Riggs si strinse nelle spalle, infilò un paio di spessi scarponi Overland e smontò dal potente furgone pick-up, affrontando il vento freddo da nordest. Inspirò a fondo l’aria pulita, si stiracchiò e prima di infilare un paio di guanti di pelle si passò le dita tra i capelli castani ribelli.
Avrebbe impiegato almeno un’ora per coprire a piedi la distanza fino a quello che sarebbe stato il lato frontale della recinzione. Secondo il progetto, si sarebbe trattato di una recinzione alta più di due metri, con pilastri di solido acciaio verniciato a fuoco infissi in blocchi di cemento per sessanta centimetri. Sarebbe stata disseminata di sensori elettronici e dotata alla sommità di punte affilate. I cancelli d’accesso sarebbero stati sostenuti da pilastri in cemento armato spessi un metro e mezzo e alti due, con rivestimento esterno in finto mattone. Il sistema di sicurezza sarebbe stato dotato anche di telecamere a circuito chiuso, e di uno sbarramento meccanico ad alta resistenza per i cancelli. Solamente un urto frontale da parte di un carro armato sarebbe riuscito a sfondarli. Forse. Nessuno sarebbe stato in grado di entrare senza il permesso del proprietario. Permesso che, da quanto Riggs poteva capire, non sarebbe stato concesso troppo di frequente.
Circondata dalla Contea di Nelson a sudovest, da quella di Greene a nord, e da quelle di Fluvanna e Louisa a sud, la Contea di Albemarle, in Virginia, ospitava parecchia gente ricca, tra cui anche delle celebrità. Ma in comune, tutti avevano la stessa necessità: privacy. E per garantirsela, tutti erano più che pronti a pagare. Per certi versi, Matthew Riggs non era completamente sorpreso dalle precauzioni che gli avevano chiesto di approntare. Tutti i contatti erano stati tenuti attraverso un amministratore fiduciario. Se qualcuno poteva permettersi di affrontare il costo di una recinzione del genere, qualcosa dell’ordine di svariate centinaia di migliaia di dollari, verosimilmente aveva di meglio da fare che non due chiacchiere con l’amichevole costruttore di turno.
Binocolo appeso al collo, Riggs scese lungo la strada fino a imboccare uno stretto sentiero che conduceva nel folto del bosco. Aveva già chiari in mente i due principali problemi di questo particolare lavoro. Primo: portare il macchinario pesante su un terreno così ostile. Secondo: riuscire a far lavorare le sue squadre in un ambiente così difficile. Colare cemento armato, perforare il fianco della collina, sgombrare il terreno del sottobosco, tirare su pali d’acciaio e costruire la recinzione erano tutte operazioni che richiedevano spazio per manovrare. E loro non lo avevano.
Riggs era ben contento di aver fatto aggiungere al contratto un generoso bonus per sé e per i suoi uomini, più una quota altrettanto generosa per coprire gli eventuali imprevisti, perché su quel tipo di terreno, imprevisti ce ne sarebbero stati anche troppi. Il bello era che il proprietario non aveva nemmeno tentato di contrattare. Riggs aveva sparato una cifra da capogiro e l’amministratore fiduciario l’aveva accettata senza nemmeno battere ciglio. Per Matthew Riggs, questa sarebbe stata un’annata di guadagni record nei tre anni di rapida crescita della sua ancora giovane impresa.
Si mise al lavoro.
La BMW emerse dall’imboccatura scura dell’ampio garage e imboccò la strada privata. Palizzate di legno di quercia dipinte di bianco costeggiavano entrambi i lati della strada che attraversava la proprietà. La maggior parte del terreno aperto era circoscritto da una recinzione simile, il cui tracciato brillante contrastava con il verde intenso del prato.
Erano le sette del mattino, e il basso ruggito del motore a otto cilindri era l’unico suono nella quiete del paesaggio. Queste uscite in macchina alla mattina presto erano diventate per LuAnn una specie di rituale, quasi una progressiva immersione in quello che stava diventando il suo nuovo mondo. Diede un’occhiata alla casa dallo specchietto retrovisore, mentre si allontanava. Costruita in pietra della Pennsylvania, con mattoni a vista segnati dal tempo e dagli elementi, un vasto porticato esterno con lisce colonne bianche, gronde d’ottone in stile antico che scendevano dal tetto color ossidiana e portefinestre ad arco, Wicken’s Hunt era una struttura imponente ed elegante a un tempo.
LuAnn riportò lo sguardo sulla strada. Alzò di colpo il piede dall’acceleratore e rallentò.
Un uomo era spuntato inaspettatamente dal bordo della strada e faceva ampi gesti con le braccia, indicandole di fermarsi. LuAnn arrestò la BMW a pochi metri da lui e lo osservò mentre veniva a chinarsi sul finestrino di guida. Abbassò il cristallo di qualche centimetro e con la coda dell’occhio notò una Honda nera ferma poco più in là sul ciglio della strada. LuAnn tornò a fissare quell’intruso piena di sospetto, con il piede già sull’acceleratore, pronta a sgommare. L’uomo era di mezza età e aveva un’aria innocente, la corporatura minuta, e il volto incorniciato da una fitta barba sale e pepe.
— Qualche problema? — chiese LuAnn pronta a cogliere il minimo movimento sospetto.
— Credo di essermi perso. È quella la villa dei Brillstein? — domandò l’uomo indicando la villa poco distante.
LuAnn evitò di guardarlo negli occhi. — Questa è proprietà privata. Si chiama Wicken’s Hunt e noi siamo i nuovi proprietari.
L’uomo si protese quasi a ridosso del finestrino. — Magari lei può aiutarmi lo stesso.
— Chi sta cercando?
— LuAnn Tyler, di Rikersville, in Georgia.
La donna divenne terrea, contrasse le dita sul volante e si sentì mancare il fiato. In quello stesso istante Thomas Donovan seppe di aver fatto centro. Si sporse con le labbra quasi a contatto con il cristallo. — Okay, LuAnn mi ascolti! Devo parlarle! È molto import…
LuAnn schiacciò l’acceleratore a tavoletta e Donovan dovette schizzare indietro, per evitare che due tonnellate d’acciaio tedesco gli passassero sui piedi. — Ehi! — riuscì appena a gridarle dietro mentre la BMW si allontanava a tutta velocità. Si precipitò al volante della Honda, avviò il motore e partì all’inseguimento.
Donovan aveva controllato l’elenco degli abbonati telefonici di Charlottesville, ma non risultava nessuna Catherine Savage. Non che ci contasse molto. Così aveva deciso un approccio frontale, forse non il più discreto, di certo il più efficace. Aveva sorvegliato la casa per giorni e giorni, prendendo nota delle uscite in macchina che la donna faceva ogni mattina presto fino a stabilire il giorno del contatto. Sparare a bruciapelo quel nome e cognome era l’unico modo per sapere subito la verità. E ora Thomas Donovan sapeva che LuAnn Tyler era Catherine Savage.
Dall’epoca delle foto e della videocassetta relativi alla conferenza stampa di dieci anni prima, LuAnn Tyler era cambiata di parecchio. Tante piccole metamorfosi che avevano creato una donna completamente diversa. Se Donovan non l’avesse vista impallidire e fuggire spaventata, ora non avrebbe avuto quella fondamentale certezza.
La BMW era un’ombra argentea in rapido movimento sul nastro scuro della strada. Donovan scalò marcia e affrontò una delle curve strette inerpicandosi su un ennesimo crinale, mentre la sua Honda, più piccola e maneggevole, guadagnava terreno. Non gli era mai piaciuto giocare a fare il temerario, neanche durante i suoi anni da reporter in prima linea, tanto meno adesso. In ogni caso, doveva fare in modo che LuAnn Tyler lo ascoltasse, e farsi raccontare la sua storia. Per trovarla, Thomas Donovan aveva impiegato mesi interi, e davvero non poteva permettersi di lasciarsela sfuggire.
Matthew Riggs si fermò un momento e studiò nuovamente il terreno. Quell’aria era così pura, quel cielo così azzurro e quella quiete così eterea che ancora stentava a rendersi conto del perché avesse aspettato tanto per voltare le spalle alla nevrosi della grande città. Con tutti quegli anni passati in mezzo a milioni di individui troppo frenetici e troppo aggressivi, avere ora l’impressione di essere l’unico uomo rimasto sulla faccia della Terra era molto più rilassante di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Si frugò nelle tasche del giaccone, alla ricerca della mappa della proprietà.
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