Jackson abbozzò un sorriso. In quell’ambiente si sentiva a suo agio. Creare i vari personaggi era per lui il piacere più grande. Interpretarli veniva subito dopo.
Sedette a uno dei tavoli da trucco e fece distrattamente scorrere le dita lungo lo spigolo. I suoi occhi incontrarono la sua immagine riflessa. Diversamente da chiunque altro, ciò che Jackson vedeva quando si guardava allo specchio era una specie di contorno vacuo, pronto per essere alterato, plasmato, modificato, dipinto, massaggiato e deformato fino a dare vita a una nuova identità. Era soddisfatto del proprio intelletto e della propria personalità, ma perché limitarsi a essere una sola persona? Andare da qualsiasi parte, fare qualsiasi cosa. Erano queste le frasi che aveva usato per indurre in tentazione i suoi dodici vincitori, le sue dodici gallinelle dalle uova d’oro tutte bene in fila. E, naturalmente, c’erano cascati. Tutti e dodici. C’erano cascati perché lui era maledettamente bravo.
Negli ultimi dieci anni, Jackson aveva fatto guadagnare a ciascuna delle sue dodici gallinelle centinaia di milioni di dollari. E a se stesso miliardi di dollari. La ricchezza non lo impressionava più di tanto. Veniva da una famiglia con alle spalle un’enorme patrimonio di antica data. Suo padre era stato un classico esempio di ricchezza ereditata, piuttosto che guadagnata. Un uomo sempre in equilibrio precario tra brutale arroganza e profonda insicurezza. Un uomo che aveva trascorso parecchi anni a Washington, approfittando delle conoscenze di famiglia per farsi largo nel mondo della politica. Ma alla fine la verità era venuta a galla: suo padre non era che un incapace e così l’ascensore verso il più alto dei cieli si era fermato. Nel futile e fallimentare tentativo di rimetterlo in moto, il vecchio aveva letteralmente disintegrato il patrimonio di famiglia. All’età di diciotto anni, Jackson aveva scoperto che anche il fondo personale predisposto per lui da suo nonno era stato fraudolentemente prosciugato. Il ragazzo aveva affrontato il padre, ma gli episodi di follia e gli abusi erano continuati, lasciando segni profondi su di lui. E se le ferite fisiche si erano cicatrizzate, il danno psicologico subito in gioventù era ancora palese, un furore interiore che cresceva a dismisura, fino a superare di gran lunga quello del padre.
Per molti versi, si trattava di un trito e noioso cliché. Jackson stesso se ne rendeva conto. La tua fortuna è stata dissipata? E allora? Chi se ne frega? Ebbene, a Jackson sì che gliene fregava. Anno dopo anno, lui aveva fatto affidamento su quel denaro per sfuggire alla tirannica persecuzione di suo padre. Ma ciò che gli spettava di diritto gli era stato rubato, e annientato. E tutto questo dall’uomo che avrebbe dovuto proteggerlo e difenderlo, che avrebbe dovuto amarlo e pretendere il meglio per lui.
Invece della libertà, Jackson si era ritrovato con un conto in banca prosciugato e la rabbia che gli montava dentro. Doveva essere stato allora che in lui aveva avuto luogo la metamorfosi fondamentale.
Poi, suo padre morì, inaspettatamente.
A quel ricordo, un sorriso vacuo tornò a riaffiorare sulle labbra di Jackson. Stando alle statistiche, non passava giorno senza che dei genitori ammazzassero i loro figli, quasi mai per una ragione valida. Al confronto, i casi in cui i figli si liberavano dei genitori rimanevano estremamente rari, ma solitamente per ottime ragioni. Jackson aveva milioni di ragioni valide. Era bastato compiere sul vecchio un piccolo esperimento di chimica,per mezzo del suo whisky preferito, e quella medesima notte un aneurisma cerebrale lo aveva folgorato. Come in qualsivoglia frangente umano, da qualche parte si doveva pur cominciare.
L’assassinio perpetrato da individui d’intelligenza media, o inferiore alla media, veniva commesso in modo goffo, raffazzonato, pateticamente privo di preparazione. Effetti collaterali immediati: rapido arresto e ancora più rapida condanna. Ma per chi era in possesso di una intelligenza superiore, l’assassinio era il risultato di attente analisi del problema, approcci a lunga scadenza, complesse ginnastiche mentali. Qui gli arresti erano rari, le condanne quasi impossibili. Jackson apparteneva a questa seconda categoria.
Era il primogenito. Quello con la responsabilità di ricostituire il patrimonio di famiglia che il vecchio aveva polverizzato. Prima erano venute le lauree summa cum laude in una delle più prestigiose università. Poi c’era stata la ripresa dei contatti che la sua famiglia aveva avuto nell’epoca antecedente i guasti causati dal padre. Infine era sopraggiunto il perfezionamento di tutte quelle abilità fisiche e mentali che gli avrebbero permesso di far salire nuovamente l’ascensore del potere e della ricchezza fino al più alto dei cieli. Il suo fisico era stato e si era mantenuto asciutto e scattante. La sua mente anche di più. Al tempo stesso, Jackson non avrebbe commesso i medesimi grossolani errori del padre. Potere? Tutto l’immaginabile e oltre. Ricchezza? Al di là dei sogni più megalomani. Ma né l’uno né l’altra sarebbero stati allo scoperto. L’impero che Jackson aveva intenzione di costruire sarebbe stato interamente sotterraneo. E completamente illegale. A lui non servivano i riflettori accesi e un pubblico plaudente. Lui medesimo era il suo pubblico. E andava benissimo così.
Jackson sorrise di nuovo a quella considerazione e continuò a muoversi tra le ombre dell’attico.
Un fratello e una sorella, più giovani, facevano parte della periferia dell’impero. Il fratello aveva ereditato buona parte del bagaglio genetico del padre e riteneva che tutto il meglio del mondo gli fosse dovuto senza dare nulla in cambio. Per tenerselo fuori dai piedi, Jackson gli aveva elargito abbastanza denaro da consentirgli di vivere in quell’illusione per il resto dei suoi inutili giorni. Nel caso il fratellino avesse finito con il dissipare l’intero patrimonio, il problema sarebbe stato esclusivamente suo.
Sua sorella era un’altra storia. Jackson le voleva molto bene. Per contro, lei continuava ad adorare la memoria del vecchio, con la tipica fede cieca che una figlia mostra verso il padre. Jackson l’aveva sistemata in grande stile ma non andava mai a trovarla. Non ne aveva il tempo. Un giorno poteva essere a Hong Kong e l’indomani a Londra. E comunque incontrare sua sorella poteva implicare molte domande scomode alle quali Jackson preferiva non rispondere, visto che sarebbe stato costretto a somministrarle menzogne ancora più scomode. La sorella non avrebbe mai fatto parte del suo impero sotterraneo. Per quanto lo riguardava, lei poteva seguitare a vivere nel suo vacuo benessere, nella continua ricerca di qualcuno in grado di sostituire quel padre che lei riteneva fosse stato tanto caro, tanto gentile e tanto nobile.
Non c’era vergogna, nel profondo di Jackson. Non c’era alcun senso di colpa. A differenza del padre, lui si era preso cura della sua famiglia. Del vecchio era rimasta un’unica traccia. Il suo nome: Jack. Sarebbe per sempre stato il figlio di Jack. Jack’s son.
Dopo aver vagato per l’appartamento, si fermò di fronte a una delle finestre panoramiche, osservando lo spettacolare crepuscolo di New York. Quell’attico era lo stesso nel quale era cresciuto da ragazzo. Negli anni, lo aveva fatto più volte ristrutturare per soddisfare le proprie necessità sotterranee, ma anche con la recondita speranza di riuscire a cancellare il passato, eliminare la sofferenza della memoria.
Per questo Jackson voleva essere sempre qualcun altro. In modo che la memoria della sofferenza inflittagli da suo padre non riuscisse a trovarlo.
Tuttavia, ogni angolo di quell’appartamento aveva il potere di schiaffeggiarlo con una manciata di ricordi, in ogni momento. Ma c’era anche un lato positivo, aveva concluso, perché la sofferenza era anche uno straordinario motore.
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