsi in Nuova Zelanda, immersi in uno stile di vita quieto, educato, quasi ottocentesco. L’inglese era rimasta la lingua madre di Lisa. Era stata LuAnn a volere che fosse così, poiché loro erano, e sarebbero rimaste, americane.

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