La gente che l’aveva conosciuta allora, quasi certamente l’avrebbe riconosciuta anche adesso. Tuttavia LuAnn Tyler non aveva la minima intenzione di incontrare nessuno di loro. Le rare volte che decideva di avventurarsi nel mondo esterno, si riparava ossessivamente con un cappello a tesa larga e un paio di occhiali scuri. Una vita in fuga, piena di sotterfugi e disseminata di nascondigli.
LuAnn si sedette nuovamente sul sedile di guida, lasciando scorrere le dita sul cuoio che ricopriva il volante. Guardò nuovamente la strada alle sue spalle. Nessun movimento e nessun rumore, a parte il basso rombo del motore della BMW. E il suo respiro incerto. LuAnn si strinse nella giacca di pelle, chiuse la portiera e bloccò le serrature. Alla fine, trovò la forza per rimettersi in movimento, ma le fu difficile concentrarsi sulla guida.
I suoi pensieri andavano all’uomo del pick-up che aveva deciso di venirle in aiuto. Chi era? Perché lo aveva fatto? Si trattava solo di un buon samaritano trovatosi nel posto giusto al momento giusto, oppure aveva ben altre intenzioni?
LuAnn si fermò di nuovo e osservò il paesaggio. Forse era di nuovo vittima della sua cronica paranoia. Dopo un’esistenza trascorsa in fuga, la paranoia era diventata una fitta rete, attraverso le cui maglie tutto veniva filtrato e quindi esaminato, valutato, scomposto. Qualsiasi incontro veniva assimilato, digerito, vagliato. Il tutto dipendeva da una semplice quanto angosciante e implacabile paura: quella di essere scoperta.
LuAnn Tyler trasse un profondo respiro e si domandò per la centesima volta se non avesse compiuto un catastrofico errore a violare il suo contratto con Jackson e a fare ritorno negli Stati Uniti.
Tornando indietro lungo la strada tra le colline, Matt Riggs aveva tenuto gli occhi ben aperti, senza vedere traccia né della Honda nera né del suo guidatore. Adesso stava risalendo la piccola strada privata. Doveva trovare un telefono, e il più vicino doveva essere nella grande casa. Dopotutto, aveva aiutato la donna della BMW. Una telefonata non era poi chiedere la luna. E nemmeno gli sarebbe dispiaciuto capire qualcosa di più di quello che era appena successo.
Nessuno lo fermò mentre si avvicinava alla casa. Pareva non esserci alcun tipo di sorveglianza. Era sorprendente: da un lato, questa gente voleva asserragliarsi dietro una recinzione alta quattro metri, dall’altro, chiunque poteva arrivargli dritto in casa. Dal momento che con l’amministratore si era incontrato in città, questa era la sua prima visita a quella casa.
Wicken’s Hunt era una delle residenze più belle della zona. Era stata eretta nei primi anni Venti, con una solidità costruttiva e un’attenzione ai dettagli che ormai erano più che rare. Il suo primo proprietario, un magnate di Wall Street che intendeva usarla come residenza estiva, aveva pensato bene di fare un bel tuffo dal cinquantesimo piano di un grattacielo di New York durante il “Lunedì Nero” del 1929. Dopo svariati passaggi di proprietà, Wicken’s Hunt era rimasta sul mercato immobiliare della Virginia per sei anni prima di essere nuovamente venduta. Anche per le ristrutturazioni il nuovo proprietario non aveva badato a spese. I vari direttori dei lavori con i quali Riggs aveva parlato erano rimasti impressionati dalla bellezza e dall’unicità della struttura.
Un altro aspetto in qualche modo singolare era che nessuno aveva mai visto il nuovo proprietario. Sebbene il trasloco dovesse essere stato imponente, sembrava che si fosse svolto nella notte, perché nessuno nei dintorni pareva essersene accorto. Riggs aveva verificato gli archivi del catasto: altro vicolo cieco. Wicken’s Hunt era stata acquistata da una società quanto mai misteriosa. Anche i soliti canali delle chiacchiere della contea rimanevano chiusi in un silenzio perplesso. L’unico indizio utile era che la scuola St. Anne’s-Belfield, il più esclusivo istituto privato del circondario, aveva ammesso una nuova allieva: Lisa Marie Savage, di dieci anni, la quale aveva dato Wicken’s Hunt come indirizzo di casa.
Girava però la voce che una donna alta e attraente, il volto quasi sempre nascosto da un cappello a tesa larga e da occhiali scuri, andasse ad accompagnare e a prendere la ragazzina a scuola. Molto più spesso, a venirla a prendere era un uomo di mezza età dalla corporatura di un giocatore di football. Strana famigliola. Alla scuola Riggs aveva parecchi amici, ma nessuno di loro aveva detto alcunché a proposito di quella donna.
Dopo un’ultima curva, Riggs si trovò al cospetto di Wicken’s Hunt: un’imponente villa a tre piani, con un ampio frontale che si affacciava su una splendida fontana di pietra. In quel freddo mattino di un autunno precoce, nessun getto d’acqua saliva verso il cielo. I giardini tutt’attorno erano tanto rigogliosi e ben tenuti quanto lo era la casa. Là dove le piante a ciclo annuale e a tarda sbocciatura non ce l’avevano fatta, erano state sostituite da sempreverdi e da alberi a fogliame più resistente.
Riggs percorse con il suo malridotto pick-up il vialetto semicircolare che aggirava la fontana e si fermò davanti all’ingresso. Scese, accertandosi che l’appunto con i numeri di targa fosse ancora nella tasca. Avvicinandosi alla porta si chiedeva se una dimora simile avesse un campanello o se un maggiordomo in livrea sarebbe magicamente apparso ad aprirgli, quando una voce emerse da un citofono incassato nel muro accanto alla porta.
— Posso esserle d’aiuto?
La voce pareva quella di un uomo grande e massiccio. Forse anche minaccioso.
— Mi chiamo Matthew Riggs. La mia ditta è stata incaricata di costruire la recinzione lungo il perimetro di questa proprietà.
— Congratulazioni.
La porta restava chiusa. Riggs corrugò la fronte. Arretrando di un passo prese a studiare il monumentale ingresso. Sistemata sulla chiave di volta, notò la telecamera di sorveglianza a circuito chiuso. Salutò con la mano.
— Posso esserle d’aiuto? — ripeté la voce di prima.
— Vorrei usare il telefono.
— Non credo sia possibile.
— Io direi che dovrebbe essere possibile — riprese Matthew Riggs un tantino scocciato. — Poco fa ho mezzo sfondato il mio furgone per liquidare una macchina che stava dando la caccia a una lussuosa BMW la quale, a meno che non abbia le traveggole, è spuntata proprio da questa bella casa. Tutto quello che voglio è assicurarmi che la donna che guidava la BMW stia bene. Aveva un’aria decisamente spaventata l’ultima volta che l’ho vista.
Questa volta la serratura elettrica scattò, e finalmente il portone di Wicken’s Hunt si aprì. L’uomo che apparve sulla soglia era alto quanto Riggs, ma di spalle era largo il doppio. Un uomo ben oltre la sessantina, leggermente zoppicante, come se gli stessero progressivamente cedendo le ginocchia. Con il suo metro e ottantacinque per novanta chili di peso, Riggs non era esattamente un fuscello. Eppure quell’uomo dai lineamenti marcati non avrebbe avuto difficoltà a spezzargli la schiena. Evidentemente doveva essere il tizio anziano che si presentava a scuola a prendere Lisa Marie Savage.
— Di che diavolo parla?
— Stavo compiendo un sopralluogo tecnico lungo il perimetro della proprietà — iniziò Riggs indicando le colline con un gesto vago — quando a un certo punto è saltata fuori questa BMW, con al volante una bionda spaventata a morte. Aveva alle calcagna una Honda Accord nera del ’92 o ’93. La guidava un tizio che doveva avere le idee molto chiare.
— E la donna? — domandò l’altro protendendosi un poco. — Stava bene, la donna?
Riggs arretrò d’istinto, improvvisamente guardingo. Voleva capirci qualcosa prima di lasciarlo avvicinare troppo. Per quanto ne sapeva, questo tizio e il balordo della Honda potevano essere in combutta.
— Credo di sì. Mi sono messo tra le due auto e alla fine mi sono ritrovato il furgone ridotto a un catorcio. — Riggs si massaggiò il collo che stava cominciando a irrigidirsi per effetto dei tamponamenti. Quella sera avrebbe dovuto metterci su qualcosa.
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