David Baldacci - Il biglietto vincente

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l destino sembra sorridere a LuAnn, giovane disoccupata: il misterioso signor Jackson le offre infatti il biglietto vincente di una lotteria che vale milioni di dollari. Ma prima di riuscire a godere della sua grande occasione, la ragazza trova a casa il cadavere del suo uomo in un lago di sangue e si scopre braccata dalla polizia, preda di una trappola mortale.
Un intrigo micidiale, costruito come un congegno a orologeria.

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— L’hai già iscritta a scuola?

— St. Anne’s-Belfield — annuì lui. — Una delle più esclusive, con classi poco affollate. Lisa sarà molto seguita e non avrà il minimo problema. Parla parecchie lingue, ha girato tutto il mondo… che diavolo, ha visto più posti lei in dieci anni di quanto la maggior parte della gente riesca a vedere in una vita intera.

— Non so — disse con aria dubbiosa LuAnn — forse avremmo dovuto prendere degli insegnanti privati.

— LuAnn, questa ragazza ha visto insegnanti privati fin da quando ha imparato a camminare. Non puoi tenerla ingabbiata per sempre. Le farà bene vedere altri ragazzi. Farà bene anche a te! — Charlie sorrise. — Devi pur passare il tempo, giusto?

— E tu, Charlie, anche tu ti senti ingabbiato?

— Una vera e propria tigre in cattività — dichiarò lui con un largo sorriso per dimostrare che stava scherzando. — Credo che mi dedicherò a qualche hobby stravagante, golf o roba simile.

— Dieci anni sono molti — disse LuAnn con una vena di mestizia.

— Non li cambierei per niente al mondo.

E speriamo che i prossimi dieci siano altrettanto belli. Ma questo, LuAnn lo pensò soltanto. Appoggiò il capo sulla spalla di Charlie.

Dieci anni prima, quando la cordigliera scintillante di New York era svanita nel buio sotto di lei, LouAnn era eccitata al pensiero di tutto il bene che avrebbe potuto fare con quei soldi. Aveva fatto una promessa a se stessa e l’aveva mantenuta. Ma c’era stato un prezzo da pagare: una fuga senza fine, annegata in un’incertezza senza fine. E poi il senso di colpa. Ogni volta che andava da qualche parte, ogni volta che comprava qualcosa, la verità riaffiorava implacabile: quello che stava spendendo era il denaro di una frode. I soldi non danno la felicità. Un luogo comune, una scusa di comodo fabbricata da quelli che i soldi non li hanno. Cresciuta nella miseria di un posto chiamato Rikersville, era questo che LuAnn aveva sempre pensato. Ora sapeva di essersi sbagliata.

19

Thomas Donovan sedeva davanti al suo computer con lo sguardo fisso al monitor. Intorno a lui la redazione del Washington Tribune era immersa nel consueto, frenetico caos.

Nessun altro cubicolo della sede del giornale era tappezzato di altrettanti riconoscimenti giornalistici quanto il suo, incluso un Premio Pulitzer vinto poco dopo i trent’anni. E anche adesso che aveva appena superato la cinquantina, il suo fervore professionale era rimasto quello di una volta. Come molti suoi colleghi del giornalismo investigativo, Thomas Donovan, aveva imparato a conoscere il lato oscuro del genere umano, e forse era da questa conoscenza che proveniva il suo profondo cinismo.

Stava riguardando alcune note, quando un’ombra si proiettò sulla scrivania.

— Signor Donovan?

Alzò lo sguardo sul giovane fattorino dell’Ufficio Posta: — Dimmi tutto.

— Per lei. Credo sia quel materiale di ricerca che aveva richiesto.

— Ottimo! — esclamò Donovan prendendo l’incartamento.

Per molti versi, quello a cui stava lavorando era un caso molto promettente. Si trattava della Lotteria Nazionale degli Stati Uniti, un’impresa con un giro d’affari di miliardi di dollari e una crescita media del venti per cento ogni anno. Di questa colossale fortuna, il governo americano pagava circa la metà ai vincitori. Del rimanente, il dieci per cento veniva ripartito tra costi di pubblicità e di esercizio, e il quaranta per cento era puro profitto, un margine astronomico per la maggior parte delle aziende.

Il dibattito sull’aspetto etico della lotteria andava avanti da anni. Secondo molte statistiche e secondo molti sociologi, la Lotteria Nazionale non era altro che una tassa regressiva, nemmeno troppo camuffata, le cui vittime principali erano i poveri d’America. La risposta del governo era che, da un punto di vista strettamente demografico, le classi meno abbienti non spendevano affatto una cifra sproporzionata per comprare i biglietti. Ma secondo Thomas Donovan, la versione di Washington non era per niente convincente: in realtà, i milioni di individui che facevano religiosamente la coda ai botteghini del lotto erano cronicamente al limite della povertà, poco sopra o poco sotto. Morti di fame che ogni settimana bruciavano soldi, sussidi della Sicurezza Sociale, assegni familiari, buoni pranzo e qualsiasi altra cosa sulla quale riuscissero a mettere le mani. Ma tra loro e quel sogno irrinunciabile c’era il gelido abisso della probabilità che il governo cercava di colmare con una pubblicità ingannevole. In ogni caso, la probabilità di vincere era talmente bassa da far risultare il tutto una farsa grottesca.

Questo era un aspetto della questione, e nemmeno il più scandaloso. Dalle sue ricerche, Donovan aveva scoperto che il settantacinque per cento dei vincitori finivano sul lastrico nel corso dell’anno successivo alla vincita. Significava che ogni anno, su dodici miracolati dalla Lotteria Nazionale, nove di essi si ritrovavano in condizioni finanziarie più miserabili di prima. Società finanziarie disoneste circuivano questi poveracci e li riducevano sistematicamente sul lastrico. Sedicenti beneficenze risucchiavano favolose fortune come pompe idrovore. Venditori di fumo spacciavano costosissime e inutili cretinate imponendole come status symbol che ogni nuovo ricco doveva avere. Ma c’era di più. La nuova, improvvisa ricchezza distruggeva intere famiglie, annientava antiche amicizie, schiacciava ogni comportamento razionale.

Donovan riteneva che di questa serie di disastri personali e collettivi, il governo degli Stati Uniti fosse non meno colpevole di quanto lo erano i predatori del settore privato. Dodici anni addietro la legge sulla lotteria era stata cambiata. Da pagamenti dilazionati nel tempo, ciascuno con ritenuta fiscale alla fonte, fu stabilito che la vincita venisse erogata in un unico blocco, con il prelievo fiscale differito di un anno. Il risultato era stato un deciso incremento della vendita dei biglietti, supportato dalle puntuali campagne pubblicitarie farcite dell’ingannevole richiamo ESENTASSE. Ora, con la nuova normativa, organizzare un oculato pagamento fiscale era completa responsabilità dei vincitori.

Solo che molti vincitori avevano creduto che sulla loro vincita non ci fosse alcun prelievo e si erano messi a spendere e a spandere senza minimamente considerare che tutto era tassabile, sia il capitale iniziale sia i profitti che ne conseguivano.

La Commissione Lotterie liquidava i vincitori con un grasso assegno e una pacca sulla spalla. Alcuni di loro, una minima parte, erano individui abili e lungimiranti, che strutturavano complessi sistemi finanziari in grado di aggirare la barriera fiscale. Sugli altri, la maggior parte, calava la mannaia del fisco che attraverso ritenute d’acconto, penali, pagamenti retroattivi ed erogazioni anticipate li lasciava più poveri di prima. E tutto questo era assolutamente legale.

Dietro l’ipocrita paravento governativo del bene del popolo , la Lotteria Nazionale degli Stati Uniti era un gioco progettato per la demolizione sistematica dei vincitori. Un gioco diabolico, di questo Thomas Donovan era convinto, e le teste d’uovo di Washington rimestavano allegramente nel calderone. Per loro, come per tutti quanti, la ragione era una sola e sempre la stessa: avidità. Con larga parte dei mass media a fare da complice cassa di risonanza.

Ogni volta che qualcuno si azzardava ad accusare, a dichiarare che non era tutto oro quello che luccicava, gli uomini della lotteria rispondevano con fiumi di statistiche, tese a dimostrare in quali opere di bene venissero spesi i profitti governativi. La gente pensava che i proventi della lotteria finanziassero la costruzione di scuole, ospedali, strade o cose del genere. Questo era vero, ma una bella fetta finiva in tutt’altre opere, che di bene avevano poco o niente. Come le tasche dei capoccia della Commissione Lotterie, per esempio, che ricevevano stipendi sempre più ricchi e gratifiche sempre più stellari. E poi le tasche dei politicanti che contribuivano a far varare le leggi giuste al momento giusto.

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