David Baldacci - Il biglietto vincente

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l destino sembra sorridere a LuAnn, giovane disoccupata: il misterioso signor Jackson le offre infatti il biglietto vincente di una lotteria che vale milioni di dollari. Ma prima di riuscire a godere della sua grande occasione, la ragazza trova a casa il cadavere del suo uomo in un lago di sangue e si scopre braccata dalla polizia, preda di una trappola mortale.
Un intrigo micidiale, costruito come un congegno a orologeria.

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Jackson entrava e usciva dall’attico usando sempre un ascensore privato. Nessuno aveva accesso in alcun caso al cuore del suo impero sotterraneo. Le sue abitudini quotidiane erano quanto mai spartane. La posta e i pacchi, sempre molto scarsi, venivano lasciati in portineria. Quasi tutte le sue operazioni venivano condotte via telefono, fax e modem. Assoluta riservatezza, quella era e restava la sua direttiva primaria.

Jackson si era creato un alter ego, con relativo travestimento, che usava ogni volta che entrava o usciva di casa. Era il suo piano d’emergenza estremo nel caso la polizia fosse venuta a bussare alla sua porta. Horace Parker, l’ormai anziano portiere dello stabile, era lo stesso di quando Jackson era un ragazzino timido che attraversava l’atrio tenuto per mano dalla madre. Quando il padre era caduto in disgrazia, la famiglia aveva abbandonato New York. Parker aveva poi interpretato il diverso aspetto di Jackson come un risultato del tempo e della maturazione. Adesso, era l’alter ego che la gente vedeva come Jackson. A tutti gli effetti, il vero Jackson era svanito.

Solamente Horace Parker continuava a salutarlo usando il suo vero nome, e ciò era confortante e inquietante nello stesso tempo. Nel proprio labirinto mentale popolato da così tante facce e da così tanti nomi, Jackson era arrivato al punto di non rispondere quando qualcuno lo chiamava con il suo vero nome. Tornare a essere se stesso poteva essere rilassante? Forse. Ma in nessun caso gli avrebbe fatto dimenticare ciò che per lui contava veramente. Gli affari.

C’erano infinite possibilità, ovunque, e Jackson era deciso a sfruttarle tutte. Possedendo capitali senza limiti, nel corso degli ultimi dieci anni aveva agito come se il mondo fosse una specie di scacchiera politica ed economica creata per il suo trastullo personale. La sua astronomica ricchezza era stata incanalata a finanziare imprese tanto varie quanto lo erano le sue identità, dalla guerriglia antigovernativa nei paesi del Terzo Mondo alle operazioni sul mercato dei metalli preziosi nelle economie industrializzate. Jackson non si limitava a influenzare: Jackson poteva plasmare. Che senso aveva rischiare i propri capitali sul mercato dei futures , quando poteva agire direttamente sui prodotti, determinando così l’andamento dei titoli? In tal modo, ogni rischio era sotto controllo. Era questo che Jackson amava sopra ogni altra cosa.

Al tempo stesso, aveva anche dato ampio sfogo alle sue velleità umanitarie. Somme gigantesche erano state stanziate per numerose missioni di pace e di sviluppo da un capo all’altro del pianeta. Missioni sulle quali, senza essersi mai esposto oltre la barriera del suo impero sotterraneo, Jackson aveva fatto in modo di conservare il controllo assoluto. Lui era in grado di definire, analizzare e valutare come nessun altro sarebbe mai stato in grado di fare. E con fondi di quella portata, chi avrebbe osato opporsi?

I suoi interessi e le sue passioni fluttuavano di continuo. Era difficile immaginare un’esistenza più appagante, più sottilmente edonistica della sua. Eppure, Jackson doveva ammettere con se stesso che perfino la spregiudicata gestione del suo impero sotterraneo stava iniziando a scivolare nella noia. La routine cominciava a minare l’originalità nei suoi diversi campi d’attività. Sentiva il bisogno di una sfida. Qualcosa che soddisfacesse la sua sete di rischio estremo. Un confronto con qualcuno e qualcosa davvero in grado di mettere in gioco la sua stessa sopravvivenza.

Jackson entrò in una piccola stanza piena di apparecchiature informatiche dal pavimento al soffitto, che costituivano il cuore del suo impero sotterraneo. Un capolavoro della cibernetica collegato con i principali sistemi d’informazione del mondo. Era quella la chiave di volta: informazioni su tutto e su tutti. Jackson assorbiva informazioni come una sanguisuga il sangue umano. Gli bastava sentire qualcosa una e una sola volta per non dimenticarla più. Il suo sguardo si spostava da un monitor all’altro, selezionando, separando, scartando e catalogando ciò che per lui poteva essere importante.

Le cifre in azzurro indicavano ottimi ritorni del capitale investito, quelle in rosso andavano meno bene. Jackson constatò con soddisfazione che l’azzurro era decisamente preponderante sul rosso.

Lasciò i computer e andò in un’altra stanza, più grande. Era una sorta di museo dell’impero sotterraneo, quieto e immobile. Il museo conteneva le reliquie delle sue imprese passate.

Jackson scelse un album fotografico e lo aprì. Eccole lì, le sue dodici gallinelle dalle uova d’oro. I dodici fortunati vincitori ai quali aveva garantito un’intera vita di favolosa ricchezza, e attraverso i quali aveva garantito a se stesso la ricostituzione del patrimonio di famiglia. Sfogliò distrattamente l’album, concedendosi sorrisi misurati quando una certa immagine solleticava la memoria.

I dodici vincitori erano stati scelti con sistematica accuratezza, impiegando molto tempo, e facendo ricorso a un’enorme pazienza. Per selezionarli Jackson aveva analizzato migliaia di atti fallimentari, aveva vagato per dozzine di uffici della Sicurezza Sociale e aveva peregrinato nelle aree più depresse e più desolate degli Stati Uniti, rurali e urbane. Cercava gente che aveva perduto tutto, oppure che mai aveva avuto niente. Gente disposta a tutto per cambiare la propria sorte, gente che avrebbe commesso una vera e propria frode finanziaria senza battere ciglio. Era sorprendente di quali spericolate razionalizzazioni fosse capace la mente umana accecata dalle appropriate lusinghe.

La truffa alla Lotteria Nazionale degli Stati Uniti era stata un’impresa di estrema facilità. La convinzione generale era che sistemi del genere fossero ad assoluta prova di corruzione e d’imbroglio. Chi aveva quella convinzione, però, dimenticava o non conosceva la Storia: nel secolo precedente, le lotterie gestite dal governo erano state bandite proprio a causa del vasto livello di corruzione. E la Storia tende sempre a ripetersi, sebbene in modo più complesso e mirato.

Negli anni Jackson aveva imparato almeno una cosa: dove c’era un essere umano c’era un corrotto. Coloro che maneggiavano grandi somme di denaro ogni giorno finivano prima o poi per convincersi che una parte di quel denaro spettasse loro di diritto.

Per portare a compimento la frode del secolo, Jackson non aveva avuto bisogno di un esercito di cospiratori. Per lui, l’espressione stessa era una contraddizione in termini.

Aveva naturalmente un cospicuo numero di collaboratori, sparsi in ogni angolo del mondo. Ma nessuno di loro aveva la minima idea di chi fosse lui, quale aspetto avesse, in che punto del globo vivesse, in quale modo avesse messo insieme la sua immensa fortuna. Nessuno di loro era a conoscenza dei suoi piani, delle sue macchinazioni su scala planetaria. Ciascuno eseguiva una piccolissima porzione di un tutto al quale non avrebbe mai avuto accesso. Ed era per questa complice ignoranza che ognuno veniva generosamente ricompensato. Se a Jackson serviva un certo tipo d’informazione, doveva semplicemente mettersi in contatto con uno di loro per ottenerla nel giro di un’ora. Un sistema perfetto, preciso, essenziale. Ed efficace.

Jackson non si fidava di nessuno. E perché avrebbe dovuto, quando lui stesso era in grado di assumere decine di identità diverse? La cibernetica e l’informatica gli consentivano di trovarsi simultaneamente in posti diversi, con una personalità diversa in ognuno di essi. Il sorriso di Jackson si allargò: il mondo era la sua scacchiera…

Poi, il suo sguardo si fermò su una particolare fotografia e di colpo il sorriso svanì. Al suo posto apparve un’altra espressione, indice di uno stato d’animo che Jackson raramente aveva provato: incertezza.

E qualcosa di più. Ma Jackson non l’avrebbe mai definita paura, perché quel particolare demone gli era del tutto estraneo. Si trattava di qualcosa di più profondo e forse anche più minaccioso. Qualcosa che avrebbe potuto definire Fato. Come treni lanciati verso un ineluttabile scontro frontale, nonostante gli sforzi per evitarlo, si consolidava in lui la sensazione che l’impatto sarebbe stato catastrofico.

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