David Baldacci - Il biglietto vincente

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l destino sembra sorridere a LuAnn, giovane disoccupata: il misterioso signor Jackson le offre infatti il biglietto vincente di una lotteria che vale milioni di dollari. Ma prima di riuscire a godere della sua grande occasione, la ragazza trova a casa il cadavere del suo uomo in un lago di sangue e si scopre braccata dalla polizia, preda di una trappola mortale.
Un intrigo micidiale, costruito come un congegno a orologeria.

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Nel silenzio di quel paesaggio, il ruggito dei motori su di giri gli parve l’esplosione di una bomba. Due auto, ombre metalliche seminascoste dagli alberi, erano lanciate lungo la strada fra le colline. Una piccola vettura nera, di potenza inferiore ma più maneggevole, era all’inseguimento di una grossa BMW berlina. Considerando la velocità alla quale stavano andando, Matt Riggs era pronto a scommettere che sarebbero entrambe finite a schiantarsi contro un albero o a cappottarsi in uno dei ripidi fossati a lato della strada.

Riggs puntò il binocolo sulla BMW e sulla donna che era alla guida. Notò l’espressione di cieco terrore che le alterava i lineamenti. L’uomo nella Honda inseguitrice era più calmo e molto più determinato. Tutta una serie di circuiti si chiusero nella mente di Matt Riggs, echi di qualcosa che lui stesso aveva vissuto in un passato perduto ma mai dimenticato.

Tornò di corsa al furgone, saltò al volante e avviò il motore. Non aveva un piano d’azione preciso, né tempo per elaborarlo. Di solito aveva un calibro 12 a pompa nella rastrelliera del lunotto posteriore, per tenere a bada i serpenti, ma quel giorno l’aveva dimenticato. Nel retro del veicolo aveva comunque un piede di porco e delle pale, ma si augurò di non doverli usare.

Mentre procedeva a tutta velocità sulla strada principale, le due macchine gli sbucarono davanti svoltando dalla strada privata. La BMW aveva fatto la curva al limite della tenuta di strada, praticamente su due ruote sole. Nel rettilineo successivo, i suoi trecento cavalli e oltre aprirono un varco di oltre duecento metri rispetto alla macchina inseguitrice. Non sarebbe durato, Riggs questo lo sapeva, e si augurò che anche la donna alla guida della BMW lo sapesse. C’era un’altra curva appena più avanti, una pericolosissima curva a gomito. Affrontarla oltre i cinquanta orari significava finire dritti fuori strada giù per uno strapiombo o alla meglio contro uno sbarramento di alberi secolari.

Riggs schiacciò sull’acceleratore, con il suo furgone che divorava l’asfalto, riducendo la distanza con la Honda nera. Il guidatore non lo vide arrivare, concentrato com’era sulla sua preda. Riggs lo superò agevolmente sulla sinistra e gli si piazzò davanti, rallentando fin sotto i trenta chilometri orari. Il guidatore della Honda si attaccò al clacson, agitando il pugno fuori dal finestrino. Riggs non se ne curò, e continuò a occupare il centro della corsia, bloccando il passo alla Honda. Riggs ebbe l’impressione che la donna nella BMW si fosse accorta di quella manovra e cercò anche di farle capire di rallentare, prima che la BMW scomparisse al di là di un altro dosso.

Il furgone e la Honda continuarono a lottare per il possesso della strada. I pneumatici di sinistra del veicolo di Riggs affondarono spesso nella banchina sul lato opposto della carreggiata, mandando raffiche di pietrisco nel fossato. L’inseguitore cercava di infilarsi in ogni possibile corridoio, ma Riggs sbandando bruscamente e ricorrendo al controsterzo chiudeva prontamente ogni varco, attingendo all’esperienza che aveva maturato in condizioni ben più pericolose di questa. Poco dopo i due veicoli affrontarono la temuta curva a gomito. C’era un baratro sulla destra: sessanta metri di strapiombo su un fondo irto di rocce. Riggs allungò il collo e pregò di non vedere il rottame della BMW. Non lo vide. Ciò che vide fu il breve, folgorante riflesso del sole sui cristalli della veloce auto tedesca, almeno due chilometri più avanti, prima che scomparisse definitivamente dal paesaggio. Quella donna non aveva certo bisogno di lezioni di guida ad alta velocità.

Riggs aprì il cassetto del cruscotto e prese il telefono cellulare. Stava cominciando a comporre il numero della polizia quando un forte impatto scosse il pick-up. Il cellulare gli volò di mano, picchiò contro il bordo del cruscotto e si aprì in due. L’uomo della Honda lo aveva tamponato.

Riggs bestemmiò a denti stretti, serrando le dita sul volante, come per scuotersi di dosso la botta. La Honda si fece sentire di nuovo, ancora più duramente, ma stavolta i due paraurti finirono per agganciarsi uno all’altro in uno stridente abbraccio meccanico. Nello specchietto, Riggs vide l’uomo allungare a sua volta una mano verso il cassetto della plancia. Non attese di scoprire quello che ne avrebbe tirato fuori, si bloccò, innestò la retromarcia e diede piena potenza. Il pick-up adesso stava spingendo la Honda in una improvvisa e sussultante ritirata lungo la strada, di nuovo verso la curva a gomito. E non c’erano più rabbia e frustrazione sulla faccia barbuta del guidatore della Honda. C’era panico.

Giunti alla curva, Riggs rallentò, dando nel contempo un solido colpo di sterzo verso la parete di roccia a lato della strada. Nel forte impatto, il paraurti frontale della Honda venne strappato via e l’abbraccio meccanico dei due veicoli si spezzò.

Dopo essersi assicurato con un’occhiata che il guidatore della Honda non fosse ferito, Riggs innestò la prima e accelerò, per tornare nella scia della BMW. La Honda non aveva ripreso l’inseguimento. O era stata messa fuori combattimento, o il suo pilota aveva rinunciato.

La scarica di adrenalina ci mise un po’ per esaurirsi. Il passato perduto ma non dimenticato di Matt Riggs era lontano cinque anni. Ma quegli ultimi cinque minuti avevano ridestato il ricordo di quante volte lui stesso era andato fin troppo vicino al limite estremo. Là, nelle verdi e umide colline della Virginia, avrebbe onestamente preferito evitare di rinfrescare quel tipo di ricordi.

Il paraurti danneggiato del pick-up si era in parte staccato e ora penzolava sferragliando sull’asfalto. Riggs rallentò fino a fermarsi. Inseguire la BMW nel labirinto di strade e stradine della zona sarebbe stato nient’altro che una perdita di tempo. Annotò il numero di targa di entrambe le auto. Aveva un’idea ragionevolmente precisa di chi fosse la donna: era quella che viveva nella grande casa. Forse era lei che lo aveva assunto per erigere la barriera da molte centinaia di migliaia di dollari.

Riggs ricordò l’espressione di cieco terrore sul volto della donna.

L’esistenza di quella barriera cominciava ad avere senso.

23

La BMW era ferma sul ciglio della strada, a molti chilometri di distanza dal punto in cui la Honda e il pick-up si erano scornati. Il motore era acceso e la portiera del guidatore aperta.

LuAnn Tyler camminava avanti e indietro sull’asfalto. Pareva una tigre inferocita intenta a misurare l’interno di una gabbia senza sbarre. Il suo respiro si condensava in esili nuvolette biancastre, disperdendosi verso il cielo privo di nubi.

La paura se n’era andata, ma la paura era sempre la prima ad andarsene. Rimanevano la confusione e la frustrazione. E la rabbia. Arieti invisibili che non si ritiravano mai troppo facilmente, LuAnn lo aveva imparato. Ma farci i conti non era mai stata un’impresa facile per lei.

A trent’anni, LuAnn Tyler conservava l’energia e l’impulsività di quand’era ragazzina. Con il passare del tempo aveva acquisito una bellezza più completa e matura. Il corpo era diventato più asciutto e la vita più sottile, facendola apparire ancora più alta. I capelli, di nuovo lunghi, avevano perso le sfumature ramate per assumere quelle del biondo scuro e un taglio sofisticato esaltava i lineamenti ben definiti e quasi aristocratici del volto. Anni di costosi interventi odontoiatrici avevano reso la dentatura pressoché perfetta. Anche la linea del naso, dopo una chirurgia plastica di piccola entità, era invidiabile. Un’unica imperfezione era rimasta: la cicatrice lasciata sul mento dal coltello.

LuAnn non aveva seguito il consiglio di Jackson in proposito e si era limitata a farsi applicare dei punti sulla ferita, ma la cicatrice non se ne era andata. Si trattava di una traccia quasi invisibile, ma ogni volta che LuAnn Tyler incontrava la propria immagine allo specchio, la cicatrice era lì a ricordarle da dove veniva e in che modo era arrivata. Un segno maledetto che la legava a un passato ugualmente maledetto. Ed era esattamente per questo che LuAnn aveva scelto di non cancellarlo, per continuare a ricordare la sofferenza e il dolore del passato.

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